E perché guardarsi indietro? Sarebbe passato oltre…

E perché si voltò? Avrebbe potuto proseguire oltre…

Ogni volta che prendiamo una decisione, cerchiamo di convincerci che sia quella giusta, trovando scuse per le nostre azioni. All’inizio, i dubbi ci tormentano, temiamo che il boomerang del karma ci raggiunga, che arrivi una punizione per ciò che abbiamo fatto. Ma quando non succede nulla, ci tranquillizziamo, ci rafforziamo nella convinzione di aver agito bene, e andiamo avanti, cercando di non ricordare, di non pensarci.

Ma un giorno il boomerang arriva davvero. O forse è solo un tardivo rimorso…

Si incontrarono nei primi anni duemila. Enrico si avvicinò alla fermata dell’autobus e aspettò. Poco distante c’era una ragazza, comune, come tante altre. Ma il cuore gli diede un colpo forte nel petto. *Tra poco arriverà l’autobus, lei salirà e non la rivedrò mai più.* Si voltò quasi per istinto. Un autobus era fermo al semaforo. Il cuore accelerò, spronandolo. E così Enrico si avvicinò alla ragazza.

«Ciao. Che autobus aspetti?»

Lei lo guardò, cercando di riconoscerlo o ricordarlo, mentre lui fissava i suoi occhi, sapendo già che non avrebbe mai potuto dimenticarli.

«Mi chiamo Enrico. Aspetti il 204?»

«No», finalmente sorrise lei. «L’autobus 30.»

Enrico tirò un sospiro di sollievo. Non aveva visto arrivare l’autobus, quindi c’era ancora tempo.

«Abiti a Sud?» le chiese di nuovo.

«No, vado dalla nonna.»

«Hai fretta?» domandò lui, quasi rassegnato.

«Non troppo, perché?» La ragazza lo osservava curiosa.

La voce di Enrico si fece improvvisamente allegra:

«Andiamo a piedi fino alla prossima fermata?»

Lei esitò un attimo, poi annuì sorridendo.

Il cuore gli batteva forte, emozionato e felice. Camminarono insieme fino alla fermata successiva, poi ancora un po’… Arrivarono così al quartiere dove viveva la nonna di Agnese, senza sentire la fatica e senza accorgersi del tempo passato.

Quando Agnese si fermò davanti alla casa della nonna, ormai sapevano molte cose l’uno dell’altra, come se si conoscessero da sempre. Prima di separarsi, si scambiarono numeri e indirizzi. Nessuno dei due dubitava di aver trovato il proprio destino.

Passarono un anno intero vivendo tra un incontro e l’altro, finché non si sposarono. All’inizio vissero a casa della nonna di Agnese, poi, una volta finiti gli studi e trovato lavoro, presero un mutuo e comprarono un appartamento. Due stanze, pensando al futuro.

Quando Agnese gli disse che aspettavano un bambino, il cuore di Enrico gli diede un altro colpo nel petto, come il primo giorno in cui l’aveva vista. *E allora, cosa aspetti, papà?* E lui si sciolse in un sorriso felice. Sarebbe diventato padre! Improvviso, sorprendente, responsabile.

La vita cambiò radicalmente e prese velocità. Ora non facevano altro che pianificare e discutere su come sarebbe stato il loro bambino, chi sarebbe diventato, che nome dargli. Litigavano su dove mettere la culla, quale passeggino scegliere… Enrico si fermava perfino per strada a chiedere consigli alle mamme con i passeggini. Loro erano felici di dispensare suggerimenti, dai primi pappe ai dentini che spuntavano.

Gli amici, che già avevano figli, offrivano vestitini e body usati dai loro bambini cresciuti.

I due giovani non vedevano l’ora di conoscere il loro primogenito. E finalmente nacque un bellissimo bambino con gli occhi azzurri. Quando Agnese tornò dall’ospedale, nella cameretta c’era già una culla nuova con i paracolpi morbidi, l’armadio era pieno di body e cuffiette perfettamente piegati, tutine e pannolini. Nel corridoio, un passeggino moderno aspettava le lunghe passeggiate.

Finalmente arrivò il giorno in cui Enrico, pieno d’amore e speranza, portò in casa quel fagottino. L’appartamento si riempì di pianti, voci e parenti in visita.

Al primo controllo dal pediatra, Agnese notò l’espressione tesa del medico e, con voce tremante, chiese:

«C’è qualcosa che non va?»

Il dottore non rispose e prescrisse ulteriori esami. Poi arrivò la diagnosi terribile. Agnese piangeva, Enrico serrava la mascella cercando di consolarla. Non vollero crederci, sperarono in un errore. Era impossibile! Erano giovani e sani, come poteva succedere?

«Un parto lungo e difficile, un trauma alla nascita…» spiegò stanco il medico.

Iniziarono giorni di disperazione e accettazione. La madre di Enrico propose di portare il bambino in un istituto, di liberarsi di quel peso. Avrebbero potuto avere altri figli, sani. Era una condanna a vita.

Enrico non riusciva a guardare gli occhi pieni di lacrime di Agnese, ma disse fermamente che Davide non sarebbe andato da nessuna parte.

Il bambino cresceva, li riconosceva, sorrideva e sembrava perfettamente normale. Speravano che i medici si fossero sbagliati, che non fosse così grave. Ma quando arrivò il momento di camminare, Davide non riuscì a muovere quei piedini deboli.

Nessun medico garantì che avrebbe mai camminato. La sedia a rotelle sarebbe stata il suo futuro. «Ringraziate che il cervello non è stato danneggiato.»

Iniziò la lotta per la sua crescita: massaggi, fisioterapia, esercizi… Agnese non tornò a lavoro dopo la maternità, dedicandosi completamente a Davide. I soldi guadagnati da Enrico andavano tutti per le cure e il mutuo. I genitori aiutavano come potevano.

Un weekend, Agnese chiese a Enrico di portare Davide al parco mentre lei puliva casa. Lui rifiutò.

«Agnese, faccio io le pulizie, tu portalo fuori. Capisci, tutti i bambini corrono, giocano con le mamme… La gente guarda storto Davide nel passeggino. Lui è già troppo grande per quello. Non riesco a sopportare gli sguardi della gente.»

Fu il primo campanello d’allarme. E ne seguirono molti altri.

Una volta Agnese propose di vendere l’appartamento e comprare una casa.

«Possiamo mettere una rampa per Davide, così potrà uscire da solo. Starà meglio lui, e anche noi.»

«Sì, hai ragione», rispose Enrico, evitando il suo sguardo. «Ma non cambierà molto. Scusami, non ce la faccio più.»

Agnese lo lasciò andare. I suoi occhi erano pieni di smarrimento, ma non pianse. Lui cercò di non pensare a tutto ciò che lei avrebbe dovuto affrontare da sola: le decisioni, i soldi, la responsabilità…

***

Passarono diciassette anni.

Dopo lavoro, Enrico entrò in un negozio per cercare un regalo per suo padre. Avrebbe compiuto sessantacinque anni.

Non trovando nulla, si avviò verso l’uscita. Davanti a lui camminava una donna in un completo verde. Enrico non distoglieva lo sguardo da quella figura elegante, respirando il suo profumo delicato. *Che donna meravigliosa*, pensò.

La donna si fermò a cercare qualcosa nella borsa. Enrico la superò, ma poi si voltò. Voleva vedere se il suo viso era bello come il resto. Quando lei alzò gli occhi, lui la riconobbe immediatamente. Le gambe gli si bloccarono, il cuore gli diede un pugno nel petto.

UltimamenteEnrico rimase immobile, guardando la strada vuota dove l’auto di Agnese era appena scomparsa, e per la prima volta capì che il vero peso non era stato quello di Davide, ma la sua codardia.

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