“Quel gatto fa un casino tremendo!”
“Spegnete quel dannato aggeggio! Non posso dormire per colpa vostra!” urlò una voce dietro la porta. Poi iniziarono colpi violenti e il campanello suonò senza sosta. Beatrice trasalì e lasciò cadere il telecomando. Luca si rigirò nel letto, contrariato.
Nella camera, una lucina notturna emanava una fioca luce. Fuori, l’afa estiva era opprimente. Beatrice si infilò una vestaglia e andò ad aprire.
Davanti a lei c’era una signora sulla settantina, labbra sottili e uno sguardo torvo. Indossava un vecchio vestito di cotone e stringeva un telefono in mano.
“Scusi, ma chi è?” chiese Beatrice, senza aprire del tutto.
“Sono Carlotta De Santis! Abito al terzo piano. Sopra la mia finestra c’è il vostro affare che vibra e non mi fa dormire. Spegnetelo subito! O chiamo i carabinieri! È vietato fare rumore a quest’ora!”
Beatrice tentò di dire qualcosa, ma Carlotta non le lasciò spazio.
“Non capisco come si possa essere così egoisti! Tutto il palazzo soffre per colpa vostra!”
“Beh, non è poi così rumoroso…” provò a dire Beatrice, cauta. “L’abbiamo acceso con la finestra aperta per controllare.”
“Per voi non è rumoroso, ma a me sembra un trattore! Mi fa venire il mal di cuore!”
“Va bene, lo spegniamo,” disse Beatrice, riluttante. “Non sapevamo che desse fastidio…”
“Ora lo sapete,” tagliò corto Carlotta, allontanandosi a passo svelto.
Beatrice rientrò e spense il condizionatore. Aprì tutte le finestre e il balcone, ma non servì a nulla. L’afa entrò come un muro. Luca girò e rigirò nel letto prima di alzarsi per farsi una doccia, mentre Beatrice fissava il soffitto, sconsolata.
Non era così che immaginavano la loro prima estate nel nuovo appartamento…
L’avevano comprato solo due mesi prima. L’estate precedente, in affitto, era stato un incubo: secchi d’acqua fredda, spifferi, un ventilatore che spingeva aria bollente. Beatrice aveva firmato il mutuo con le mani tremanti, ma con la convinzione che finalmente nessuno avrebbe più dettato loro come vivere.
Invece no.
La mattina, in ascensore, Beatrice incrociò un’altra vicina, Francesca. Si erano già conosciute, tanto che le aveva persino aiutata a cambiare un rubinetto.
“Francy,” sospirò Beatrice, appoggiandosi al muro, “ieri sera abbiamo acceso il condizionatore e ci hanno protestato. È davvero così rumoroso?”
Francesca alzò le sopracciglia.
“Fammi indovinare. Carlotta?”
Beatrice annuì.
“Ecco… Si lamenta sempre. Una volta è il televisore, un’altra che mio figlio ride troppo. Una volta ha detto che il nostro gatto salta troppo forte. Ormai ci siamo abituati. Telefona un paio di volte al mese. Sopportabile.”
Beatrice non poté fare a meno di sorridere.
“Il gatto? Davvero?”
“Sì,” confermò Francesca. “Non accendiamo più il televisore, guardiamo tutto con le cuffie. Con il gatto e mio figlio è più difficile, capisci.”
Più tardi, Beatrice incontrò Matteo sulle scale. Lui aveva lo stesso modello di condizionatore, installato proprio sotto la finestra della suscettibile vicina.
“Matteo, a te non si lamenta?”
“No. Anche se il mio è abbastanza rumoroso. Un amico mi ha detto che l’hanno montato male, per cui a volte vibra. Ma evidentemente le piaccio,” rise il vicino.
“E di me e Luca si lamenta qualcuno?”
“Non che io sappia. Siete silenziosissimi. Niente bambini, niente trapani, nemmeno un cane.”
Per qualche motivo, le risposte dei vicini non la rassicurarono. Accese di nuovo il condizionatore e lo ascoltò dalla finestra aperta. A malapena si sentiva.
Allora qual era il problema? Forse non erano i decibel? Beatrice cominciò a pensare che Carlotta li avesse presi di mira, che tutto ciò che riguardava i nuovi inquilini la infastidisse. O forse non sopportava che qualcuno stesse meglio di lei.
Da quando Carlotta era apparsa sulla loro porta, era iniziato l’inferno. Ogni sera accendevano il condizionatoriMa ormai avevano imparato che, in un condominio, l’unico modo per vivere in pace era ignorare chi non voleva altro che lamentarsi, e così continuarono a godersi la tranquillità della loro casa, con il condizionatore acceso e il gatto che faceva rumore come a lui pareva.