Quando la mamma va al mare: una donna che ha vissuto per gli altri sceglie sé stessa

— Sandro, per favore, potresti passare a prendere il pane? — la voce di Valentina tremava come vetro sotto i piedi. — C’è ghiaccio per strada, ho paura di cadere…

— Mamma, stai scherzando? — Sandro alzò gli occhi al cielo, senza alzarsi dal divano. — Sono appena tornato dal turno di notte. Io e Lucia stavamo per guardare un film. Vuoi che riposi, no?

— Figlio mio… davvero non riesco… — sussurrò lei, stringendo il telefono.

— Mamma, sei rimasta nel secolo scorso! Ci sono le consegne a domicilio, le app, tutto già pronto! Impara a usarle!

— Mi confondo con quel telefono… Potresti ordinare tu?

— Sono in macchina, è scomodo parlare. Chiedi a Irene.

— L’ho già fatto… Ha una riunione.

— Va bene, — borbottò Sandro. — Quando torno a casa, ti chiamo. Dimmi cosa comprare.

— Sì, aspetterò, — sussurrò Valentina. Ma dopo un’ora, poi due, nessuna telefonata. Chiamò lei stessa — solo squilli e silenzio. Alla fine, il vicino, il signor Marcello, la salvò: ordinò tutto e le portò la spesa.

Mentre sistemava i sacchetti, Valentina sentiva un peso dentro. Perché questa vita? Perché, quando aveva bisogno, nessuno dei figli per cui aveva vissuto era lì?

Era stata una buona madre. Rimasta vedova quando Sandro aveva sedici anni e Irene undici. Li aveva cresciuti da sola. Lavorava come contabile di giorno e come donna delle pulizie di notte. Sua madre e la suocera l’avevano aiutata, finché non se ne erano andate — e tutto era ricaduto su di lei.

L’appartamento del nonno a Irene. Quello della mamma a Sandro. A lei? Niente. Tutto ai figli. Studio, matrimoni, nipoti — tutto sulle sue spalle. E non si era mai lamentata. Pensava: “Almeno loro avranno un futuro. Staranno bene.”

Li aveva accompagnati a lezioni private, passato le notti a correggere compiti, lavato, cucinato, portato sacchetti pesanti dal supermercato, curato, preparato brodi. E ora? Era diventata nessuno. Uno sfondo. Come una mensola in cucina — c’è, ma nessuno la nota.

Quando Irene chiedeva di badare al cane, Valentina lo portava a passeggio con ogni tempo. Quando Sandro lasciava il nipote nel weekend, lei non dormiva. E mai aveva chiesto nulla in cambio.

Ma quando si ammalò, furono le medicine portate dal signor Marcello. I figli arrivarono in ospedale per dieci minuti. Irene fece una smorfia:

— Mamma, sai… ho paura degli ospedali…

— Nessuno qui è entusiasta, tesoro…

— Fatti curare, poi ci sentiamo.

Anche Sandro se ne andò in fretta: “Lucia è stanca, devo aiutare con il bambino.” Né un abbraccio, né un momento insieme. Niente.

E oggi… Il ghiaccio che scricchiolava sotto i piedi le fece pensare: stava invecchiando. E poteva cadere da un momento all’altro — e nessuno sarebbe venuto. Nessuno.

Poi, improvviso, il ricordo di quell’estate. Aveva trent’anni. Sandro era piccolo, Irene non era ancora nata. Un sanatorio in Liguria. Caldo, silenzio, nessuno che la chiamava. Allora non c’erano telefoni. Solo lei e il mare. Allora era felice.

Quasi trent’anni dopo.

E non aveva mai più vissuto per sé.

Quella sera, a letto, pensò: cosa la tratteneva? I figli erano grandi, con case loro. Niente gratitudine, niente amore. Solo richieste. E lei? Forse non era una persona?

La mattina dopo, si alzò, preparò il caffè, prese un quaderno e scrisse: «Vendere l’appartamento. Comprare una casa al mare. Vivere per me.»

Trovò un agente immobiliare in fretta — un’amica le consigliò. L’appartamento fu venduto in un mese. I soldi sul conto. Tutto in ordine.

Quando tutto fu pronto, chiamò i figli.

— Che succede? — Sandro corrugò la fronte. — Sono appena tornato dal lavoro.

— Mamma, sto uscendo con una collega. È urgente?

— Sì. Devo dirvi una cosa.

— Parla, — sbuffò Irene. — Ma sbrigati. Ho un appuntamento. Ah, ti porto Bobby nel weekend.

— Non potrete, — rispose dolcemente Valentina.

— Perché no?

— Me ne vado.

— Dove?! — dissero insieme.

— In Sardegna. Ho comprato una casa sul mare. Vivrò lì.

Silenzio. Poi Sandro rise:

— Mamma, ma che fantasia! Con quali soldi?

— Ho venduto l’appartamento.

— COSA?! — esplose Irene. — Senza chiederlo a noi? Senza discutere?

— Siete sempre occupati. Non avete tempo per me.

— E come farai lì? Da sola?

— Me la caverò. Ora ho tutto mio. La mia casa, il mio mare, la mia vita.

— Mamma, non hai pensato a noi? — strillò Irene. — Pensavamo che l’appartamento sarebbe stato nostro!

— Anch’io pensavo che voi sareste stati il mio sostegno. Mi sbagliavo. Basta, figli miei. Vi amo. Ma ora scelgo me.

Se ne andarono. Arrabbiati, sconvolti. E lei rimase — sola. Ma per la prima volta in trent’anni, quel “sola” non faceva paura. Era liberazione.

Una settimana dopo, era sulla veranda della sua nuova casa, respirava l’aria salmastra e accarezzava il davanzale. Caldo. Silenzio. Libertà.

A volte, per tornare a vivere, basta andarsene. Andarsene da chi non ti cura. Trovare sé stessi. Il mare. La vita.

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