Andrea e Matteo – amici per sempre
Matteo stava discutendo di questioni di lavoro con i colleghi nel suo ufficio quando il telefono vibrò sul tavolo. Stava per ignorare la chiamata, ma sullo schermo vide il nome di un amico di scuola.
“Scusate,” disse ai colleghi, prese il telefono e uscì.
“Pronto?” rispose con cautela.
Aveva un amico, Andrea, ma erano passati così tanti anni… Nemmeno lui sapeva che il suo numero fosse ancora lo stesso, dopo tutti i cambi di telefono.
“Matteo? Sei davvero tu? Sono io, Andrea. Pensavo avessi cambiato numero, non credevo di riuscire a trovarti!” disse una voce maschile piena di gioia.
“Ciao, Andrea. Come va?” Matteo era ancora sorpreso e rispose in modo distaccato, quasi automatico. Ma Andrea non se ne accorse e continuò entusiasta:
“Benissimo! Sono a Milano. Ascolta, so che è orario di lavoro, forse non è il momento migliore… Ma ci vediamo? Sono anni che non ci vediamo. Quando ci sarebbe un’altra occasione?”
“Senti, ho una riunione. Posso tra un’ora. Dimmi dove raggiungerti. Diavolo, che piacere sentirti,” rispose Matteo, con la voce più calda.
“Sono alla stazione Centrale. Sono qui davanti all’ingresso.”
“Ti troverò. Non muoverti, d’accordo? Aspettami,” disse Matteo, rientrando in ufficio.
Continuò a parlare, partecipò alla discussione, ma Andrea gli rimase in mente. Non si vedevano da quasi quindici anni, da quando aveva lasciato il paese natale per l’università.
Matteo parcheggiò l’auto e si avviò verso la stazione. Come sempre, era affollata. Guardava in giro, scrutando i volti della gente.
“Matteo!” Un uomo sorridente gli venne incontro, e per un attimo Matteo non lo riconobbe. Si fermarono, si studiarono per un momento, poi si strinsero la mano e, senza dire niente, si abbracciarono.
“Matteo…”
“Andrea…”
“Non credo ai miei occhi,” disse Andrea, abbracciandolo di nuovo. “Sei in gran forma. Vedo che sei diventato un uomo importante. Lo sapevo che saresti arrivato lontano. Qui c’è troppo rumore. Andiamo a prenderci un caffè?”
“Certo,” concordò Matteo. “Ho la macchina. Qui vicino c’è un buon posto. Sei a Milano per lavoro?”
“Ho portato mia suocera all’ospedale. Ha problemi all’anca, cammina a fatica. Abbiamo aspettato mesi per l’intervento. Accidenti! È la tua?” Andrea guardò incredulo la grande SUV.
“Tutta mia, sali,” sorrise Matteo, soddisfatto dell’effetto.
Tra i commenti stupiti di Andrea, Matteo si immise nel traffico, svoltò in un vicolo e dopo pochi minuti si fermò. Il bar era accogliente, poco illuminato nonostante fosse giorno. Poca gente, niente a che vedere con il caos della stazione.
“Finalmente possiamo parlare. Siediti e raccontami.” Ma prima che potessero sedersi, arrivò la cameriera.
“Per me un caffè senza zucchero, e per il mio amico…” Matteo guardò Andrea.
“Anche per me un caffè,” disse lui in fretta.
“Porta pure una bistecca con patate al forno, il caffè e un dolce per lui.”
La cameriera se ne andò.
“Non guardarmi così. Dovrai prendere il treno più tardi. Dubito che tu abbia mangiato.”
“Giusto. Abbiamo impiegato tre ore per arrivare all’ospedale con mia suocera. Cammina male… Ma pago io.”
Matteo non rispose.
“Non pensare che abbia bisogno di aiuto. L’intervento è coperto dal Servizio Sanitario. Volevo solo… vederti. Ho chiamato sperando che il tuo numero fosse ancora lo stesso.”
“Lo so. Raccontami di te. Sei sposato?”
“Sì, due figli. Mio figlio ha undici anni, e Giulia sette, sta finendo la prima elementare. Mio suocero mi ha lasciato un’officina, ora la gestisco. Se dico a Marina che ti ho visto, non mi crede.”
“Quale Marina?” fece Matteo sorpreso. “Aspetta, sei sposato con Marina?”
“Ti ricordi di lei? Sì, proprio lei.” Andrea sorrise. “A scuola ti rincorreva sempre. Non ti dava tregua. Ricordi come scappavamo da lei dopo le lezioni? A me piaceva, già allora. Non lo sapevi? Quando te ne andasti, fu distrutta. Voleva venirti dietro a Milano. Sua madre glielo impedì. Poi iniziammo a frequentarci. Ecco com’è andata. Per una volta ti ho battuto. E tu? Vedo che sei sposato.” Fece un cenno alla fede di Matteo.
“Sposato, sì. Ma nessun figlio per ora.”
“Capisco. E dove lavori?”
“In un’azienda. Dirigo il reparto vendite.”
“Accidenti. Vivi a Milano, macchina di lusso… Sei messo meglio di tutti noi,” disse Andrea approvando.
Matteo sorrise con modestia.
“Ti ricordi quando andavamo a pescare? Quella volta che scappammo di casa per andare al Polo Nord? Quante botte presi…”
“E quando quasi bruciammo la rimessa in campagna?” lo interruppe Matteo.
“Che tempi.” Gli occhi di Andrea si velarono di malinconia. “Sapevo che saresti arrivato lontano.”
“Non invidiarmi,” disse Matteo.
“Non ti invidio, o forse solo un pochino. No, non mi lamento. Mio suocero mi ha lasciato una vecchia Fiat, l’ho riparata, rifatta a nuovo, va che è una meraviglia. Marina è brava, i bambini pure. Darei l’anima per loro. Sai, a pensarci bene, non ho motivo di lamentarmi. E tu?”
“Io cosa?”
“Vivi a Milano, hai un lavoro, una macchina di lusso, soldi. Sei felice?” Lo sguardo di Andrea divenne serio.
“Non lo so. Non ci penso. Dove vuoi arrivare?”
“Dai, lo capisci. Tu ed io veniamo da mondi diversi, pianeti diversi. Guardati, in giacca e cravatta… Non so nemmeno di cosa parlarti.”
“Andrea, smettila. Sono felice di averti rivisto,” sorrise Matteo.
“Felice davvero? E allora perché non hai mai chiamato in tutti questi anni? Te ne sei andato e basta,” disse Andrea, leggermente offeso.
“Ma nemmeno tu hai chiamato,” ribatté Matteo.
La discussione stava prendendo una piega strana.
“Siamo orgogliosi,” disse Andrea, parlando improvvisamente al plurale. “Va bene, lascia stare, mi sono lasciato prendere. Bravo, hai ottenuto tutto quello che volevi. Non te l’hanno regalato.”
“Giusto,” confermò Matteo.
“Almeno tua moglie è bella?” chiese Andrea, ammorbidendosi.
Matteo ricordò Elena, elegante, vestita con abiti alla moda, i capelli perfetti, la pelle liscia…
“Bellissima…” In quel momento arrivò la cameriera con il vassoio, posando i piatti sul tavolo. L’aroma del caffè si diffuse. Appena se ne fu andata, Andrea si strofinò le mani.
“Solo ora mi rendo conto di quanto avessi fame.” E si gettò sul cibo.
Matteo bevve il caffè osservando l’amico. Jeans, giacca leggera, una camicia con il colletto sbottonato. I capelli ricci, con qualche filo grigio. Si sentì a disagio nel suo completo elegante, con l’orologio costoso al polso. Notò che AndreaMentre guidava verso casa, Matteo capì che la vera ricchezza non stava nei soldi o nel suo successo, ma nei ricordi condivisi con Andrea e nel desiderio improvviso di riconquistare la semplicità perduta.