La Malefica

“La Rompiscatole”

— Buonasera, signori. La vicina del piano di sotto si è lamentata del rumore e delle urla provenienti dal vostro appartamento — l’agente di quartiere era sulla soglia. — Posso entrare?

— Certo — disse Valeria con voce tremante. — Entri pure, devo solo calmare il bambino.

In realtà, Valeria tremava non per la visita della polizia, ma perché il marito l’aveva picchiata di nuovo. Stavolta perché aveva svuotato tutta la grappa nel water. Matteo, scoprendolo, era andato su tutte le furie:

— Sono un uomo e ho il diritto di rilassarmi dopo il lavoro! Tu stai a casa in maternità, riposandoti, mentre io mi spacco la schiena in cantiere! Vai a comprarmi una bottiglia!

— Non ci vado — rispose Valeria. — Sei ubriaco ogni giorno, nostro figlio ha già paura di te. Michele ha solo un anno e ha già visto troppo! Smettila di bere, Matteo!

Tra le urla disperate del bambino, sua madre fu picchiata ancora. La vicina, Claudia Gregorio, sentì il trambusto e, come suo solito, fece ciò che faceva sempre in situazioni sospette: chiamò la polizia.

A proposito, Claudia Gregorio era un tipo particolare. Dire che i vicini non la sopportavano era un eufemismo: non la potevano vedere. Su ognuno di loro, l’instancabile Claudia Gregorio aveva sparlato almeno una volta. E non solo alla polizia: c’erano anche l’amministrazione condominiale, i servizi sociali e persino l’ufficio tutela minori.

— Sa, mi sembra che la madre di Sandro del quinto piano non lo nutra affatto, è così piccolo e vestito di stracci — telefonava Claudia Gregorio ai servizi sociali. — Dovreste controllare quella famiglia, la madre è troppo felice, chissà, forse si fa di droga o peggio.

L’assistente sociale annotò la segnalazione e promise all’attiva cittadina che avrebbero preso provvedimenti.

La povera madre di Sandro, che era in sovrappeso, rimase scioccata quando una commissione intera bussò alla sua porta. Si scoprì che Sandro era a dieta perché, a nove anni, pesava già come un adolescente. La dieta funzionava, ecco perché la madre era contenta. E per i vestiti? Sandro era sì paffutello, ma anche un terremoto: pantaloni e magliette si consumavano in un attimo.

Ma Claudia Gregorio, ovviamente, non lo sapeva. Non parlava mai con i vicini, anzi, li evitava.

I residenti più anziani raccontavano che, tanto tempo fa, dei ladri erano entrati nel suo appartamento. Da allora, non si fidava più di nessuno. Credeva che fossero stati i vicini a informare i delinquenti che lei e il marito avevano ritirato dei soldi per comprare una vecchia Fiat. Il marito, cercando di difendere i loro risparmi, era stato picchiato e poco dopo era morto. Claudia Gregorio non si era mai ripresa e non si era più risposata.

Ma i vicini più giovani, che erano la maggioranza, non lo sapevano.

— Pulite le cacche del vostro cane! Avete proprio il vizio di lasciare schifezze in giro! Pulite, o peggio per voi! — urlava Claudia Gregorio al giovane vicino, che portava a spasso il cane prima di dormire.

— Se ti dà fastidio, puliscile tu, vecchia bisbetica — sbuffò il ragazzo.

L’enorme cane, lasciando un cumulo minaccioso, ringhiò verso la donna e tirava il guinzaglio, cercando di raggiungerla. Claudia Gregorio si spaventò e indietreggiò, covando in silenzio un rancore che presto si sarebbe trasformato in vendetta.

Quella vendetta arrivò il mattino dopo, quando il giovane vicino trovò lo stesso cumulo davanti alla sua porta, calpestandolo con le sue nuove scarpe da ginnastica bianche.

— Ma vaffanculo! — urlò, pulendo l’opera del suo amato cane.

A Claudia Gregorio andò bene che il ragazzo non sapeva in quale palazzo vivesse quella che aveva mantenuto la promessa. Maledicendo, gettò le scarpe nel cassonetto.

Intanto, dietro alle tendine immacolate, sorrideva una vecchietta molto soddisfatta di sé. Da allora, i vialetti del parco giochi e del cortile rimasero puliti. La voce sulla disavventura del vicino si diffuse in fretta tra i padroni di cani…

— Allora, cos’è successo? — l’agente guardò intorno alla stanza, dove Michele, aggrappato alle sbarre del lettino, piangeva senza sosta.

— Niente — borbottò Matteo. — Stavo guardando la partita e commentavo troppo forte. Che schifo, non sanno nemmeno tirare, sembrano tartarughe!

Valeria guardò il marito con terrore. Sapeva che doveva assecondare la sua bugia, altrimenti sarebbe andata male. L’agente fissò la donna, sospettoso. Aveva capito, ma senza la sua testimonianza, non poteva punire il violento.

— Sì, è stato solo la televisione — mentì Valeria. — Scusi.

L’agente sospirò. Era sempre così: prima difendevano i loro aguzzini, poi poteva essere troppo tardi.

— Va bene, vi avverto, ma la prossima volta sarà una multa per disturbo alla quiete pubblica — disse. — E non chiedete scusa a me, ma alla vostra vicina. È molto attenta, direi che avete fortuna: cittadini così premurosi sono rari. Chiama sempre se succede qualcosa, ormai conosce tutte le guardie di turno.

— Già — disse Matteo, cercando di nascondere il fastidio.

L’agente gli lanciò un’occhiata di avvertimento, poi guardò Valeria, scuotendo la testa in modo eloquente, e se ne andò.

— La prossima volta ti sistemo io, non farai in tempo a piangere — sibilò Matteo tra i denti quando la porta si chiuse.

E Valeria, tenendo in braccio il piccolo Michele, maledisse il giorno in cui aveva accettato di diventare la moglie di Matteo.

— Non è l’uomo giusto per te, Vale — dicevano le amiche. — Tu sei dolce e allegra, lui sorride, ma ha lo sguardo di un ossesso. Non impelagarti con lui.

— Ragazze, voi non lo conoscete come me. Mi ama — rispondeva Valeria, sognante. — È forte e coraggioso, una volta mi ha difeso per strada.

Così Valeria sposò Matteo, che presto si rivelò per quello che era: geloso dei colleghi, litigioso, senza ritegno. E Valeria scambiava tutto questo per amore, confondendolo con possessività e violenza. Ora Matteo la gelosava a ogni angolo e la criticava per qualsiasi cosa, godendo nel vederla sentirsi in colpa senza motivo.

— Questa è una camicia stirata? Ma da dove ti escono le mani?! — urlava Matteo.

— Ma ho fatto del mio meglio, non ho nemmeno avuto tempo di mangiare. Michele sta mettendo i dentini, non mi stacco da lui tutto il giorno — si lamentò Valeria, sperando in comprensione.

Ma la comprensione non era il forte di Matteo. Lui sapeva solo accusare: la minestra troppo calda, le polpette insipide, lei una madre incapace perché il bambino piangeva spesso.

— Lo hai svegliato tu urlando, ecco perché piange — si difendeva Valeria. — Forse ho preso un raffreddore.

— Tanto non ti sciogli — rispose Matteo indifferente. — Una volta le donne partorivano nei campi e poi tornavano a zappare. Adesso vi viziano tutti e vi lamentate pure.

All’inizio Valeria pensava che Matteo fosse stressato dal lavoro. Ma ingoiando umiliazione dopo umiliazioneMa quando finalmente trovò il coraggio di lasciarlo, scoprì che la luce del sole era ancora più calda senza la sua ombra.

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