Quasi Perfetto — Ma Solo Quasi

Quasi bene — ma solo quasi

«Fai di nuovo tardi?» — La voce di Andrea al telefono sembrava provenire non dall’appartamento accanto nel palazzo di Milano, ma dall’altra sponda di un fiume autunnale, dove l’oscurità e la nebbia avevano già avvolto l’acqua.

«Sì, fino alle dieci, forse più tardi. Controllo documenti, la logistica ha di nuovo fatto disastro», rispose Giulia, attivando il vivavoce mentre mescolava il caffè e finiva una mail ai fornitori. Accanto a lei, una pila di stampe nemmeno aperte.

«Sei quasi mai a casa», disse lui dopo una lunga pausa. Senza rancore, solo un dato di fatto. Ma in quella calma c’era una stanchezza. Non per lei, non per la relazione, ma per la sua eterna assenza. Per le serate in silenzio, per i mattini vuoti.

«Lo sai com’è.»

«Lo so.» — Un’altra pausa. Ma non muta. Tesa, densa, come prima di un temporale. In quel silenzio si sentiva troppo: sentimenti trattenuti, domande non dette, un’attesa inquieta.

Giulia odiava quelle pause. Le schiacciavano il petto, come se qualcuno stringesse lentamente e con intenzione. Il silenzio tra loro era sempre colmo — non di suoni, ma di dolore.

Tornò a casa quasi a mezzanotte. Niente luce, solo una striscia fioca dalla lucina nel corridoio — Andrea la lasciava sempre accesa, «perché non inciampi». In quella debole illuminazione, un calzino sparuto sul pavimento — chiaramente non suo. In cucina, un biglietto: «Cena nel forno. Sono andato a letto». La scrittura leggermente frettolosa, come se l’avesse scritto in fretta o con agitazione.

Mangiò in silenzio. Il cibo era tiepido, coperto con cura dall’alluminio. Ma non sentiva il sapore — come se il suo corpo fosse troppo stanco per percepire. Aprì il portatile, diede un’occhiata al rapporto, lo scorse — e subito lo richiuse. Bagno, lavarsi il viso, evitare lo specchio — perché il riflesso era troppo stanco per guardarsi. Si sdraiò accanto a lui. Dormiva. Di spalle. Tra loro, uno spazio. Un po’ più ampio del solito. O forse le sembrava solo così?

La mattina iniziò con il traffico, un tacco rotto e i documenti dimenticati. Sul tram si sedette accanto a una donna sui quarant’anni che al telefono si lamentava con un’amica:

«È tornato all’alba, puzza di sigarette, muto come un pesce. E io, stupida, l’aspetto ancora…»

Giulia trasalì. Come se avesse sentito il suo stesso pensiero — ma capovolto. Quella donna aspettava nonostante tutto. Lei invece viveva con Andrea fianco a fianco, ma come in due mondi diversi.

In ufficio nessuno notò che era arrivata prima. Nessuno ci avrebbe fatto caso, se non per il rapporto consegnato. Il capo annuì, borbottò: «Bene» e si immerse di nuovo nello schermo. Tutto secondo copione: rapporto, cenno del capo, silenzio. Persino il ringraziamento suonava come un ordine.

Giulia andò in cucina, si preparò un tè. Guardò la bustina affondare nell’acqua bollente, lasciando una scia pallida. E per un attimo le parve l’unico movimento reale della giornata. Tutto il resto era meccanico. Rapporti, rapporti, rapporti. Tutto preciso, puntuale, corretto. Ma come se fosse rivolto nella direzione sbagliata. Movimento per spuntare una casella. Per «funzionare», non per «vivere».

A cena mangiarono insieme. In silenzio. Le forchette tintinnavano contro i piatti, il frigo ronzava — rumori di sottofondo. Andrea non la guardava, fissava il tavolo. Poi, all’improvviso, chiese:

«Sei libera stasera?»

«Sì, credo di sì.»

«Andiamo al cinema?»

Annui. Non subito. Dentro di sé, il desiderio di restare a casa lottava con una strana malinconia che la spingeva a uscire, respirare, sentire qualcosa. Poi si avvicinò a lui, lo abbracciò da dietro. Era caldo. Reale. Come un’ancora nella sua tempesta.

«Scusami», sussurrò. «Cerco di tenere tutto insieme: lavoro, casa, noi… Perché non crolli.»

«Lo so», disse lui. «Ma bisogna vivere, non solo tenere tutto in piedi. Non siamo guardiani di mobili.»

Non rispose. Lo strinse solo più forte, poggiando la guancia sulla sua schiena. E in quel silenzio, per un attimo, respirò più leggera.

Andarono al cinema. Qualcosa di rumoroso e spensierato — i ragazzi in sala ridevano, qualcuno sgranocchiava popcorn. Loro sedevano accanto. Si tenevano per mano. E in quel semplice gesto c’era piùE quella notte, per la prima volta da mesi, si addormentarono stretti l’uno all’altra, senza spazio nel mezzo.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

one × five =

Quasi Perfetto — Ma Solo Quasi