Oggi ho bisogno di scrivere di una cosa che mi è successa e che mi ha fatto riflettere molto.
La voce di mia madre al telefono era dura, come un martello che batte sui nervi. Livia teneva la cornetta stretta tra la spalla e l’orecchio, con una mano versava l’acqua nella pentola e con l’altra mescolava la polenta.
“Ti ho dato più di chiunque altro, e ora voglio che tu mi aiuti. O forse hai dimenticato l’appartamento?”
Era sempre così. Non una richiesta, un ordine. “Mamma, ma abbiamo già promesso ai genitori di Enzo di andarci sabato,” disse Livia, cercando di nascondere la tensione nella voce. “Devono sistemare l’orto, c’è tanto da fare.”
“E io invece devo farmi tutto da sola?” sbuffò Ingrid con sarcasmo. “Il facchino si è ubriacato di nuovo. Ho scatole da spostare. Vieni domani mattina, finiamo prima di pranzo e poi vai pure nel tuo orto.”
Livia si lasciò cadere sulla sedia, sentendo il cuore battere forte. Ogni volta la stessa storia. Mai una gentilezza, sempre pretese, sempre quel senso di debito che le stringeva la gola.
Enzo aveva sentito tutto dalla stanza accanto. Non tutte le parole, ma bastava vedere il viso di Livia per capire. Si appoggiò allo stipite della porta, incrociando le braccia. Lei interruppe la chiamata e lo guardò.
“Hai sentito?” chiese piano.
“Quello che serviva,” rispose lui. “Non farla chiamare più. Crede di averci comprati?”
Livia avrebbe voluto ribattere, ma le parole le morivano in gola. Ogni volta che sua madre “ricordava” loro il suo aiuto, le sembrava di vivere in una casa affittata, con la padrona di casa che poteva entrare quando voleva.
Enzo andò sul balcone, accendendo una sigaretta. La porta sbatté così forte che Livia trasalì.
Si chiuse il viso tra le mani. All’inizio aveva creduto che sua madre volesse solo il suo bene, ma ora capiva che quel miele nascondeva veleno.
Al loro matrimonio, Ingrid era stata al centro dell’attenzione. Vestita di rosso, come se fosse lei la sposa. Tavolo imbandito, musicisti, doppio servizio fotografico… Tutto merito suo.
Quando era arrivato il momento dei regali, si era alzata con un’enorme busta tra le mani.
“Ecco il vostro inizio,” aveva detto, annunciando la cifra a voce alta, perché tutti sentissero, inclusi i suoceri di Livia.
Enzo le aveva stretto la mano sotto il tavolo. I suoi genitori, Clara e Franco, avevano donato il loro contributo più tardi, senza numeri, ma con affetto negli occhi.
“Noi non abbiamo molto, ma questo viene dal cuore,” aveva detto Franco, arrossendo. “Vi auguriamo felicità e pazienza. E soprattutto, ascoltatevi sempre.”
Ingrid in quel momento era già distratta da un parente lontano. Le parole non l’avevano toccata. A lei interessavano i numeri.
Ora Livia guardava le pareti della cucina, la macchinetta del caffè, le tazze. Tutto era iniziato con quella stessa busta. La ristrutturazione, i mobili, gli elettrodomestici.
Credeva che fosse un regalo. Ma ora capiva: era stato un investimento. E ogni richiesta di sua madre era un modo per riscuotere gli interessi.
Passarono settimane. Parlavano poco, solo se chiamava Ingrid. Livia a volte voleva telefonarle, ma poi si fermava. Non era arrabbiata. Solo stanca di quella pioggia di rimproveri.
Enzo aveva smesso del tutto di parlarle.
“Se vuoi, vai da lei. Io non ascolterò più che devo ‘ripagare’ il regalo. Nella mia famiglia non ci sono investitori.”
Quelle parole bruciavano, ma Livia tacque. E se aveva ragione?
Decise di parlarne con sua madre.
“Mamma, il tuo aiuto è stato prezioso, ma la gratitudine non è un obbligo.”
Ingrid spalancò gli occhi come se avesse sentito una bestemmia.
“Come sarebbe? Non hai mai sentito parlare di riconoscenza? Di quel bicchiere d’acqua che mi porterai quando sarò vecchia? I figli aiutano i genitori. È per questo che vi cresciamo.”
Qualcosa dentro Livia si spezzò. Sapeva che sarebbe finita così, ma sentirselo dire…
Le tornò in mente quando avevano scelto l’appartamento. Ore su Subito.it e Immobiliare.it. Enzo controllava distanze dalla metro, condizioni, layout. Avevano trovato un bilocale in periferia, pulito, con un balcone. Niente di lusso, ma accogliente. E soprattutto: rientrava nel budget.
Ingrid, sentendo la notizia, propose di aggiungere soldi per un trilocale.
“Due stanze sono troppo strette. E con i figli poi? Posso aiutarvi senza problemi. Dopo mi ringrazierete.”
“Questo va bene per noi,” tagliò corto Enzo. “Vogliamo farcela da soli.”
Livia allora l’aveva trovato esagerato.
“Enzo, ti comporti come se mamma volesse gli interessi,” aveva riso. “Non siamo in banca.”
Ingrid fece una smorfia ma dovette accettare.
“Fate come vi pare. Io volevo solo aiutarvi.”
Ora Livia era grata a Enzo per la sua diffidenza. Altrimenti il loro debito sarebbe stato molto più alto.
Anche i suoceri, sempre gentili, ora erano più freddi. Clara parlava con malcelato distacco, Franco lanciava battute taglienti.
“Abbiamo sentito che l’appartamento è merito della suocera, vero?” aveva detto una volta a cena. “Che bel corredo ha Livia. Noi non potevamo permettercelo.”
Livia non capì subito da dove venisse quel vento. Poi scoprì che al compleanno di Enzo, sua madre aveva detto a una parente:
“Quella casa l’ho pagata quasi tutta io. I suoceri sono poveri, cosa potevano fare? I ragazzi non devono soffrire per questo.”
La notizia era arrivata fino a Clara e Franco, che avevano contribuito per un quarto del prezzo. Non era giusto.
Quella sera Livia si sedette di fronte a Enzo. Lui scrollava notizie sul telefono. Le ci volle un minuto per trovare le parole.
“Enzo, mi sento… come tra due fuochi. Ma non sono stupida. Vedo tutto.”
Lui posò il telefono e la guardò.
“Non voglio litigare con mamma, ma…” esitò. “Il suo aiuto ci sta costando troppo. Non voglio vivere in debito per sempre.”
Lui annuì. “Non è più un debito. È diventato una guerra che sta distruggendo la nostra famiglia. Lentamente, ma lo sta facendo.”
Lei capì che aveva il suo sostegno. Che poteva mettere un limite.
“Basta. Niente più favori mascherati da affetto,” disse. “Se vuole parlare, bene. Ma non cederò più alle sue manipolazioni.”
Non era sola. E questo le dava forza.
Naturalmente, sua madre non si arrese.
“Ciao, Livia. Scusa l’ora tarda. Dopodomani devi prendere zia Franca alla stazione, arriva alle tre di notte. Sai com’è il paese, i taxi a quell’ora non ci sono.”
Di nuovo un ordine. Livia raccolse il fiato.
“Mamma, non possiamo. Enzo si alza presto. Se ci avessi avvisato prima…”
“Eh già, ovvio,” sbuffò Ingrid. “Con i suoceri accorrete, con me invece devo prenotare l’appuntamento?”
Un sospiro drammatico, come se avesse abbandonato zia Franca in mezzo alla strada.
“Livia chiuse gli occhi, respirò profondamente e disse con voce ferma: “No, mamma, questa volta basta,” e posò il telefono, finalmente libera.