Quando i parenti bussano alla porta: la storia di un’eredità che non si divide in tre
Marco entrò nel salotto dove la moglie guardava una serie tv e annunciò con un tono neutro:
«Mio fratello ha chiamato. Lui e Valentina vogliono venire sabato. Dice che dobbiamo parlare.»
«Che bello! Sai che adoro ospitare la famiglia», rispose Elena con un sorriso.
«Però ha precisato che sarà una discussione seria», aggiunse Marco, guardandola con sospetto. «Solo noi due, senza i coniugi.»
«E tu non hai idea di cosa tratterà?» Elena si irrigidì.
Marco tacque, abbassò lo sguardo… e capì all’istante: era questione dell’eredità.
Due mesi prima, Marco ed Elena erano diventati ufficialmente gli eredi di zia Vittoria, sorella maggiore di loro madre. Senza figli, aveva vissuto da sola, una vita piena di carattere. Quando la salute iniziò a vacillare, chiamò i nipoti in aiuto. Solo loro si presero cura di lei: visite mediche, spesa, badanti, persino un soggiorno termale. Gli altri parenti? Al massimo una cartolina a Natale.
Nessuna sorpresa, quindi, che zia Vittoria avesse lasciato tutto a loro: un bilocale in centro a Milano e una deliziosa casetta in Brianza.
Sabato arrivarono puntuali Valentina e Alessandro. Niente sorrisi, niente convenevoli. Seduti in salotto, andarono dritti al punto:
«Ok, vi siete presi l’appartamento, ma la casa in campagna è davvero troppo», attaccò Alessandro.
«Noi l’abbiamo curata!» intervenne Valentina. «Tagliavamo l’erba, innaffiavamo i fiori. Ci passavamo l’estate con i bambini.»
«E zia Vittoria l’avete mai portata lì, almeno una volta?» chiese Elena con calma. «Vi implorava di farla respirare un po’ d’aria buona…»
«Abbiamo i nostri impegni, i bambini, il lavoro…» borbottò Valentina.
«Appunto. Per questo zia ha deciso come ha deciso», disse piano Marco.
«L’avete manipolata!» esplose Alessandro. «Ma sei un uomo o no? Non puoi dividerti con la famiglia?!»
«E tu sei un uomo, se ti aggrappi a una baracca?» ribatté Marco, pacato ma deciso.
Se ne andarono arrabbiati. Ma la mattina dopo, il telefono squillò.
«Marco, hai cambiato le serrature della casa?» urlò Alessandro. «Siamo venuti con Luca a prendere le nostre cose, e non possiamo entrare!»
«Sì, le ho cambiate. Perché non avete avvisato. Venite sabato prossimo, faremo le pulizie. Prenderete ciò che è vostro», rispose Marco, riattaccando.
«Lo sapevi?» chiese, rivolto alla moglie.
«Non conosci i tuoi parenti? Se non cambiavi le serrature, si sarebbero portati via il tavolo da pranzo. Fidati.»
Un mese dopo, vendettero sia la casetta che il loro trilocale. Comprarono un ampio attico a Rimini: cortile tranquillo, scuola vicina, lavoro veloce. Marco si sistemò al porto, Elena in una scuola elementare.
La figlia, Beatrice, rimase nell’appartamento di zia Vittoria per l’università.
Pareva tutto a posto. Ma da marzo iniziò un’invasione di chiamate.
«Non abbiamo più la casa in campagna», disse Valentina al telefono. «Quindi veniamo tutti da voi. A inizio luglio. E portiamo anche la nipotina di Michele!»
«Prenotate un albergo», rispose tranquillo Marco. «Noi qui viviamo, non abbiamo tempo per ospitare.»
«Ma i tuoi suoceri a settembre sono stati da voi!» protestò Valentina.
«Perché sono i genitori di mia moglie. E se i miei fossero vivi, faremmo lo stesso. Ma per tutta la vostra comodità, qui non c’è spazio.»
«Siete degli egoisti!» sbottò lei. «Ricordati, fratellino, se mai avrai bisogno di aiuto… non avrai più famiglia!»
«Quest’anno è spuntata più famiglia che funghi dopo la pioggia. E ricordatevi di noi solo da maggio a settembre. Tranquilla, di parenti ne abbiamo finché vogliamo», sorrise Marco.
E riattaccò.