La Vecchia Malefica

La Vecchia Brontolona

Valentina scese dal taxi e aspettò che la piccola Beatrice uscisse dall’auto.

“Grazie,” ringraziò il tassista, prese la mano della bambina e si avviò lentamente verso il portone. Sulla panchina accanto all’entrata sedevano due signore avanti con gli anni.

“Buongiorno,” salutò Valentina con un sorriso.

“Buongiorno,” rispose una delle due. “Da chi vanno queste bellezze in visita?”

Valentina si limitò a sorridere. Inserì il codice nella serratura ed entrò con Beatrice nel palazzo. Appena la porta si chiuse alle loro spalle, una delle signore commentò ad alta voce che mezz’ora prima aveva visto due giovani uomini portare dentro scatoloni e sacchi.

“Nuovi inquilini nell’appartamento sopra al tuo, quello che affittano i Ferrara. Preparati, Carla, notti insonni garantite,” disse l’altra.

“Con me hanno sbagliato bersaglio. Provino pure a fare rumore. Chiamo subito i servizi sociali e vediamo che sorrisi hanno dopo…”

Valentina non ascoltò oltre. Salì in ascensore fino al quinto piano, fortunatamente già al pianterreno.

La porta di casa era socchiusa. Gli uomini erano in cucina a bere un caffè.

“Oh, ecco Valentina. Abbiamo fatto un caffè, scusa se ci siamo serviti.”
Lei cercò il portafoglio nella borsa.

“Valentina, mi offendi. È stato un piacere aiutarti. Sicuro che hai fatto bene a lasciare Marco? Potreste fare pace. Non lavori, come vivrai con la bambina?” L’uomo strizzò l’occhio a Beatrice, che sorrise.

“Ci arrangeremo. Chiederò il divorzio, ci saranno gli alimenti e l’assegno di maternità. Non tornerò da Marco. Diglielo pure.”

“Va bene. Ma se hai bisogno, chiamami. Intanto, sistemati, noi andiamo.”

Gli uomini se ne andarono. Valentina osservò le scatole sparse per il salotto e sospirò.

“Dai, mi aiuti a sistemare?”

“No. Io voglio giocare,” disse Beatrice.

“Va bene. Solo, non gridare e non fare rumore, altrimenti ci cacciano,” la avvertì.

La bambina annuì. Valentina aprì una scatola di giocattoli e Beatrice afferrò subito l’orsacchiotto di peluche. Lei, intanto, riempiva l’armadio con i vestiti.

L’appartamento era un monolocale, piccolo ma accogliente. Arredamento decente, ristrutturato di recente. Se avessero risparmiato, ce l’avrebbero fatta.

Dopo cena – pasta e würstel portati da casa – lavò il pavimento e preparò il letto per Beatrice. Gli occhi le si chiudevano, ma la piccola voleva la favola della buonanotte. Alla fine, quando la bambina si addormentò, Valentina poggiò la testa sul cuscino, ma le tornarono in mente le parole di Marco:

“Tornerai da me in ginocchio, e allora deciderò se riprenderti o no…” Le lacrime cancellarono il sonno.

Si alzò e andò in cucina. Senza accendere la luce, si affacciò alla finestra, guardando il buio fuori che le sembrava così strano…

***

Si erano conosciuti alla fermata dell’autobus. Lui le aveva chiesto quale linea prendere per via Leopardi.

Lei aveva risposto, e lui, sorridendo, le aveva chiesto dove andasse lei. Poi era arrivato il suo autobus, e Valentina era salita in fretta.

“Scusa, non sapevo come avvicinarti,” aveva sentito dire. Lui era salito dietro di lei, col sorriso ancora sulle labbra. E anche lei aveva sorriso.

Così era iniziato tutto. Valentina aveva il cuore libero, e Marco, simpatico e allegro, lo conquistò in fretta. Lei viveva in affitto con un’amica, conosciuta ai tempi dell’università. Lui aveva un piccolo appartamento di proprietà. La convinse a trasferirsi da lui.

La madre di Valentina era severa, le aveva insegnato che i figli vanno fatti in matrimonio. Così, quando la chiamava, lei mentiva: “Sono ancora con Sofia.”

Passò quasi un anno, e Marco non le propose mai di sposarsi. Di figli non parlava. E lei non sapeva come dirgli della gravidanza.

“Dovremmo cercare una casa più grande,” disse un giorno.

“Perché?”

“Perché presto saremo in tre.”

“Sei incinta? E quando pensavi di dirmelo?” la aggredì lui.

“Te lo sto dicendo ora. Scusa, non ero sicura prima.” Cercò di non piangere, vedendo la sua reazione.

“Credevo prendessi precauzioni.”

“Per vivere per me stessa e poi, chissà quando, fare un figlio? Non mi libererò di lui. Con te o senza di te, lo farò nascere.”

“Va bene. Inaspettato, ecco tutto…”

Fecero pace e decisero di risparmiare per un mutuo. Una sera, Valentina aspettò Marco sul balcone. Lui era in ritardo dal lavoro. Alla fine vide arrivare un’auto davanti al palazzo.

“Chi è quella macchina?” chiese scendendogli incontro.

“È mia. Nostra. Bella, no?” Marco raggiante.

“Tua? Con quali soldi?”

“L’ho comprata. Tanto per il mutuo non bastava. L’appartamento può aspettare, ora vi porterò in giro in macchina. Niente più autobus affollati.”

“Quei soldi erano anche miei, e non hai chiesto il permesso!”

“Tu non l’hai chiesto quando hai deciso di tenere il bambino,” ribatté lui.

“Non l’ho deciso da sola, c’eri anche tu…”

Litigarono come non mai. Poi si riappacificarono e si sposarono, tra la gioia di Valentina.

Dopo la macchina, Marco iniziò a tornare tardi. Diceva di accompagnare amici in campagna o di aiutare con traslochi. Lei non poteva controllare. Si arrabbiava, dubitava, si rodeva di gelosia.

“Non vado in giro per niente, ci guadagno,” rispondeva lui.

Quando iniziarono le contrazioni, Marco non c’era. Chiamò, ma lui non riusciva a tornare: era fuori città, doveva chiamare un’ambulanza.

Almeno la venne a prendere in ospedale. A casa, trovarono una culla e un passeggino usati, regalati da un amico. Valentina non fece storie. C’era tanto da comprare, bisognava risparmiare.

E Marco continuò a tornare all’alba. Lei lo aspettava nervosa, Beatrice piangeva, dormiva male. Lui la sgridava: “Sei sempre addormentata, non mi prepari la colazione!”

Le accuse crescevano come valanghe.

Marco disse che lei era cambiata, non si curava più. Che era colpa sua se non voleva tornare a casa, se cercava altre donne. Che non gli interessava più. Poi se ne andò, e per giorni non tornò. Quando riapparve, Valentina stava facendo le valigie.

“Dove pensi di andare? Va’, tanto tornerai a implorarmi in ginocchio. E deciderò se riprenderti.”

Lei aveva dei risparmi. Dopo la storia della macchina, aveva messo da parte qualcosa. Affittò un monolocale e se ne andò.

I vicini erano una coppia che urlava sempre, forse arrivava anche alle mani. Alla fine, Valentina non ce la fece più e si trasferì. Un amico di Marco le aiutò col trasloco.

***

Fuori ormai era giorno, e Valentina non aveva chiuso occhio. Pensò di iscrivere Beatrice all’asilo, così avrebbe trovato lavoro. Senza perdMentre il sole illuminava la cucina, Valentina sorrise a Beatrice e alla vecchia Maria, pensando che forse, dopo tutto, la vita aveva ancora in serbo per loro momenti di felicità.

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