Non oggi

Non Oggi

Caterina lo incontrò per caso — nel sottopassaggio della stazione di Milano, dove l’aria era intrisa di umidità, odore di caffè economico, melodie di strada e passi frettolosi. Lui era lì, appoggiato a un muro scrostato, con una chitarra tra le mani, e cantava. Non forte, non per la folla, ma in un modo che ti trapassava il cuore. Cantava come chi non ha più paura di essere ascoltato o dimenticato. Cantava per sé, eppure la sua voce, come un filo invisibile, si aggrappava al rumore della gente e rimaneva, fissandosi nella memoria. E lei lo riconobbe all’istante.

Una voce dal passato.

Una voce che un tempo le faceva battere il cuore più in fretta, le notti sembrare infinite e le speranze ardere come le candele che accendeva da sola. Una voce che per anni aveva cercato di soffocare, ma che comunque viveva dentro di lei, nascosta in un angolo della mente dove tutto suona troppo chiaro, troppo doloroso.

Marco.

Indossava la stessa giacca — nera, consumata dal tempo, come un vecchio compagno dei suoi viaggi. I capelli più lunghi, la barba più folta, e negli occhi la stessa scintilla inafferrabile, come se fosse sempre in cammino, a metà strada verso qualcosa di indefinibile. Si bloccò. Prese il portafoglio. Cercò qualche spicciolo. Lo lasciò cadere nella custodia aperta della chitarra, e le monete tintinnarono come un’eco del loro passato.

Non alzò subito lo sguardo. Quando lo fece, non sembrò sorpreso. Solo annuì, come se si fossero visti il giorno prima, come se il tempo non avesse fatto a pezzi le loro vite.

«Ciao», disse piano. «Sei sempre la stessa.»

Lei sorrise amaramente:

«Tu invece sei cambiato.»

«La vita», fece un gesto vago con le spalle, e in quel movimento c’era tutta la sua storia. «A qualcuno lascia il volto, a qualcuno solo le canzoni.»

«E a te cos’è rimasto?»

«La strada. E una dozzina di canzoni che non interessano a nessuno.»

Sorrise, ma nei suoi occhi non c’era più quell’audacia che una volta la faceva vacillare. Nella melodia che stava finendo si sentivano note di treni, di addii, dell’impossibilità di tornare indietro.

«Canti ancora?» chiese lei, anche se conosceva già la risposta.

«Ormai canto soltanto», rispose, con una leggerezza che non le ricordava. «È più onesto. Nessuno mi chiede perché. Nessuno si aspetta che diventi qualcun altro.»

«E ti basta?»

«Adesso sì. Prima correvo sempre dietro a qualcosa di più grande. Adesso vivo e basta.»

Il silenzio cadde tra loro. La folla scorreva accanto, la città rumoreggiava, ignara del filo sottile che una volta li aveva uniti. Di come lei l’avesse aspettato sotto il lampione di casa, scritto lettere che lui non aveva mai letto, chiamato nel vuoto. Di come lui fosse sparito senza una parola, senza traccia. Come se lei non fosse mai esistita.

«Non potevo fare altrimenti», disse all’improvviso, guardando altrove. «Non mi giustifico. Ero solo… vuoto. A pezzi.»

«E adesso?»

Guardò le sue mani, le corde della chitarra. Le sfiorò con un dito, e risuonarono piano, come un ricordo lontano.

«Adesso almeno canto. E non scappo più. È già qualcosa, no?»

Annuì. Lentamente, con cautela. Dentro di sé sentì qualcosa vibrare — non dolore, non rabbia, ma qualcosa di morbido, quasi lieve. Come se una vecchia melodia tornasse a suonare, ma senza trascinarla indietro, senza strapparle più lacrime. Nel petto c’era un’eco, ma senza il peso che l’aveva oppressa per anni.

«Devo andare», disse. «Mi aspettano.»

Non la fermò. Solo domandò, quasi sussurrando:

«Un caffè? Così, tanto per. Come una volta. Senza passato. Senza promesse.»

Lo guardò. Il sottopassaggio, la chitarra, quegli occhi in cui soffiava ancora il vento del viaggio. Lui era sempre stato così — in movimento, un passo fuori dal mondo, anche quando stava accanto a lei.

«Non oggi, Marco», rispose. «Grazie. Non bevo più “solo un caffè”. Diventa sempre qualcosa di più.»

E se ne andò. Passo dopo passo, sempre più decisa. Senza voltarsi. Come se, con ogni movimento, non lasciasse lui alle spalle, ma la se stessa che aveva aspettato, sperato, creduto.

Davanti a lei c’erano cose da fare, incontri, lavoro, una serata tranquilla con un libro. Una vita che non si ferma. Che va avanti, senza guardarsi indietro, senza pause.

A volte le persone tornano. Non per restare. Ma per ricordarci che siamo già andate via. E che era la cosa giusta.

Se ne andò. E finalmente si sentì libera.

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