— Che vuoi dire, sei sua moglie?
— Proprio così. Almeno legalmente, posso mostrarti il timbro sul passaporto. Il certificato di matrimonio non l’ho portato con me, scusami, — disse la donna, reggendo con una mano il pancione.
***
— Piccola, la prossima settimana parto per il lavoro, là la linea è pessima, quindi non perdermi di vista, — disse Luca Romano.
— Non preoccuparti per il gatto, verrò a dargli da mangiare e pulirò la lettiera, — borbottò Giulia, senza alzare gli occhi dal telefono.
— A proposito del gatto… — esitò Luca, — Insomma, non preoccuparti, tesoro. Non hai bisogno di fare avanti e indietro per l’altra zona di Milano solo per un gatto, soprattutto dopo il lavoro. La vicina di pianerottolo, la conosco bene. Si occuperà di Micio ogni tanto.
— Sei diventato un po’ strano, papà, — rise Giulia, — La tua vicina è davvero un’altruista, allora. Darà da mangiare al gatto, farà la spesa e porterà pure le medicine dopo il lavoro. Che fortuna!
— Esatto, che fortuna…
A Luca improvvisamente venne un senso di vergogna per aver mentito di nuovo alla figlia. Le sopracciglia gli si avvicinarono al naso, e cercò di pensare ad altro per non tradire l’ansia. «Non sospetta nulla, sta solo cercando di prendermi in giro», si disse.
…Luca e la madre di Giulia erano divorziati da sette anni. Si erano lasciati in buoni rapporti, senza litigi. Semplicemente, l’amore era finito. Dopo averne parlato con la figlia, avevano firmato i documenti con la coscienza pulita. Giulia aveva accettato la decisione, ma a una condizione: che le feste in famiglia si celebrassero insieme, come sempre. Una soluzione che andava bene a tutti.
— Quindi sono la tua vicina? — sorrise maliziosamente Claudia.
— Non mi è venuto in mente altro… — abbassò gli occhi, imbarazzato.
— Sì, chiamarmi tua moglie è troppo complicato, capisco.
— Claudia, non arrabbiarti.
— Sono una donna adulta, Luca. Ma non capisco fino a quando continueremo con questo segreto!
— Non lo so, non lo so proprio! Claudia, e se non capisse? Ricordo quando era piccola, aveva paura che uno di noi due la abbandonasse. Mi chiedeva sempre se l’avremmo lasciata sola. Mi sento come se la stessi tradendo.
— Ascolta, non voglio immischiarmi nel tuo rapporto con tua figlia, ma tra due mesi ne avrai due, e dovrai prendere una decisione da uomo. Capisci? Non ti sto costringendo a scegliere, Dio ce ne scampi, ma come farai a nascondere una neonata?
— Troveremo un modo! — disse Luca, senza sapere davvero come.
Luca aveva conosciuto Claudia poco dopo il divorzio. L’aveva incontrata e aveva capito subito che era quella giusta. Ma non aveva il coraggio di dirlo alla famiglia, temendo che Giulia lo avrebbe rifiutato e che l’ex moglie avrebbe reso difficile incontrare la figlia.
All’inizio si era preoccupato perché Claudia era più giovane di quasi dieci anni. Poi si era preoccupato quando si erano sposati in segreto. E infine, quando Claudia era rimasta incinta. Ma ormai la data del parto si avvicinava, e con essa la verità che sarebbe venuta a galla. «Troverò il momento giusto per dirglielo», si ripeteva Luca.
Luca faceva di tutto per nascondere a Giulia la sua nuova vita. Evitava gli incontri, la vedeva solo in luoghi neutrali. E Giulia, come tutti i giovani, prendeva in giro il padre sulla “vicina misteriosa”.
Quella mattina, quando Luca tornò dal lavoro, Giulia decise di fargli una sorpresa. Ma nessuno aprì la porta. Né al primo né al decimo squillo del telefono. Preoccupata, uscì dal palazzo. Non poteva sbagliarsi: il padre le aveva scritto che era all’aeroporto. Alcune ore di volo. Poi un altro messaggio: «Atterrato, vado a casa e ti chiamo più tardi». Ma a casa non c’era. «È un adulto, forse ha avuto da fare», si disse Giulia.
— Hanno portato Luca in ospedale, — una voce sconosciuta la interruppe.
— Cosa? Quando? Dove? — si agitò.
La voce veniva dalla finestra del primo piano. Una signora anziana le spiegò di aver visto Luca tornare a casa con una valigia, probabilmente dal viaggio. Mezz’ora dopo, era arrivata l’ambulanza.
— Dalle chiacchiere ho capito che l’hanno portato in cardiologia. Non sembrava troppo male, è salito in ambulanza da solo. Meglio che non fosse in barella! Quindi non è in terapia intensiva, — ragionò la vicina. — Ti ho riconosciuta subito, sei sua figilia, ti vedo spesso aspettare il taxi e chiamarlo al citofono.
— Quanto tempo fa l’hanno portato via?
— Circa un’ora.
Giulia non sentì le ultime parole. Tremava, senza sapere dove trovare il padre, come stesse e perché mai in cardiologia. «La cardiologia è il cuore… ma lui non ha problemi di cuore!», pensava in preda al panico.
— Chiama l’ambulanza, magari ti dicono dove l’hanno portato, — suggerì la signora.
Giulia compose il numero con mani tremanti e, quasi piangendo, chiese informazioni. Dopo qualche minuto, l’operatore le indicò l’ospedale. Chiamò un taxi e partì subito, cercando di scacciare i pensieri più cupi. Il telefono di Luca era ancora irraggiungibile.
— Mi hanno detto che mio padre è qui! — disse Giulia, la voce rotta.
— Se è stato registrato, controllo. Da quanto? — rispose con calma l’impiegata.
— Non so… mezz’ora? Un’ora? La vicina ha detto… per favore, aiutatemi.
— Aspetti, mi dica nome e cognome.
— Romano Luca, nato il 12 marzo 1973.
— Aspetti in corridoio, verifico e le dico.
La donna tornò poco dopo.
— È in cardiologia. Non si può entrare in reparto, è in quarantena. Se ha qualcosa da lasciargli, può farlo all’ingresso. Oppure le infermiere lo prenderanno. Gli orari di visita sono all’entrata.
— Grazie, grazie mille!
Giulia corse fuori cercando l’ingresso principale. «Se può uscire, non sarà grave», cercò di calmarsi.
All’ingresso, un’infermiera le ricordò, contrariata, che non era l’ora delle visite e che c’era la quarantena.
— Hanno appena portato mio padre! Non risponde al telefono! Non so se ha vestiti, cibo, medicine! Fatemi entrare! — urlò Giulia.
Una mano le si posò sulla spalla. Si voltò di scatto, aspettandosi un addetto o un guardiano, ma invece trovò una donna incinta, poco più grande di lei.
— Giulia, ciao, — disse cautamente Claudia.
— Ciao. Ci conosciamo?
— Non esattamente. Io ti conosco bene, ma tu no. O meglio, per te sono solo la “vicina” che dà da mangiare al gatto e porta le medicine, — cercò di sdrammatizzare.
— Non capisco. Sei qui per papà? Ti ha chiamato?
— No, sono venuta da sola. Mi ha chiamato l’ospedale.
— Perché… te?
— Perché io… sono sua moglie.
— Che vuoi dire, sei sua moglie?
— Proprio così. Almeno legalmente. Posso mostrarti il timbro sul passaporto, se vuoi, — disse Claudia, proteggendo istintivamente il pancione. —Giulia fissò Claudia per un lungo istante, poi un sorriso timido le illuminò il volto mentre rispose: “Finalmente qualcuno che mi aiuti a tenerlo d’occhio, questo testardo di mio padre”.