“Ve li ho cresciuti in cinque, e non volete mantenere un solo padre”
Drammatica storia dalle campagne d’Italia
“Vincenzo, alzati, è mattino da un pezzo, è ora di andare a lavoro!” scosse il marito Valentina, tenendo in una mano una padella bruciata e nell’altra la solita speranza che stesse scherzando.
“Non mi alzo. Lasciami stare, Vale. Basta. Non tornerò più in fabbrica,” borbottò Vincenzo senza aprire gli occhi, girandosi verso il muro.
La moglie prima rise—dopotutto, le ferie erano finite, era solo stanco.
“Ma dai, che sciocchezze! Abbiamo festeggiato il matrimonio di Lisa, ci siamo riposati, ora è ora di tornare alla routine. C’è tanto da fare!”
“Ti dico sul serio. Basta. Mi sono licenziato. Ho scritto la lettera prima delle ferie. Ieri è stato il mio ultimo giorno.”
“Vincenzo, sei pazzo?! Dove troverai un altro lavoro? Mancano due anni alla pensione! Resisti ancora un po’!” Valentina impallidì e quasi lasciò cadere la padella.
“Non ce la faccio più. Non ho forze. È finita. Abbiamo cresciuto cinque figli. Tre maschi, due femmine. Li abbiamo tutti istruiti, sistemati. Messo in piedi. E io? Ora voglio solo riposare. Ho fatto la mia parte.”
“Non hai cervello, se pensi di vivere alle spalle dei figli,” sospirò la moglie, afflitta. “Chi ti manterrà? La mia pensione è una miseria. E tu, invece, vuoi farti mantenere?”
“Certo. Non sono estranei. Cinque! Non possono mantenere un padre?”
“Ma sei impazzito, vecchio rimbambito!” sbottò Valentina. “I figli hanno già le loro preoccupazioni. Hanno mutui, nipoti a scuola. E tu… fannullone!” Lo afferrò per la manica e lo strattonò.
Lui si liberò di scatto, e lei sbatté dolorosamente contro l’armadio.
“Non toccarmi. Ho deciso. Punto.”
Le lacrime affiorarono negli occhi di Valentina. Sapeva bene: quando il marito decideva, non c’era modo di fargli cambiare idea. Si alzò di scatto, si mise lo scialle e corse dalla vicina, zia Rosa, una vecchia saggia, a cui chiedevano consiglio persino i carabinieri.
“Zia Rosà, che disgrazia! Vincenzo è impazzito! Si è licenziato, dice che non può più lavorare. Cosa faccio? Come lo faccio ragionare?”
“Ma perché fai tanto chiasso. È vero, è stanco. Crescere cinque figli non è come sbucciare castagne. Si è logorato, si vede. Lascialo riposare. Trattalo con dolcezza.”
“Sì, certo! Gliela farò vedere io, la dolcezza! Quando verranno i figli, gli organizzeremo una bella ‘vacanza’!” disse Valentina con uno sguardo carico di rabbia.
Una settimana dopo, la famiglia era riunita. Valentina aveva chiamato tutti, preparato piatti a non finire, perché nessuno andasse via affamato. Ridevano, si abbracciavano, i nipotini correvano in cortile. Ma a tavola, appena sparecchiato, cadde un silenzio pesante.
“Papà,” fu il maggiore, Alessandro, a romperlo, “è vero che ti sei licenziato?”
“È vero, figlioli. Ho deciso—basta. Non ho più forze.”
“Ma come, papà?” intervenne Marco, il secondo. “Mancano due anni. Resisti. Non ha senso!”
“Ho deciso. Ho più di quarant’anni di lavoro. La pensione arriverà. E voi… siete in cinque. Potete mantenere un vecchio, no?”
La moglie, dietro di lui, trionfava, mentre i figli si agitavano. Alessandro tossicchiò:
“Be’… abbiamo un mutuo, stiamo comprando la macchina. Sarà difficile.”
“Noi abbiamo Lisa alle lezioni di musica, i ripetitori. I soldi volano, sai com’è,” aggiunse la moglie di Marco. Lui taceva.
“Io… ho iniziato i lavori in casa. Devo finire prima dell’inverno, poi vendiamo. Non posso fare di più,” sospirò Luca, il più giovane.
Le figlie parlarono tutte insieme. Una aveva comprato mobili a rate, l’altra il marito era all’estero per lavoro, non vedevano soldi da mesi. Valentina si alzò come un generale prima della battaglia:
“Vedi, Vincenzo? Ognuno ha i suoi problemi. E tu vuoi essere un peso. Non ti vergogni? VE poi, ogni sera, nel silenzio della casa vuota, Valentina chiudeva gli occhi e sentiva ancora l’eco di quelle parole, come un’ombra che non la lasciava più.