Ombra di Premura: una storia d’amore e manipolazione
Nella pittoresca cittadina di Fiorita, dove le strade erano immerse nel profumo dei fiori d’arancio, Giulia preparava la cena quando suo marito, Marco, fece capolino in cucina, grattandosi goffamente la nuca.
— Giuli, mamma ha portato di nuovo una pentola, — borbottò lui. — Dice che è d’acciaio inossidabile, di marca italiana.
— E naturalmente ora siamo in debito? — Giulia, senza smettere di tagliare le verdure, gli lanciò un’occhiata tagliente.
— Beh… più o meno, — esitò Marco.
— Avrebbe potuto attaccarci il prezzo sul manico, così non lo dimentichiamo, — rispose con sarcasmo. — I suoi “regali” mi stanno già sullo stomaco.
— Dice che la nostra vecchia pentola non vale nulla, — cercò di giustificarsi lui.
— Marco, ne abbiamo già un’intera mensola! E tutte ottime! — Giulia posò il coltello, la voce tremante di rabbia trattenuta.
Marco esitò sulla soglia, sospirò pesantemente e si allontanò verso il salotto. Non era la prima volta. Prima erano state le tovaglie, poi i piatti, le tende, il cesto della biancheria — tutto “dal cuore”. E poi, inevitabili i sottintesi: «La pensione non è infinita, ma per voi faccio sacrifici».
Elena, la madre di Marco, era entrata nelle loro vite da poco. Prima viveva in un paese vicino, e il nipote, Luca, lo vedeva solo nelle foto dei messaggi. Quando Luca era nato, aveva chiamato una volta, chiesto il nome e poi sparito. Giulia aveva pensato: «Forse è meglio così. Senza suocera, si respira più leggeri».
Ma tutto era cambiato l’autunno scorso. Elena era caduta davanti al portone, con il femore rotto. Dopo l’operazione, non poteva vivere da sola. Non aveva altri parenti, e Marco aveva proposto:
— Che stia da noi finché non si riprende. Due settimane, al massimo un mese.
Un mese divenne quattro. Elena si era sistemata in salotto, occupando il divano, passava le giornate al telefono e guardava soap opera a volume altissimo. E aveva cominciato a dispensare consigli — apparentemente premurosi, ma carichi di veleno.
— Perché avete un tappeto così piccolo nell’ingresso? — strizzava gli occhi. — E la carta da parigi in camera? Scura, opprime l’anima. E l’aspirapolvere è vecchio, è ora di cambiarlo!
Poi erano arrivate le spese: il frullatore, la padella, la vaporiera — tutto ciò che, a suo dire, «non va bene nemmeno per me». Elena portava scatole senza preavviso, aggiungendo:
— Me li ridarete quando potrete. Lo faccio per voi, mica sono una sconosciuta.
Giulia e Marco non riuscivano a difendersi dalla sua “generosità”. Persino quando Elena si era trasferita in un appartamento in affitto nel quartiere vicino, il flusso di regali con “debiti” non si era fermato.
— Marco, le hai restituito i soldi per il frullatore? — chiese Giulia quella sera, asciugandosi le mani.
— Sì, a rate, — borbottò lui.
— E per la padella?
— Mancano ancora centocinquanta euro, — ammise.
Giulia scosse solo la testa. Non aveva voglia di discutere. Il lavoro, la casa, Luca da preparare per la scuola — le preoccupazioni erano tante. I discorsi con Elena passavano sempre per Marco, ma finivano allo stesso modo: lei si lamentava della pressione alta, delle medicine care e della pensione misera. Marco cedeva.
— Cosa avrei dovuto dirle? — si giustificava. — Vuole solo aiutare.
— Non è aiuto, Marco, — rispose stanca Giulia. — È pressione. Solo confezionata bene.
Lui tacque, consapevole che aveva ragione. Ma la paura di deludere la madre, radicata dall’infanzia, era più forte.
Giulia guardò il figlio e sentì il cuore stringere. «Luca vede tutto, — pensò. — Cosa imparerà? Che bisogna sopportare quando gli adulti invadono la tua vita? Che il “bene” va ringraziato, anche se ti soffoca?»
Capì: non poteva continuare così. Non per le pentole o i soldi, ma per il figlio. Doveva sapere che la premura senza rispetto non è amore, è controllo.
L’occasione arrivò da sola, ma a quale prezzo!
Luca tornò dalla passeggiata con la nonna insolitamente silenzioso. Elena, raggiante come un albero di Natale, entrò con buste e uno zaino enorme.
— Ho preparato tutto per Luca per la scuola! — annunciò con orgoglio. — Sarà all’altezza degli altri!
Giulia si irrigidì. Il giorno prima avevano fatto shopping insieme, scelto uno zaino con gli “Avengers”, i quaderni, delle scarpe comode.
— Cosa hai comprato? — chiese, trattenendo un tremore nella voce.
— Due completi, più grandi. Un piumino — costoso, ma caldo. Scarpe da ginnastica, scarpe di pelle in saldo. E le piccole cose: un astuccio con un eroe, rosso, come piace a lui, — elencò Elena.
Luca guardava a terra, imbronciato. Elena se ne andò, promettendo di «parlare del prezzo dopo». Giulia chiamò il figlio in cucina.
— Luca, hai scelto tu queste cose?
— No, — rispose piano, tirandosi una manica. — La nonna ha detto che sa lei cosa è meglio. L’astuccio ha Spiderman, ma a me non piace. Le scarpe stringono.
— E allora perché le avete prese?
— Dice che si allargheranno, — mormorò.
— E perché non mi hai chiamato?
— Non lo so… Non me l’ha chiesto, — Luca abbassò la testa, colpevole.
Le sue parole ferirono più dell’arroganza della suocera. Il figlio stava imparando a tacere, sopportare, adattarsi — come lei stessa aveva fatto.
Quella sera, Elena chiamò.
— Contribuite, — disse allegra. — Il completo, il piumino, le scarpe, il materiale — almeno cinquecento euro. Vi mando lo scontrino del piumino.
Giulia strinse il telefono, ma rispose calma:
— Elena, non ha pensato a chiederlo a noi? O almeno a Luca? Avevamo già comprato tutto. E un astuccio con i suoi eroi preferiti. E scarpe che non stringono.
— Vi faccio un favore e mi sputate in faccia? — s’infiammò la suocera. — Volete farmi passare per cattiva? Io so cosa serve a mio nipote! Chi lo porterà a scuola? Io! Tocca a me farlo diventare qualcuno!
Sbatté il telefono. Giulia espirò, ma la tensione non si scioglieva.
— Domani vado da lei, — disse Marco. — Parlerò. Ma… non sperare in miracoli.
Si ripresentò dopo un paio d’ore, scrollando le spalle.
— Non mi ha fatto entrare. Ha urlato dalla porta che l’abbiamo sfruttata. Che si dà da fare e noi siamo ingrati.
— E tu cosa hai risposto? — chiese piano Giulia.
— Ho detto che avevi ragione. Che l’ho sempre sopportato da bambino. E che non può impicciarsi così delle nostre vite.
Il suo sguardo si ammorbidì. Marco per la prima volta era dalla sua parte senza riserve. Era un piccolo passo, ma importante.
Passò una settimana di silenzio. Elena non chiamò, non si fece vedere, non portò “regali”. La tensione in casaE quella notte, mentre Luca dormiva sereno nel suo letto con le stelle sul soffitto, Giulia e Marco si strinsero la mano nell’oscurità, sapendo che avevano finalmente trovato il coraggio di spezzare quel circolo vizioso e ricominciare a respirare.