Quando i parenti bussano alla porta: la storia di un’eredità che non si divide in tre
Luca entrò nella stanza dove la sua moglie guardava una serie tv e, trattenendo l’emozione, annunciò:
— Mi ha chiamato mio fratello. Dice che con Giulia volevano venire sabato. Dicono che c’è da parlare.
— Magnifico! Sai che sono sempre felice di ricevere ospiti, — sorrise Elena.
— Solo che ha aggiunto che sarà una conversazione seria, — disse Luca, guardandola con un’espressione preoccupata. — Senza i coniugi, solo noi due.
— E tu non hai idea di cosa vogliano discutere? — Elena si irrigidì.
Luca rimase in silenzio, abbassò gli occhi… e allora capì: era questione dell’eredità.
Due mesi prima, Luca ed Elena avevano ottenuto ufficialmente i diritti di successione. La zia Sofia, sorella maggiore della loro madre, non aveva avuto figli e aveva vissuto tutta la vita da sola, ma come una donna forte. Quando la salute iniziò a peggiorare, chiamò i nipoti in aiuto. Solo Luca ed Elena si presero cura di lei: la portavano dai medici, facevano la spesa, pagavano la badante, la accompagnavano in una clinica termale. Gli altri parenti si limitavano a mandare una cartolina per le feste.
Non c’era da stupirsi che la zia Sofia avesse lasciato tutto a loro: un bilocale nel centro di Milano e una graziosa casa di campagna alle porte della città.
Sabato. Giulia e Alessandro arrivarono puntuali. Senza sorrisi, senza troppe parole. Si sedettero in salone e andarono subito al punto:
— Va bene, la zia vi ha lasciato l’appartamento. Ma la casa in campagna è troppo, — esordì Alessandro.
— Noi ce ne siamo occupati! — aggiunse Giulia. — Tagliavamo l’erba, innaffiavamo i fiori. Ci abbiamo passato tutto l’estate con i bambini.
— Ma almeno una volta avete portato la zia là? — chiese Elena con calma. — Avete mai esaudito una sua richiesta? Vi supplicava di portarla in campagna, per respirare aria fresca…
— Beh, noi abbiamo le nostre preoccupazioni. Bambini, lavoro… — borbottò Giulia.
— Esatto. Per questo la zia ha deciso come ha deciso, — disse Luca con voce pacata.
— Voi l’avete solo manipolata! — sbottò Alessandro. — Ma che uomo sei, se non riesci a condividere con la tua famiglia?!
— E tu che uomo sei, se ti batti per una casupola fatiscente? — replicò Luca, freddo ma deciso.
Gli ospiti se ne andarono furiosi. Ma la mattina dopo arrivò una telefonata.
— Luca, ma che hai fatto, hai cambiato la serratura della casa in campagna? — urlò Alessandro al telefono. — Siamo venuti io e Marco a prendere le nostre cose, e non possiamo entrare!
— L’ho cambiata. Perché non avete avvisato. Venite sabato prossimo — faremo pulizia. Prenderete ciò che è vostro, — rispose Luca, riagganciando.
— Lo sapevi, vero? — chiese, voltandosi verso la moglie.
— Tu non conosci i tuoi parenti? Se non avessi cambiato la serratura, si sarebbero portati via anche i mobili. Non dubitarne.
Un mese dopo, vendettero sia la casa di campagna che il loro trilocale. Comprarono un ampio appartamento al mare, a Rimini. Un cortile accogliente, la scuola vicina, il lavoro arrivò in fretta: Luca trovò un impiego al porto, Elena in una scuola elementare.
La loro figlia, Viola, rimase a vivere nell’appartamento della zia mentre studiava all’università.
Sembrava che la vita si fosse sistemata. Ma da marzo iniziarono le telefonate a raffica.
— Non abbiamo più la casa in campagna, — disse Giulia al telefono. — Quindi verremo tutti da voi. A inizio luglio. E porteremo anche la nipote di Sandro!
— Prenotiamo un hotel per voi, — rispose Luca con calma. — Noi qui viviamo, non siamo in vacanza. E non ospitiamo nessuno.
— Ma i tuoi suoceri sono stati da voi a settembre! — protestò Giulia.
— Perché sono i genitori di mia moglie. Se i nostri fossero vivi, li avremmo ospitati anche noi. Ma per tutta la vostra combriccola non ci sono abbastanza posti.
— Siete egoisti! — sbottò. — Ricorda, fratellino, se mai avrai bisogno di aiuto. E noi non ci saremo!
— In quest’anno è spuntata così tanta “famiglia” da sembrare una pioggia di funghi. E tutti ci ricordano solo da maggio a settembre. Quindi non preoccuparti, di parenti ne abbiamo a suE poi, finalmente, il telefono smise di squillare e la loro vita tornò in pace.