Siamo sulla stessa strada

**Diario di Sofia**

Fin da piccola, sono sempre stata indipendente e disciplinata. I miei genitori lavoravano tutto il giorno, e io tornavo da scuola, scaldavo la minestra, mangiavo e facevo i compiti. A volte cucinavo perfino la pasta da sola. Così, fin dalla prima elementare.

Quando frequentavo il quinto liceo, alcuni studenti arrivarono nella nostra scuola per il tirocinio pre-laurea. La lezione di storia era tenuta da un ragazzo alto e serio, Daniele Rossi, con gli occhiali e un completo grigio. I ragazzi lo soprannominarono “secchione”, ridevano di lui e cercavano di sabotare la lezione. Ma alla fine erano tutti ad ascoltarlo a bocca aperta. Raccontava la storia come mai nessun altro insegnante prima di lui. Faceva domande, costringendoci a riflettere, esprimere opinioni, immaginare scenari diversi.

Negli occhi dei ragazzi brillava l’entusiasmo. Per la prima volta, potevano dire la loro, cambiare il corso della storia, almeno in teoria. Daniele li riportava con i piedi per terra quando si lasciavano trasportare troppo. Aspettavano le sue lezioni con impazienza e non le saltavano mai.

Io, invece, non staccavo gli occhi da Daniele, innamorata persa. Cominciai a leggere libri di storia pur di partecipare alle discussioni. Un giorno trovai il coraggio di dire la mia. Daniele mi lodò e disse che, se la riforma fosse andata come avevo proposto io, oggi vivremmo in una società diversa. Ma spiegò che, a quei tempi, era quasi impossibile fare altrimenti.

*“Purtroppo la storia non si può riscrivere, ma si può riscrivere il libro di testo, cambiando l’enfasi sugli eventi,”* disse con un tono carico di significato.

Poi il suo tirocinio finì, e io persi subito interesse per la storia. Un giorno, tornando da scuola, vidi Daniele che correva verso di me.

*“Ciao, Sofia,”* mi salutò.

Ricordava il mio nome! Il cuore mi sussultò di gioia.

*“Torni a scuola? Le lezioni sono finite,”* dissi imbarazzata.

*“No, volevo vederti.”*

Spalancai gli occhi incredula, arrossendo.

*“Torni a casa? Ti accompagno.”*
Camminammo insieme mentre mi chiedeva della scuola, degli amici, dei miei piani per l’università.

*“Non vai a lettere? Mi sembrava ti piacesse la storia. Ho molti libri interessanti, se vuoi te li presto.”*

Ero al settimo cielo. Mi stava invitando a casa sua? Non Elena Marini, la più bella della classe, ma me, Sofia Bianchi, “Grillina”, come mi chiamava affettuosamente mio padre. Non osavo alzare lo sguardo.

*“Grazie, ma ho scelto economia…”* borbottai. *“Ma i libri li leggerei volentieri.”*

*“Bene. La prossima volta te ne porterò qualcuno, scelto da me, se per te va bene.”*

*La prossima volta? Ci saremmo rivisti?* Il cuore batteva forte per l’emozione.

*“E ci sarà, una prossima volta?”* sentii la mia voce, sentendo il rossore salirmi alle guance.

*“Certo. Se vuoi,”* sorrise Daniele.

Con quel sorriso, il suo volto sembrava più giovane, quasi un ragazzo. Capii che non era molto più grande di me. Era la prima volta che lo vedevo sorridere.

*“E chiamami Daniele. Non siamo a scuola, non sono più il tuo insegnante. Siamo arrivati? È qui che abiti?”*

Annui, senza riuscire a parlare per l’emozione. Lui salutò e stava per andarsene.

*“Daniele… quando tornerai?”* chiesi, trovando il coraggio.

Tirò fuori il telefono. *“Dimmi il tuo numero, ti chiamerò.”*

Ma Daniele non chiamò. Mi mandò un messaggio dopo qualche giorno. Ci vedemmo ancora un paio di volte, poi iniziarono gli esami: per me quelli di maturità, per lui quelli universitari. Ci rincontrammo dopo il mio diploma. Avevo tenuto segreti tutti quegli incontri. Poi non resistetti e lo raccontai alle amiche, che mi invidiavano da morire. Nessuna di loro aveva un ragazzo più grande.

Mi iscrissi all’università e continuai a vedere Daniele. Presto mia madre lo scoprì e si preoccupò, chiedendomi di presentarglielo. A lei e a mio padre piacque: serio, maturo, senza vizi, affidabile, per giunta insegnante. Mia madre si tranquillizzò, e io ero felice, innamorata persa.

Al terzo anno ci sposammo. Decidemmo di aspettare per i figli, finché non avessi finito gli studi. Daniele amava l’ordine. Allineava i barattoli sugli scaffali, impilava i libri sul tavolo, stendeva gli asciugamani perfettamente. Mi chiedeva gentilmente di non lasciare le mie cose in giro. Per me era un gioco, e presto imparai a fare come lui, per compiacerlo.

Una volta, Daniele entrò in bagno dopo di me. Poco dopo sentii la sua voce secca e corsi da lui.

*“Sofia, ti ho chiesto di asciugare l’acqua dal pavimento dopo la doccia,”* disse, trattenendo l’irritazione.

Vidi poche gocce sulle mattonelle.

*“Va bene, la prossima volta lo faccio,”* dissi. *“Tanto fai la doccia anche tu.”*

*“Non la prossima volta, ora. Sai dove sta lo straccio?”*
Non aveva gli occhiali, e i suoi occhi grigi mi fissavano freddi. Vedeva benissimo, gli occhiali servivano solo per sembrare più anziano.

*“Dici sul serio? Si asciugheranno da sole,”* non credevo alle mie orecchie.

Ma Daniele non scherzava. Il suo sguardo divenne tagliente e gelido. Avrei voluto scomparire. Presi lo straccio e passai il pavimento.

*“E l’asciugamano, appendilo.”* Indicò con un dito lungo il telo bagnato appeso al bordo della vasca.

*“Stavo per farlo, ma mi hai distratto…”* mi giustificai.

Sotto il suo sguardo severo, lo stesi con cura. Uscii dal bagno bruciando dalla vergogna. Mio marito mi rimproverava come una scolara, mi puntava il dito come un gattino.

Pretendeva che i piatti nel lavello fossero ordinati per misura, che la biancheria fosse piegata in pile perfette… Ogni volta che uscivo dalla cucina, controllavo e sistemavo tutto. Se dimenticavo, Daniele mi faceva rimediare subito. Non permetteva baci o carezze di giorno, bloccandomi con una mano ben curata.

Cominciai a capire che non lo conoscevo affatto. E soprattutto, che non lo amavo. Mi piaceva l’idea di essere corteggiata da un insegnante, un uomo maturo, non un coetaneo. Mi piaceva che le altre ragazze mi invidiassero. Avevo scambiato tutto questo per amore. Fu uno shock scoprire che Daniele andava dall’estetista a lucidarsi le unghie e levarsi le pellicine. Per me, un uomo non doveva curarsi così.

Ero stanca di vivere sotto controllo, di dover allineare tutto. Iniziavo a pensare che, se avessi continuato così, sarei impazzita. Stavo per parlargli, cercando il momento giusto, quando scoprii di essere incinta. La gioia cancellò tutto il resto. Avevo quasi trent’anni, e ancora non avevamo figli.

Sperai che sarebbe cambiato. Ero persino abituata allMa alla fine, con quel sorriso spericolato di Antonio e le risate di Timoteo che riempivano la casa, capii che finalmente, dopo tanto tempo, ero libera di vivere senza regole perfette, solo felice.

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