Una mattina gelida di dicembre, Lucia e suo marito Matteo partirono per il paesino di Monteluce, dove vivevano i genitori di lei. La neve scricchiolava sotto i piedi, e il cielo, coperto da nuvole grigie, prometteva tempesta. Li attendeva un viaggio lungo, carico di inquietudini e sorprese. I genitori li aspettavano già, e quando l’auto si fermò davanti alla casa di famiglia, furono accolti da abbracci calorosi e grida di gioia. Entrarono insieme nel rustico casolare, dove sul tavolo fumavano già piatti caldi. L’aria profumava di pane appena sfornato, e nel camino crepitava la legna, creando un’atmosfera di pace.
Il padre di Lucia, Antonio Rossi, portò Matteo in salotto per parlare di “cose da uomini” — politica, macchine, pesca. Lucia, invece, si ritirò in cucina con la madre, Elena, e davanti a una tazza di tè si confidarono come era loro abitudine. La madre era preoccupata: perché i giovani non pensavano ancora a dei figli? Lucia sorrise, cercando di rassicurarla:
«Tutto a suo tempo, mamma, non preoccuparti. Ancora un anno, e ne parleremo.»
Ma nella sua voce c’era un’ombra di incertezza, e nel cuore un turbamento indefinito. La notte avvolse la casa, e il vento ululava fuori dalla finestra, presagio di una bufera imminente. Lucia si strinse a Matteo, e il suo abbraccio fu dolce come nei primi anni del loro amore. Si addormentò sentendosi al sicuro, ma nel profondo del cuore cresceva un presentimento oscuro.
Al mattino, il profumo del caffè appena fatto e delle frittelle dorate li svegliò. Lucia si sciacquò il viso con l’acqua fredda, scrollandosi di dosso gli ultimi brandelli di sonno, e si avvicinò al marito. Matteo, strofinandosi una spalla, improvvisamente gridò dal dolore. Il suo viso si contorse, e Lucia rimase immobile, presa dalla paura: qualcosa non andava.
«È di nuovo la spalla» borbottò lui, cercando di sorridere. «Passerà, come al solito.»
Elena, udendo la conversazione, portò un unguento fatto in casa e una sciarpa di lana. Con gesto esperto fasciò la spalla del genero, mormorando che tutto si sarebbe sistemato. Ma Lucia vide come lui continuasse a torcersi, e il suo cuore si strinse d’ansia.
«Lucia, credo che toccherà a te guidare» disse piano Matteo quando rimasero soli.
Lei annuì, anche se dentro di sé tutto si ribellava. Il viaggio di ritorno sarebbe stato difficile, e dopo la nevicata notturna, ancor più temibile. Ma non c’era scelta.
Quell’anno fu una prova per Lucia e Matteo. Non poterono festeggiare il Capodanno con i genitori: Matteo insistette per un incontro d’affari cruciale, che avrebbe potuto aprire nuove porte per il suo lavoro. Lucia, pur comprendendo la necessità, non riusciva a liberarsi dal senso di colpa verso i suoi. Decisero di andarli a trovare due settimane prima delle feste, per portare i regali e spiegarsi. I doni — un nuovo telefono per il padre e stivali caldi per la madre — erano impacchettati con cura, e nel bagagliaio c’erano frutta, vino e dolci. Come da tradizione.
Ma la serenità fu offuscata da una notizia inattesa. La vigilia della partenza, Lucia ricevette un messaggio: era morta la sua collega Daniela, con cui aveva lavorato per più di dieci anni. Le lacrime le rigarono il viso, e il cuore le si spezzò dal dolore. Matteo la strinse tra le braccia per consolarla, ma lei sapeva: la vita è fragile, e quel pensiero non la abbandonava.
La notte prima della partenza fu agitata. Lucia fece sogni inquietanti, ma al mattino non riusciva a ricordarli. Solo un peso sul petto le ricordava l’ansia. Non disse nulla a Matteo per non preoccuparlo, e partirono all’alba.
Con loro sorpresa, il mattino era sereno. Un freddo leggero e rari raggi di sole filtravano tra le nuvole. Le strade in città erano scivolose, ma una volta sull’autostrada tirarono un sospiro di sollievo: l’asfalto era pulito. Dopo un centinaio di chilometri, però, tutto cambiò. Il cielo si tinse di nero, e cominciò a nevicare. L’auto avanzava lentamente nella tormenta, e Lucia stringeva il volante con forza, cercando di non cedere al panico.
Quando finalmente arrivarono a Monteluce, i genitori li aspettavano già al cancello. Abbracci, risate, la casa calda — per un attimo, l’ansia svanì. A cena, Lucia sembrò tornare bambina: odori familiari, le battute della madre, i racconti del padre. Ma il discorso sui figli suscitò in lei un nuovo senso di colpa. La madre la guardava con speranza, e Lucia, per tranquillizzarla, promise che presto le cose sarebbero cambiate.
Di notte, la tempesta si scatenò con furia. Il vento ululava come se piangesse sogni infranti. Lucia, avvolta nella coperta, si strinse a Matteo. Le sue carezze erano così dolci che per un attimo dimenticò tutto. Ma il pensiero del viaggio del giorno dopo non la abbandonava.
La mattina, dopo una colazione abbondante, Matteo confessò che la spalla ancora lo tormentava. Lucia, raccogliendo tutto il coraggio, prese il volante. I genitori li salutarono sorridendo, ma negli occhi della madre Lucia colse un’ombra di preoccupazione. Quando l’auto si mosse, Elena sussurrò:
«Che l’angelo custode vi accompagni.»
La strada fu un incubo. Tratti innevati, asfalto scivoloso, auto che sfrecciavano in senso contrario — tutto costringeva Lucia a una concentrazione estrema. Matteo taceva, indicando solo di tanto in tanto una stazione di servizio. Aveva promesso di prendere il suo posto, ma lei vedeva come si contorceva dal dolore.
E poi, il disastro. Un’auto venne loro incontro, invadendo la corsia. Lucia sterzò bruscamente a destra, ma la strada era come ghiaccio. L’auto sbandò, e nella sua mente lampeggiò un pensiero: «Eccoci.» I secondi si dilatarono in un’eternità. La vettura uscì dall’autostrada, sprofondò nella neve e, inclinandosi, si fermò contro un albero.
Il motore ancora funzionava, e dalla radio usciva musica. Lucia e Matteo, allacciati alle cinture, rimasero immobili, increduli di essere vivi. Fu lui a rompere il silenzio:
«Lucia, stai bene?»
Lei annuì, sentendo le mani tremare. Matteo, dimenticando il dolore, la abbracciò, e in quel momento arrivarono dei soccorritori. Alcuni automobilisti si fermarono, li aiutarono a uscire, offrirono caffè caldo dal thermos. L’auto non era gravemente danneggiata: qualche ammaccatura e lo specchietto rotto. I soccorsi li trascinarono fuori dalla neve e controllarono il veicolo. Tutto funzionava.
«Avete avuto fortuna» disse uno di loro. «La neve vi ha salvato. Riuscite a ripartire?»
«Sì» rispose deciso Matteo, prendendo il volante.
Ripresero il viaggio, e presto i soccorritori svanirono nel crepuscolo. A casa, chiamarono i genitori, tacendo dell’incidente. Lucia non poteva dimenticare le parole della madre sull’angelo custode. Era stato lui a proteggerli, ne era certaPochi mesi dopo, davanti al caminetto della loro casa in città, Lucia sorrise mentre posava una mano sul ventre, sapendo che la vita aveva già scritto il suo prossimo capitolo.