**Diario di un Padre**
Anche oggi la mia Elisabetta passeggia avanti e indietro per casa, nervosa. Ogni sera, ormai da settimane, mio figlio Federico torna tardi. Ieri addirittura all’alba. Gli ho detto chiaro che poteva almeno chiamare, farmi sapere, evitarmi quest’ansia. Abbiamo litigato. E adesso eccola di nuovo, che conta i passi, guarda l’orologio, sospira.
“Lo amo, ma almeno un messaggio! Prima o poi si sposerà. Dovrei abituarmi. Chissà poi che moglie troverà, quanti altri pensieri. Meglio non pensarci. È adulto, certo, ma il cuore fa male lo stesso.” Elisabetta non riesce a smettere di tormentarsi.
Un tempo rideva delle madri che soffocavano i figli ormai grandi, e ora è la prima a farlo. Ogni ragazza con cui Federico ha avuto una relazione, se gliel’ha presentata, le sembrava indegna. Come tutte le madri, pure lei crede che suo figlio dovrebbe chiederle consiglio per una scelta così importante. Lei sa cosa è meglio per lui. I pensieri si accavallano, senza fine. Almeno tornasse a casa.
Finalmente la porta si apre, ed Elisabetta trasale, anche se aspettava in silenzio. “Eccolo!” Corre in corridoio, ma a metà strada si blocca, torna in cucina e si siede, le mani strette sul tavolo.
“Mamma, perché non dormi?” Federico è sulla soglia.
“Lo sai che mi preoccupo. Potevi almeno avvisarmi,” dice con tono di rimprovero.
“Mamma, sono grande, non devo renderti conto di ogni mio passo.”
“Dove sei stato?” Elisabetta lo fissa, sfidante.
“Da Sofia.” La voce di Federico si fa più dolce, un tono più basso.
“Un’altra ragazza, immagino, e pure l’ultima non sarà. Ma la madre ce l’hai solo una.” Non riesce a nascondere la gelosia.
“Perché un’altra? Lei è l’unica. Come te, mamma.” Federico si avvicina, le bacia la guancia. “E non parlarle male. Poi litighiamo e ti pentirai. E poi, come farei a scegliere una sposa senza conoscere nessuna? Hai sempre detto di non sposare la prima che capita. Giusto?”
“Giusto,” ammette Elisabetta. “Quindi… hai già scelto?”
Federico si accovaccia accanto a lei, cerca il suo sguardo. Elisabetta sente il cuore sciogliersi. Somiglia tanto a suo padre! Lo stesso sorriso, gli stessi occhi.
“Sì, mamma,” sussurra, appoggiando la testa sulle sue ginocchia.
“Allora presentamela,” dice, ormai più calma.
“Certo, solo che…” Federico solleva lo sguardo.
“Cosa? C’è qualcosa che non va?” Elisabetta teme che venga fuori che ha trovato un’anima randagia, come quando da piccolo portava a casa gattini e cuccioli trovati in strada.
La compassione è una bella cosa, ma non si può salvare il mondo. Allora fingeva un’allergia, starnutiva, e Federico sistemava gli animali da qualche parte. Ma oggi non funzionerebbe.
Sta per parlare, ma lo sguardo di Federico la frena.
“Con lei va tutto bene, mamma. È splendida, cucina divinamente. Ma non è sola.”
“Ti sei innamorato di una donna sposata?”
Forse il suo terrore si legge in faccia, perché Federico subito replica:
“No, certo! Ma ha un figlio. Ha cinque anni.”
“Cinque?” Elisabetta sbuffa. “Quanti anni ha lei, allora?”
“Più di me.”
“Capisco.” Un nodo le serra la gola.
Il suo adorato Federico, per cui avrebbe fatto di tutto, si è innamorato di una donna più grande, con un bambino al seguito!
“Cosa capisci, mamma? La amo. Ogni errore può essere rimediato. L’hai sempre detto tu.”
“Già. Ma certi errori durano una vita. E le ragazze giovani non ti interessano più?” la sfida.
“Ecco perché non ti dicevo niente. Sapevo che non avresti capito.” Federico si alza di scatto. “Ricordi quella collega di cui mi parli? Quella ragazza ingannata da un uomo, lasciata sola con una figlia? Come la compativi! Dicevi che meritava una seconda occasione, un bravo uomo che fosse padre per quella bambina. Perché quel bravo uomo non posso essere io?”
“Figlio mio, l’amore va e viene. Anch’io amavo tuo padre, ma lui ci ha lasciati.”
“Appunto, mamma. Non è detto che con una ragazza giovane duri per sempre. Io amo Sofia. E amo suo figlio. Se sarai contro di noi, la scelta è fatta. Basta così.”
“Ti ho cresciuto sognando la tua felicità…”
“Basta! È la mia vita. Se continui così, me ne vado.” E se ne va in camera sua.
“Federico…”
La mattina dopo esce senza colazione. Non si parlano. Torna tardi, si chiude in camera. Elisabetta non sa più cosa fare. Le sembra ieri la cullava tra le braccia, gli cantava ninne nanne, gli medicava i ginocchi sbucciati. E ora ha una vita sua, lontana da lei. Difficile accettarlo.
“Federico, parliamone,” tenta un giorno.
“Quando sarai pronta ad ascoltarmi davvero.”
“Davvero la ama. Se insisti, lo perderai,” le dice la signora Marisa, la più anziana tra le colleghe.
Elisabetta non resiste, le confida tutto durante la pausa pranzo. Ha bisogno di conforto, di un silenzio che assorba il dolore.
“So di aver sbagliato, ma non riuscivo a fermarmi,” mormora, gli occhi lucidi.
“Volevi che restasse eternamente bambino? Di cosa parlereste? Ha bisogno del tuo sostegno, non di rimproveri. La tua suocera ti accettò subito?”
“No. Ma ero più giovane di mio marito, e senza figli.”
“Eppure trovava sempre qualcosa da ridire. Le madri sono gelose, mai soddisfatte delle scelte dei figli. Alcune imparano ad accettare. Altre no. Ma non finisce bene.”
“Federico me l’ha detto pure lui.”
“Allora arrenditi. Non si è ancora sposato. Torna ancora a casa. Chissà quanto soffre, aspettando che tu capisca. Vai, incontra questa Sofia, guarda chi è. Non è la guerra, è solo una donna che ama.”
Elisabetta si tranquillizza un po’. Sono tre settimane che vivono come estranei. Basta. Decide di andare da Sofia, di parlarle, di chiederle di lasciarlo andare. Sa l’indirizzo dal vicino, amico di Federico.
Il martedì e il venerdì Federico va in palestra. Avrà un’ora e mezza. Ma non può presentarsi a mani vuote. Sarebbe troppo aggressivo. Una torta? No, si porta per fare la pace. Un giocattolo, invece, è un gesto gentile, diretto al bambino, non alla madre.
Si perde nel negozio di giocattoli, immaginando: “Questa macchinina la prendo oggi, quell’altra la prossima volta.” Ma ci sarà un’altra volta? Dubita.
Suona il campanello. Una donna sorridente apre. Un bambino le corre dietro, ma si ferma vedendo l’estranea.
“Salve, sono la madre di Federico,” dice Elisabetta.
“Ah, certo! Entri. Matteo, torna in camera,” Sofia spinge dolcemente il bambino, che va a malincuore.
Elisabetta indossa un paio di pantofole troppo grandi (di Federico, immagina). La casa è accogliente, ordinata.
“Mi chiamo Matteo!Elisabetta sorride al bambino, tirando fuori dalla borsa una macchinina giocattolo, e in quel momento capisce che forse, dopo tutto, la felicità di suo figlio vale più di qualsiasi suo timore.