Eredità di Sangue Estraneo

*L’Eredità di Sangue Straniero*

Giulia tornò dal lavoro. L’appartamento vuoto la accolse con un silenzio pesante, dove ogni passo e ogni respiro riecheggiavano come in una cattedrale. Non si era ancora abituata—negli ultimi due mesi, la solitudine era diventata più di un’abitudine: una seconda pelle. Il marito non c’era più. Sandro—la sua roccia, il suo amore, la sua vita—era morto in un incidente terribile. E tutto ciò che avevano costruito in anni, era crollato in un attimo.

Avevano passato insieme diciassette anni. Felici, luminosi, veri. Dopo il primo fallimentare matrimonio di Giulia, dopo il dolore e la fuga dalle botte ubriache, Sandro era stato colui che le aveva ridato fiducia nel bene e nell’amore. Non aveva solo accolto lei e i suoi due figli—aveva dato loro una casa, cura e calore vero.

Allora viveva nella periferia di Firenze, in una casetta con la nonna—la donna che l’aveva cresciuto al posto dei genitori. La vecchietta era malata, si muoveva a fatica. E Sandro viaggiava spesso per lavoro. Aveva messo un annuncio—cercava un’aiutante per la nonna. A rispondere era stata Giulia. Stanca, con i figli in braccio, senza un tetto. Un’amica li aveva ospitati per qualche giorno, ma poi? *Dio provvederà*.

—Non posso pagarti molto—le aveva detto Sandro, guardandola negli occhi con onestà.

—Non mi servono soldi. Mi basta un lavoro e un posto dove stare—aveva risposto lei.

E Sandro, dopo un attimo di riflessione, aveva aggiunto:

—Resta da noi per ora. Tra qualche giorno parto, e la nonna starà meglio con qualcuno accanto.

Così era rimasta. Dopo tre mesi, vivevano già come una famiglia. L’amore non era arrivato subito, ma quando era sbocciato, era diventato eterno. Sandro era diventato un padre per i suoi figli, un vero padre. Passarono gli anni. I figli cresciuti se ne andarono. E Sandro e Giulia—sempre insieme. Inseparabili.

—Tra una settimana saranno quindici anni da quando sei entrata nella mia vita—le aveva detto un giorno Sandro, stringendola a sé.

—Non ricordarmelo—aveva riso Giulia.—Per me sei già mio marito. Il più amato.

—E allora sposiamoci. Facciamo le cose per bene.

Si erano sposati. Non con una cerimonia sontuosa. Senza velo né banchetto. Solo due firme, e poi per mano, ridendo per strada. Erano felici. E avevano ancora sogni.

Dopo la morte della nonna, si erano lanciati in un progetto—un pensionato per anziani. Una vecchia casa abbandonata fuori città, mutui, un sussidio statale, i risparmi—avevano investito tutto. L’apertura era prevista per la fine dell’anno. Ma tutto cambiò con l’incidente.

Ora tutto ricadeva su Giulia. Ed era pronta a lottare—per il loro sogno.

All’ufficio del notaio le chiesero:

—Altri eredi di primo grado?

—No—rispose sicura.—Non aveva figli suoi, e non ha mai adottato i miei. La nonna è morta cinque anni fa.

—I genitori?

Giulia scrollò le spalle.

—La madre fu privata dei diritti quando lui era piccolo, e il padre… Sandro diceva che compariva ogni tanto. Non l’ho mai conosciuto.

Non ci fece nemmeno caso. Chi avrebbe potuto ritrovare quell’uomo dopo tutti quegli anni?

Ma un giorno, un violento squillo alla porta.

—Sappiamo che sei lì!—gridò una voce rozza.—Apri!

Giulia si bloccò. Si avvicinò allo spioncino. Due persone. Un uomo e una donna, trasandati, i volti gonfi.

—Questa è la casa di mio figlio!—urlò lui.—La metà è mia!

—Chi siete?!—gridò Giulia, le dita tremanti sul pepe spray.

—Io sono Carlo De Luca, il padre di Sandro. E lei è Lucia. Siamo qui per l’eredità.

—Quale eredità?!—sbottò Giulia, il cuore in gola.

—Quella del nostro Sandrino—disse la donna con un tono melodrammatico.

Cercarono di entrare. Giulia sbarrò la porta con il corpo.

—Non avete diritto!—urlò.

Un vicino uscì dall’ascensore. Giulia ne approfittò per chiudere la porta. Dietro di lei, urla, pugni, bestemmie. Il vicino chiamò la polizia. I falsi parenti se ne andarono. Ma due giorni dopo, una richiesta ufficiale arrivò al notaio—Carlo De Luca pretendeva la sua parte.

—È un’ingiustizia!—Giulia tratteneva le lacrime.—Non è mai stato presente nella vita di suo figlio! Neppure un giorno! Neppure un euro! L’ha abbandonato! Io e Sandro abbiamo costruito tutto, vissuto insieme…

—Lo capisco—disse l’assistente del notaio con gentilezza.—Ma la legge è chiara. Rivolgiti a un avvocato. È l’unica speranza.

E Giulia iniziò la battaglia.

Raccolse documenti, cercò testimoni, bussò a ogni porta, trovò chi ricordasse l’infanzia di Sandro. Trovò registri di mancati alimenti. Un’amica della nonna ricordò come il padre, una volta ubriaco, avesse rotto una finestra e picchiato il bambino. Allora chiamarono i carabinieri—Giulia persino trovò un vecchio verbale. La nonna aveva iniziato le pratiche per la decadenza della patria potestà—i documenti erano ancora lì, tra le foto ingiallite.

Il processo fu lungo. Ma il destino, forse ascoltando le preghiere, intervenne—Carlo De Luca morì di cirrosi epatica. Lucia, la sua compagna, sparì. E rimase solo Giulia. L’unica che aveva davvero amato Sandro.

Alla fine dell’anno, come avevano sognato, il pensionato aprì. Sulla facciata, una targa di bronzo: *”Casa di Riposo Alessandro Rossi”*.

Giulia era in piedi sul sagrato, mentre osservava un’anziana sorridere dalla finestra. E sapeva: Sandro sarebbe stato orgoglioso. Aveva fatto tutto. Per loro due.

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