«Il cuore non perdona: la storia di una madre e di un bambino»

**”Le polpette si raffreddano, ma il cuore no”: come una volta mamma se ne andò con il bebè e perché non tornò più**

In cucina profumava di polpette fritte. Laura le rigirava abilmente nella padella, cercando quella croccante doratura perfetta. Nella stanza accanto, il piccolo Riccardo russava dolcemente nella culla. La giornata era stata stancante — notte in bianco, bucato, pulizie, cucinare, pannolini di nuovo. E tutto da sola.

Improvviso, un pianto. Quel singhiozzo che fa gelare il cuore a ogni mamma.

“Marco, va’ da Riccardo!” gridò Laura, senza girarsi, sperando in una reazione del marito.

Silenzio.

Lasciò il mestolo, abbandonò la padella sul fuoco e corse in camera. Prese il bimbo in braccio, lo cullò, lo calmò. Tornata in cucina, sentì l’odore amaro delle polpette bruciate.

“Ecco, polpette nella spazzatura. Grazie, Marco,” disse con amarezza.

Il piccolo ricominciò a frignare. E Marco? Lui era inchiodato davanti alla tv, dove passava la sua partita preferita.

“Marco! Non ce la faccio più! Occupati di tuo figlio!” gridò Laura, alzando la voce. E dalla stanza esplose un urlo entusiasta:

“GOOOOL!!!”

Il piccolo Riccardo scoppiò in lacrime ancora più forte.

Laura corse di nuovo da lui, stringendoselo al petto. Non sentiva più la stanchezza—dentro ribolliva tutto. Tornata in cucina, si sedette a tavola, chiudendo gli occhi. Poi si avvicinò a Marco.

“Marco, per favore. Porta Riccardo a fare una passeggiata. Devo finire in cucina e anche solo respirare un attimo…”

“Non vedi che sono occupato?” fece lui, senza distogliere lo sguardo dallo schermo.

“Basta. Ne ho avuto abbastanza,” disse Laura gelida. “Goditi la tua libertà, Marcolino. Me ne vado. Da mamma.”

Fece le valigie, preparò il bambino. Un vicino la aiutò con la carrozzina mentre usciva dal palazzo. Un’ora dopo, bussava alla porta di casa sua madre.

“Mamma, resteremo qui io e Riccardo. Per un po’.” La voce le tremava, ma negli occhi c’era fermezza.

“Rimanete pure, quanto volete,” rispose la madre. “Cos’è successo, avete litigato?”

“No, è solo che sono stanca. Tu sei in ferie, aiutami un po’, va bene?”

La sera, squillò il telefono. Sul display: “Marco”.

“Laura, dove sei andata?” chiese lui, confuso.

“Te l’ho detto prima di uscire. O la partita era più importante?”

“Non ho sentito niente…” borbottò.

“Ecco il problema—non senti mai. Me. Nostro figlio. Solo te e la palla che rotola.”

“Eccoci di nuovo,” sbuffò lui e riattaccò.

Un’ora dopo, un’altra chiamata:

“E la cena? Perché non l’hai preparata?”

“E tu perché non mi hai mai aiutato? Non ho avuto tempo. Sai perché? Perché tutto ricade su di me.”

“E quando torni?”

“Non lo so. Forse tra un mese. Forse due.”

“Ma allora perché ti sei sposata, se non sai staccarti da tua madre?!”

“Perché? Per cucinare, pulire, lavare e ascoltare i tuoi commenti sul calcio?! Il sogno di ogni bambina!”

“Vuoi che faccia le cose da donna? Macché! Preferisco divorziare piuttosto che fare lo schiavo!”

“Divorzia pure.” Riattaccò.

La madre, seduta in salotto, si avvicinò:

“Allora avete litigato, eh?”

“Mamma… io non sono la governante. Ho le notti insonni. Non chiedo tanto—solo un po’ d’aiuto. E lui urla: ‘Divorzio!’ Che vada al diavolo.”

“Laura, non esagerare. Lui ha torto, ma il bambino ha bisogno anche di suo padre. Forse non è tutto perduto.”

Passò una settimana. Chiamata.

“Laura, mi manchi… torna a casa,” la voce di Marco era patetica.

“Sto appena ricominciando a respirare. Grazie a mamma.”

“Quindi non torni?” tono improvvisamente cambiato.

“Torno. Se mi aiuti. Non chiedo che ti svegli la notte, ma almeno nei weekend. Sei suo padre.”

“Non ci sperare! Sono un uomo, non una donna! Quelle sono cose da femmine!”

Passò un mese. Riccardo ormai dormiva tutta la notte. Laura finalmente respirava. Un sabato, disse alla madre:

“Mamma, vado da Marco. Voglio provare a riappacificarmi. Poi insieme torneremo a prendere Riccardo.”

“Era ora, piccola. Prova ancora.”

Laura tornò a casa. Aveva ancora le chiavi. Aprì la porta. Si tolse le scarpe. E vide, nell’ingresso, scarpe da donna.

Il cuore le si ghiacciò.

Entrò in camera. Lui era lì, sul letto. E non era solo.

Si voltò, pallidissima.

“Laura! Aspetta! Non è niente di serio! Io… ti amo solo te!” Marco le corse dietro, disperato.

Lei neanche si voltò. Quelle parole non significavano più nulla.

Avrebbe potuto perdonare molto—indifferenza, pigrizia, persino la sua ossessione per il calcio. Ma non il tradimento. Non davanti a suo figlio. Non nella casa dove voleva tornare con speranza.

A volte, tutto ciò che una donna chiede è essere ascoltata. Non per le urla, ma per il silenzio in cui il bambino dorme sereno. Per una casa dove non tira tutto il peso da sola. Per un uomo che non ha paura di tenere in braccio sia il figlio che la propria moglie.

Ma se invece di prendersi le responsabilità, l’uomo tiene solo il telecomando—be’, allora non lamentarti se un giorno lei se ne andrà. E non tornerà.

Neanche se le polpette non bruciano più.

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