Quasi tutto a posto

**Tutto quasi a posto**

— Rimani di nuovo fino a tardi? — La voce di Nicolò al telefono era attutita, quasi arrivasse da lontano, dalla riva di un fiume freddo in Lombardia, dove il crepuscolo si faceva già sentire.

— Sì. Fino alle undici, forse più. Abbiamo un’emergenza con le consegne — rispose Giulia, attivando il vivavoce. Con una mano terminava un’email per un cliente, con l’altra mescolava il tè ormai freddo. La tazza era sul bordo del tavolo, accanto a bozze di rapporti che non aveva mai nemmeno aperto.

— È come se non vivessi più qui — disse lui dopo una lunga pausa. Senza accuse, solo un fatto. Ma in quelle parole c’era una malinconia infinita: per le sue ore di lavoro interminabili, per le serate vuote, per le mattine in cui le loro conversazioni si dissolvevano nel silenzio.

— Lo sai com’è — replicò lei, sentendo la voce tremare di stanchezza.

— Lo so. — Il silenzio si fece pesante, come l’aria invernale. In quel silenzio c’era l’eco di parole non dette, che entrambi sentivano ma non avevano il coraggio di pronunciare.

Giulia odiava quel silenzio. Era troppo vivo, troppo pieno. Vi affogavano le loro mezze verità, la fatica, il loro fingere che tutto tenesse ancora.

Tornò a casa dopo la mezzanotte. L’appartamento nel quartiere residenziale di Milano la accolse con il buio, solo nell’ingresso una lampadina fioca brillava — Nicolò la lasciava sempre accesa, «perché non inciampi». La luce disegnava una striscia stretta sul pavimento, illuminando un calzino solitario, sicuramente suo. In cucina c’era un biglietto: *«Cibo nel microonde. Dormo.»* La grafia era tremolante, come scritta di fretta, quasi scappando da qualcosa.

Si sedette, riscaldò la cena, mangiò nella semioscurità senza sentire il sapore. Tutto era al suo posto: il cibo caldo, la luce soffusa, la cura in quelle due righe. Ma dentro di lei tutto si stringeva per il freddo. Aprì il portatile, scorse un report, lo chiuse. Lo schermo la fissava vuoto, come uno specchio senza risposte. Poi andò in bagno, si lavò evitando il proprio riflesso — occhi troppo stanchi, troppe notti insonni. Si sdraiò accanto a Nicolò. Lui dormiva di spalle, respirava piano. Tra loro c’era un po’ più di vuoto rispetto alla sera prima. O forse le sembrava soltanto così.

La mattina iniziò con il traffico e una cinturina della scarpa rotta. In autobus, Giulia si trovò accanto a una donna di una quarantina d’anni che si lamentava al telefono: «È tornato all’alba, muto e puzzava di birra, e io, stupida, continuo ad aspettarlo». Quelle parole la colpirono come un’eco. Ma al contrario. Quella donna aspettava nonostante il dolore. Lei, invece, viveva con Nicolò ma come in un altro universo, dove i loro mondi si sfioravano appena.

In ufficio, il capo non notò che era arrivata prima. Non avrebbe notato neanche il report se non glielo avesse messo sotto il naso. Borbottò «Va bene», senza staccare gli occhi dallo schermo. Tutto seguiva il solito copione: compiti, rapporti, un cenno, silenzio. Persino i complimenti suonavano come ordini.

Giulia andò nella piccola cucina dell’ufficio, preparò un tè. Guardò la bustina immergersi lentamente nell’acqua calda, lasciando dietro di sé una scia scura, come se dissolvesse qualcosa di invisibile. Era l’unica cosa che le sembrava vera in quel momento.

A un certo punto, capì: tutto ciò che faceva era impeccabile. Esecuzione perfetta, nessun errore. Ma era un correre senza meta. Come un’auto che sfreccia su una strada liscia ma senza destinazione. Tutto filava liscio. E senza senso. Dava tutto sé stessa a quei report, a quelle scadenze, a quelle spunte, dimenticandosi di chiedersi: dove la portavano, se non a un’altra cartella sul desktop?

La sera cenarono insieme. Nel silenzio. I cucchiai tintinnavano sui piatti, fuori il vento soffiava e il frigorifero ronzava piano, un promemoria che la vita andava avanti. Nicolò fissava il piatto, evitando il suo sguardo. A un tratto domandò:

— Stasera non lavori fino a tardi?

— Non dovrei — rispose lei, sentendo la voce tremare di speranza.

— Forse potremmo andare al cinema?

Annuì, esitando, come se stesse valutando se avesse la forza di vivere, non solo di correre. Poi gli si avvicinò, lo abbracciò da dietro. Lui era caldo, vivo, reale. Come un faro nella tempesta, a cui aggrapparsi se tutto avesse cominciato a crollare.

— Scusa — sussurrò. — Voglio solo che tutto rimanga intero. Il lavoro, noi, casa… Tutto insieme.

— Lo so — rispose piano. — Ma non stiamo costruendo una fortezza. Stiamo vivendo. Vero?

Rimase in silenzio. Si strinse solo alla sua schiena, annusando l’odore della sua camicia. Lui le strinse la mano, come se fosse l’unica cosa che potesse tenerli uniti.

Al cinema scelsero una commedia leggera — inseguimenti, battute ed esplosioni. La trama si perdeva nel frastuono, ma non importava. Nel buio della sala, i sedili erano morbidi, lo schermo enorme e le loro mani intrecciate. Finalmente respirare era più facile.

Camminarono per le strade della sera. Il vento portava l’odore dell’asfalto bagnato e dei tigli in fiore, i lampioni proiettavano una luce calda che rendeva le case quasi irreali. Qualche ragazzo rideva poco lontano, e quella risata sembrava una vita estranea, ma accogliente. Nicolò raccontava cose — di un collega che aveva comprato un’auto vecchia, di un episodio in metropolitana. Niente di importante, ma era quel rumore di fondo, quella normalità di cui Giulia si rese conto, all’improvviso, di aver disperatamente bisogno.

Davanti al portone si fermò. Qualcosa dentro di lei vacillò — non paura, non dubbio, ma una pausa da cui nacque una parola.

— Sai — disse. — Per me è quasi tutto a posto. Quasi.

Nicolò la guardò con attenzione. Nei suoi occhi non c’era sorpresa, solo calore, come se avesse aspettato quelle parole da una vita.

— Allora sistemiamo tutto. Non subito. Un passo alla volta.

Annuì. E per la prima volta da molto tempo, desiderò non solo sopravvivere, non solo resistere. Ma vivere. Non farcela — essere.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

one × 5 =

Quasi tutto a posto