Andate avanti, io vi raggiungo!

**Diario Personale**

Oggi è stato un giorno che rimarrà impresso nella mia memoria. Mentre mio figlio si preparava per il suo primo giorno di scuola, tutto il resto sembrava crollare intorno a noi.

Lucia era in piedi vicino al lavello della cucina, stringendo una spugna tra le dita tremanti. Non per l’acqua fredda, ma per la rabbia che le ribolliva dentro. Sul fuoco, la farina d’avena stava bruciacchiandosi, mentre in camera da letto la televisione sussurrava notizie distanti. E nella sua testa, una sola domanda rimbalzava incessante: “La cascina? Adesso? Ma perché?”

Mio marito se n’era andato presto, senza un saluto, senza una parola. Solo il rumore della porta sbattuta, e poi il silenzio. Avevo pensato fosse uscito in macchina per qualche commissione. Intanto, Andrea si era svegliato, si era strofinato gli occhi e, ancora in pigiama, aveva raggiunto il bagno.

Tutto sembrava normale. Tranne una cosa: suo padre non era tornato.

“Marco, hai completamente perso la testa?” gli avevo chiesto quando finalmente era riuscita a contattarlo.
“Era urgente, mia mamma aveva bisogno di aiuto,” si era giustificato lui. “Voi andate avanti, io vi raggiungo.”
“Certo. Urgente. Proprio oggi. Alle otto di mattina. Il primo giorno di scuola,” avevo risposto, con una voce più gelida del vento di tramontana.
“Lucia, lo so che è una giornata importante, ma era una cosa veloce.”

Non avevo replicato. Se avessi aperto bocca, sarei esplosa. E un’isteria di prima mattina non era esattamente ciò che un bambino di prima elementare dovesse vedere. Invece di parlare, avevo semplicemente chiuso la chiamata.

Che se la cavassero da soli con la loro coscienza.

“Mamma, dov’è papà?” Andrea era lì, con la sua camicia bianca nuova, mentre cercava di abbottonarsi da solo i polsini. Si agitava, era nervoso, ma non si lamentava.

“La nonna aveva bisogno di aiuto in cascina. Papà l’ha accompagnata,” gli avevo risposto, senza aggiungere altro.
“E poi viene?” aveva chiesto con una speranza che mi spezzava il cuore.
“Non credo, tesoro.”
“Lo sapeva che oggi era il mio giorno speciale?”

Ne avevamo parlato tutta la settimana. Ma Andrea non riusciva a capire come suo padre avesse potuto dimenticarsi di lui.

“Lo sapeva,” avevo sussurrato.

Il bambino aveva abbassato lo sguardo, rimanendo in silenzio. Si era seduto a tavola, concentrandosi sul suo telefono. Sul tavolo c’era un mazzo di fiori che avrebbe portato a scuola. Vicino alla porta, lo zaino nuovo con i disegni delle macchinine. Tutto era pronto per la festa.

Tranne la famiglia.

Alla cerimonia d’inizio anno, Andrea aveva cercato di tenere duro. Non sorrideva, non piangeva, ma stringeva forte la mia mano mentre intorno a noi gli altri bambini ridevano, le nonne li abbracciavano e i papà scattavano foto. Per tutti era un giorno di felicità.

Anch’io avevo fatto foto, cercando di incoraggiarlo. Avevo un nodo in gola, ma sorridevo per due. Forse anche per tre. Ma non bastava.

Quando un ragazzo più grande aveva sollevato in spalle una bambina col fiocco e il campanello, era arrivato il primo messaggio di mia suocera: “Fai tante foto. Mandamele. Voglio vedere.” Un quarto d’ora dopo, un altro: “Di’ ad Andrea che mi saluti. Sono con voi nel cuore!”

“Nel cuore?” avevo digrignato i denti. “Nel cuore” era comodo. Non richiedeva alcuno sforzo.

Non avevo risposto. Non per paura di litigare. Semplicemente… non avevo niente da dire.

Dopo la cerimonia, eravamo andati al bar, ordinato gelati e frullati, poi fatto una passeggiata in piazza. Il piano originale prevedeva che Marco ci portasse al luna park. Invece, lui era in cascina. Con le zucchine, non con suo figlio.

“Mamma, posso non rispondere se chiama la nonna?” mi aveva chiesto Andrea, quando il telefono nello zaino aveva vibrato.
“Certo,” avevo annuito. “Nemmeno io risponderei.”

Non avevo spiegato altro. Non serviva. Mi aveva abbracciato forte, come se volesse trasmettermi tutto il suo dolore con quel gesto.

Qualcosa dentro di me si era indurito. Perciò, quando Marco aveva chiamato, non avevo risposto. Nemmeno Andrea.

Ci eravamo limitati a qualche messaggio.

“Stai facendo la bambina. Rispondi. Mamma è offesa,” aveva scritto Marco.
“Tuo figlio anche,” avevo replicato.
“Andrea è offeso?”
“Sì. Perché oggi era il suo giorno speciale. E voi avete scelto le verdure. Continuate pure a zappare.”

Marco era tornato verso le nove. Era entrato in punta di piedi, come se temesse di peggiorare una situazione già tesa. Andrea dormiva. Io ero in salotto con un libro, ma non leggevo. Lo tenevo in mano come uno scudo.

“Domani possiamo uscire tutti insieme?” aveva proposto, sedendosi accanto a me. “Al cinema, o al bar. Ormai siamo sempre separati.”

Avevo alzato un sopracciglio, guardandolo senza entusiasmo. Solo un sospiro stanco.

“Credi che i sentimenti siano come il lavoro? Puoi rimandare? Andrea aveva bisogno di te oggi.”
“Non l’ho fatto apposta,” si era strofinato la fronte. “Mamma aveva bisogno, non potevo dirle di no. Pensavo di fare in fretta.”
“Eh sì. Peccato che il tuo ‘pensavo’ non lo consoli. Ti ha aspettato, sai? Fino all’ultimo.”
“Non esagerare,” aveva borbottato. “Che ti prende?”

Avevo riso, un riso secco, senza gioia. Per lui era solo un piccolo contrattempo. Nessuno era morto. Io stavo solo esagerando.

Non capiva che per me era un tradimento. O forse faceva finta.

“Molte cose. Ma soprattutto che non capisci quanto hai ferito nostro figlio. Che credi che tutto si sistemerà da solo.”

Una volta era diverso. Ricordavo quando, durante la gravidanza, Marco mi aveva detto:

“Voglio essere parte della sua vita, non solo presente. Voglio essere un buon padre.”

Gli aveva insegnato ad andare in bicicletta, a fare aeroplanini di carta, soldatini con le ghiande. Avevano gareggiato con le macchinine. Andrea brillava, e Marco lo guardava come se fosse la sua ragione di vivere.

E anche la nonna, allora, preparava dolci. Non per Andrea, ma per sé stessa. Lo riempiva di complimenti, ma erano sempre egoisti. “Che bel nipote che ho! Somiglia tutto a me!”

Le cene di famiglia erano rumorose, piene di torte fatte in casa e insalate decorate. Ma quando gli ospiti se ne andavano, tutto quel teatro crollava. Restavano solo sguardi stanchi e frasi come: “Potevi venire prima ad aiutare.”

Andrea sentiva tutto. Era piccolo, ma non stupido. Ricordava quando la nonna prometteva di andare a prenderlo all’asilo e poi si dimenticava. Quando Marco mancava alla recita perché “doveva aiutare la nonna.”

Ricordava. E non chiedeva più.

Si chiudeva in sé. Ora chiedeva a me di leggergli le storie. Solo io sapevo che gli piaceva Sofia del gruppo accanto, o che aveva litigato con Luca. Una volta mi aveva portato la bicicletta con la gomma a terra, anche se sapeva che non sapevo riparMentre lo stringevo a me, capii che a volte la famiglia più vera è quella che scegli, non quella che ti è toccata per caso.

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