Fin da piccola, Beatrice aveva sentito dire che le donne della sua famiglia erano destinate alla sfortuna. Sua bisnonna aveva perso il marito in guerra, sua nonna aveva rovinato la salute in una fabbrica, e il padre di sua madre li aveva abbandonati quando lei aveva solo tre anni. Bea spesso immaginava che anche il suo matrimonio sarebbe finito in tragedia. Non lo voleva, ma l’ombra di quella maledizione familiare aleggiava su di lei.
Il suo futuro marito, Riccardo, lo incontrò in una piccola officina alla periferia di Napoli, dove entrambi lavoravano. Lui riparava macchinari, lei smistava pezzi. Li unì la mensa aziendale, dove durante la pausa pranzo iniziarono a chiacchierare. La decisione di sposarsi arrivò in fretta. Celebrarono un matrimonio semplice e si trasferirono nel suo bilanciere in Via Garibaldi. La nonna era già mancata, e quella casa divenne la loro.
La vita scorreva tranquilla. Prima nacque Luca, poi il più piccolo, Matteo. Poco dopo morì la madre di Bea. Ora toccava a lei occuparsi della casa e dei figli da sola. Non si lamentava: Riccardo portava a casa lo stipendio, e il suo compito era badare alla famiglia.
Ma dopo qualche anno qualcosa cambiò. Riccardo iniziò a tornare tardi dal lavoro, a parlare sempre più spesso di una giovane collega che «lo aiutava con i rapporti». Bea notò il suo allontanarsi: entrava in casa solo per cambiarsi, a volte spariva per giorni. Capiva, ma la paura di restare sola con i bambini la paralizzava.
— Lasciala, pensa ai tuoi figli — osò dirgli una sera.
Lui tacque. Niente scuse, niente urla — solo silenzio di ghiaccio.
Bea continuò a prendersi cura di lui: cucinava, stirava le sue camicie.
— Sai solo fare la serva — le sibilò con disprezzo dopo un altro tentativo di parlare.
Lei sperò che rinsavisse. Ma una sera Riccardo fece le valigie.
— Non lasciarci, ti prego! Non privare i bambini del padre! — singhiozzò Bea.
— Sei solo una miserabile serva — tagliò corto lui, guardandola con disgusto.
Quelle parole le sentirono i figli. Luca e Matteo, stretti l’uno all’altro sul divano, videro il padre andarsene. Non capivano. Forse non erano stati abbastanza bravi? Forse la mamma aveva sbagliato qualcosa?
Videro tutto: le lacrime di lei, i suoi sforzi per non crollare, la dedizione senza fine. Cercavano di aiutare: lavavano i piatti, riordinavano. Bea si dedicò completamente a loro e al lavoro. Di nuovi amori neppure l’ombra — i figli erano il suo universo.
Ma il destino aveva altri piani. Un giorno, al supermercato, Bea fece cadere un pacco di riso. Un uomo lo raccolse prontamente.
— Posso aiutarti con la spesa? — sorrise.
Lei esitò, ma lui prese le borse senza aspettare una risposta.
— Dai, ci penso io — disse, e lungo la strada iniziarono a parlare.
Si chiamava Andrea. Avevo un sorriso buono, la voce calma e una leggera zoppia. Bea lo ringraziò e salutò, senza aspettarsi di rivederlo. Ma Andrea ricomparve nello stesso negozio, come per magia. Così nacque la loro amicizia.
Bea faceva le pulizie nel palazzo. Di solito i figli la aiutavano, ma quel giorno era da sola.
— Posso darti una mano? — una voce familiare.
Andrea era lì. Le aiutò a finire, e quella sera lei lo invitò a cena. Lui arrivò in giacca e cravatta, con un mazzo di margherite e una scatola di pasticcini.
— Buonasera — disse, porgendo i dolci ai bambini.
Luca, il maggiore, annusò i pasticcini, scatenando le risate di tutti. La tensione svanì. A tavola, Bea fece cadere il cucchiaio, e Andrea lo acchiappò al volo.
— Giochi a pallacanestro? — chiese Matteo.
— Da ragazzo, ma è passato un po’ — rise lui.
— Ti mostriamo il nostro campo! — propose Luca. — Io e gli amici giochiamo sempre.
Il giorno dopo si riviste. Andrea si confessò:
— Avrai notato che cammino piano e parlo piano. Ho avuto un incidente. Mia moglie non ha voluto restare con me. Forse ora nemmeno tu…
Bea tacque, per non metterlo in imbarazzo.
— Se i miei ragazzi non ti pesano, vieni pure — sorrise alla fine.
Andrea divenne parte della loro vita. Gentile, giocava con i bambini, aiutava in casa. All’inizio fu strano, ma poi si affezionarono. Era il padre che Riccardo non era mai stato. Giocavano a basket, invitavano amici, e la casa si riempì di gioia.
Passarono anni. Luca trovò una ragazza, Matteo si appassionò alla musica. Una sera Luca chiese addirittura consiglio ad Andrea. Ma una sera bussarono alla porta. Bea aprì e impietrì. Sulla soglia c’era Riccardo.
— Ho sbagliato — disse. — Voglio rimediare.
— Vattene! — urlò Luca, serrando i pugni.
— Come ti permetti, moccioso?! — esplose Riccardo.
— Non parlare così a mio figlio! — tuonò Andrea, facendosi avanti.
Pronto a difendere la sua famiglia.
— Non ti vogliamo! — gridò Matteo, spingendolo fuori e sbattendo la porta.
— ProvBeatrice guardò i suoi uomini—Andrea, Luca e Matteo—e per la prima volta sentì che la maledizione era finalmente spezzata.