Il tuo gatto è eccessivamente rumoroso

“Il tuo gatto fa troppo rumore!”
“Spegni quel dannato affare! Non riesco a dormire per colpa vostra!” urlò una voce dietro la porta.

Poi, qualcuno cominciò a bussare con forza e a suonare il campanello ripetutamente. Carlotta sussultò e lasciò cadere il telecomando. Luca si girò nel letto, irritato.

Nella stanza, la lucina notturna illuminava appena. Fuori, l’afa estiva opprimeva tutto. Carlotta si avvolse nella vestaglia e si avviò verso la porta.

Davanti a lei c’era una donna sulla settantina, con labbra sottili e uno sguardo severo. Indossava un semplice vestito di cotone e teneva in mano un telefono.

“Mi scusi, ma chi è?” chiese Carlotta, senza aprire la porta, intimidita.
“Sono Concetta Romano, del terzo piano! Sopra la mia finestra c’è quel vostro aggeggio che ronza e non mi fa dormire. Spegnetelo subito! O chiamo i carabinieri. Non si può fare rumore a quest’ora!”

Carlotta provò a dire qualcosa, ma Concetta continuò a lamentarsi senza pause.

“Non capisco come si possa essere così senza vergogna! Tutto il palazzo soffre per colpa vostra!”
“Be’, non è poi così rumoroso…” disse Carlotta con cautela. “Abbiamo controllato con la finestra aperta.”
“Per voi non è rumoroso, ma io mi sento male per quel maledetto tritacarne!”
“Va bene, lo spegneremo,” acconsentì Carlotta a malincuore. “Non sapevamo che desse fastidio…”
“Ora lo sapete,” tagliò corto Concetta, allontanandosi a passi svelti.

Carlotta tornò in camera e spense il condizionatore. Aprì tutte le finestre e il balcone, ma non servì a nulla. L’aria calda era soffocante. Luca si rigirò a lungo, poi andò a farsi una doccia, mentre Carlotta fissava il soffitto, sveglia.
Non avevano immaginato così la loro prima estate in quella casa…

…Avevano comprato il bilocale solo due mesi prima. L’estate precedente, nell’appartamento in affitto, era stata un incubo: catini d’acqua fredda, correnti d’aria, il ventilatore che spingeva aria calda in giro. Carlotta aveva firmato il mutuo con le mani tremanti, ma con la certezza che finalmente nessuno avrebbe dettato loro come vivere.

Invece, qualcuno lo stava facendo.

La mattina dopo, Carlotta incrociò nell’ascensore un’altra vicina, Beatrice. Si erano già conosciute, anzi, le avevano aiutato a cambiare un rubinetto.

“Ascolta, Bea,” disse Carlotta appoggiandosi al muro, “ieri sera abbiamo acceso il condizionatore e ci hanno protestato. Fa davvero così tanto rumore?”

Beatrice alzò le sopracciglia.

“Fammi indovinare. Concetta Romano?”
Carlotta annuì.

“Ecco… Si lamenta anche di noi. A volte è la TV, altre volte mio figlio che ride troppo. Una volta ha detto che il nostro gatto saltava troppo rumorosamente. Ma ormai ci siamo abituati. Chiama un paio di volte al mese. Sopportabile.”

Carlotta non poté fare a meno di sorridere.

“Il gatto? Davvero?”
“Già,” confermò Beatrice. “Ora guardiamo tutto con le cuffie. Con mio figlio e il gatto è più difficile, capisci.”

Più tardi, Carlotta incontrò Marco sulle scale. Lui aveva lo stesso modello di condizionatore, installato proprio sotto la finestra di Concetta.

“Marco, a te non si lamenta mai?”
“Macché. Eppure il mio fa un bel rumore. Un tecnico mi ha detto che è montato male e per questo vibra. Ma evidentemente le piaccio,” rise il vicino.
“E di noi, qualcuno si è mai lamentato?”
“Mai sentito. Siete silenziosissimi. Niente bambini, né trapano, né cane.”

Le risposte dei vicini, però, non la rassicurarono. Accese di nuovo il condizionatore e ascoltò dalla finestra: era appena udibile.
Allora, qual era il problema? Forse non era questione di decibel? Carlotta cominciò a pensare che Concetta avesse preso di mira proprio loro, irritandosi per ogni cosa. O forse non sopportava vedere gli altri sereni. Gente così esiste.

Da quando Concetta era comparsa sulla loro porta, era iniziato l’inferno. Ogni sera cercavano di raffreddare l’aria il più possibile, per tenere le finestre chiuse almeno mezz’ora in più. Impostarono la sveglia alle 22:59. Se ritardavano anche solo di due minuti, la vicina batteva sui termosifoni e urlava. Se erano in ritardo di cinque minuti, bussava.

Per sopravvivere al caldo, misero un ventilatore vicino alla finestra. Faceva più rumore del condizionatore, ma stranamente non disturbava Concetta.

Chiamarono persino un tecnico, da bravi vicini. L’uomo controllò l’unità esterna e regolò qualcosa.

“Ho sistemato i supporti e aggiunto guarnizioni antirumore. Ma già prima era silenzioso. Ora è quasi impercettibile. Renderlo ancora più quieto sarebbe difficile, e inutile,” concluse.

Carlotta sorrise, sollevata. Sperava che finalmente avrebbero dormito tranquilli.

Ma dopo due giorni, alle 23:03, squillò il telefono.

“Ma vi sembra normale? Avete riacceso il condizionatore?” strillò Concetta. “Mi tremano le pareti! Mi sento male, mi sale la pressione!”
“Abbiamo chiamato un tecnico. Ha detto che non fa quasi rumore. Abbiamo fatto tutto il possibile…”
“Il vostro tecnico non ci dorme sotto di notte! Spegnetelo subito, o chiamo i carabinieri!”

Luca sospirò e lo spense. Dormirono di nuovo col ventilatore.

A poco a poco, Carlotta notò che neanche Concetta era un esempio di silenzio. A volte parlava al telefono così forte che si sentiva in tutto il palazzo. A volte anche di notte. La sua voce diventava un urlo.

“E osi chiamarti figlia! Hai bisogno di me solo per i soldi!” gridava Concetta. “Tutti mi hanno abbandonato! Tutti!”

Carlotta cercava di non ascoltare, ma le urla erano troppo forti. Dopo quelle scene, si sentiva stranamente angosciata, come trascinata in un dramma che non le apparteneva.

Una notte, sotto il lenzuolo leggero, ascoltando il ronzio del ventilatore, ricordò quando lei stessa si addormentava tra il rumore del trapano e della musica. Non troppo forte, ma comunque presente.

Non si erano mai lamentati dei vicini. Sapevano bene che in un condominio bisogna convivere con gli altri. Ognuno dava un po’ fastidio, ma tutti trovavano un modo per accordarsi.

Tutti, tranne Concetta.

Fine agosto fu particolarmente torrido. Quando i genitori di Carlotta li invitarono in campagna, non ci pensarono due volte. Lì c’era frescura. Certo, avrebbero sudato sotto il sole nell’orto, ma almeno niente lamentele.

Fecero le valigie in un’ora, spensero tutto, staccarono le spine. La sera fu perfetta. Sulla veranda, mangiarono pannocchie e risero sotto le stelle. L’unica discussione fu sul menu del giorno dopo: carne alla griglia o pesce?

Sembrava una fuga in paradiso. Ma la pace durò poco.

All’una e mezza di notte, il telefono di Luca vibrò. Lo afferrò e strizzò gli occhi. Pensò fosse la sveglia, ma poi riconobbe il nome sullo schermo. Sbuffò.

“Di nuovo lei?” sussurrò Carlotta, stanca.
“Indovina.”
“Santo cielo, cosa vuole”Finalmente capirono che, a volte, la pace si trova solo quando smetti di ascoltare chi non cerca altro che lamentarsi.”

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