«Hai scambiato la mia festa per… un cane?!» — come la morte dell’animale ha rivelato la verità sui rapporti con la suocera

È passato più di due settimane da quel giorno. Un giorno che per qualcuno sarebbe stato motivo per vestirsi eleganti, ricevere auguri, ospitare amici… Per me è stato il giorno di una vera perdita. La morte non sceglie il momento. E tanto meno consulta il calendario delle feste altrui.

Quel giorno moriva Poldo. Il nostro cane. Un membro della famiglia. Quello che aveva vissuto con noi per otto anni, condividendo gioie e dolori. Era gravemente malato. Una settimana prima, il veterinario ci aveva dato la terribile diagnosi: cancro in fase terminale. Sapevamo che la fine era vicina. Ma questo non alleviava il dolore.

Poi arrivò quel giorno. Il compleanno di mia suocera.

Sapevo subito che non sarei andata. Non potevo. Non riuscivo ad abbandonare una creatura morente che mi guardava con occhi devoti, implorandomi di restare.

Mio marito — Alessandro — ci andò da solo. Fu lui a insistere:
“Andrò io a fare gli auguri a mamma, le dirò che sei malata. Tu resta con Poldo. Non deve andarsene da solo.”

Chiamai mia suocera. Le feci gli auguri. A parole. Senza torta, senza sorriso festoso. Non potevo parlare con allegria — la voce mi tremava. Ma fui educata. Almeno, ci provai.

Quella sera stessa Poldo morì. Mentre Alessandro era seduto a tavola, ascoltava brindisi e vedeva sua madre aprire i regali, io stringevo tra le mani la sua zampa. Lo accarezzavo sulla testa. Sussurravo:
“Grazie. Per tutto.”

Non chiamai mio marito. Non volevo rovinare la festa. Lo scoprì appena varcò la soglia di casa. Ci abbracciammo a lungo. Piangevamo. In silenzio. Ci salutavamo.

Due giorni dopo, suonò il telefono.

“Allora?” — la voce tagliente di mia suocera. “Aspetto ancora che ti scomodi a scusarti! Non chiami, non ti fai viva, non sei venuta. Mi hai rovinato la festa!”

“Poldo è morto. Non eravamo in vena di festeggiare…” risposi a bassa voce.

“Ma figurati, un cane! E neanche di razza! Hai preferito un bastardino a uno dei giorni più importanti! È mancanza di rispetto! È maleducazione! E stai mettendo mio figlio contro di me!”

Appoggiai la cornetta. Non c’era niente da dire.

Con la madre di mio marito i rapporti sono sempre stati tesi. È una di quelle donne che si credono nel giusto a priori. Se ha cresciuto un figlio così “perfetto”, allora ha il diritto di comandare tutti.

Per sei anni ho taciuto. Sopportato. Ogni anno, il suo compleanno diventava per me una tortura. Prima facevamo la spesa insieme. Poi io, come una sguattera, passavo ore a cucinare tutti i piatti che lei aveva “pensato”. Preparavo la torta. Pulivo. Decoravo. E tutto sotto il suo controllo severo:
“Non hai tagliato bene qui.”
“La carne è un po’ asciutta.”
“Perché l’insalata non è nella ciotola di cristallo?”

E poi, la serata di festa, dove dovevo sorridere mentre dentro mi divorava il rancore. E dopo, i piatti, le pulizie, e mai un “grazie”.

Tre anni fa, il fratello di Alessandro si è sposato. Sua moglie è brava in cucina, intelligente. Ora la cucina è affidata a lei. Ma tutto il resto? Rimane a me. Le pulizie. I sorrisi forzati. E la solita finzione.

E quest’anno ho disubbidito. Ho scelto di stare non con lei, ma con chi mi ha amato in silenzio, sinceramente, con tutto il cuore. Con chi aveva bisogno di me negli ultimi istanti della sua vita. Non mi pento.

Ora mia suocera fa scenate. Mi scrive messaggi pungenti. Mi insulta. Dice ad Alessandro che “lo sto allontanando da sua madre”. Io… non voglio litigare. Ma non posso più fingere, sopportare, chinare il capo davanti al disprezzo. Non chiedevo compassione. Solo silenzio. Rispetto. Comprensione. O almeno il diritto di tacere.

Dimmi, ho davvero agito egoisticamente a restare accanto a un cane morente? O forse ci sono cose più importanti delle cene ipocrite e delle aspettative altrui?

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