Fato Ineluttabile

**Destino**

“Oggi ho parlato con Ludovica. Ma lo sai? Federico è scappato di nuovo con un’altra,” disse Tamara, quando la pubblicità interruppe la solita telenovela sul secondo canale.

Guardò il marito. Lui era semi-sdraiato sul letto, appoggiato a un cuscino, e fissava la tv con interesse.

“Vittò, mi ascolti? Federico ha fatto di nuovo il matto,” ripetè, vedendo che non rispondeva.

“Ti sento. E a te che importa?”

“Come sarebbe? Ludovica è la mia migliore amica! Sono preoccupata per lei. Federico non ti ha detto niente?” chiese Tamara, osservando il profilo del marito con sguardo sospettoso.

“Non deve rendermi conto. E poi, non lo vedo da settimane. E quella tua amica, detto tra noi, è una stressata. Chi non scapperebbe? Basta, ora riprende il film.”

“Ah sì? E lui te l’ha detto? Quindi è colpa di Ludovica. Per voi uomini è sempre la donna che sbaglia, no? Ma chi l’ha resa così? Lui passa la vita a tradirla!” Tamara incrociò le braccia, mentre Vittorio fissava il televisore senza batter ciglio.

“Senti, io ti sgrido spesso. Quante volte ti ho detto di pulirti i piedi prima di entrare? Porti tutta la sabbia in casa. E il bagno, dopo che lo usi, sembra un campo di battaglia… Allora sono una rompiscatole anch’io? Forse tradisci pure tu, eh? Per fare compagnia a Federico?” Tamara lo fissò, gli occhi pieni di sfida.

“Ecco, siamo arrivati al dunque. Ora tocca a me.” Vittorio si alzò di scatto. “Finisco l’episodio in cucina.”

“Mi dispiace solo per la mia amica,” disse Tamara al suo muro di schiena.

“Quanto si amavano, all’inizio! Lui scalava persino il balcone per portarle i fiori. Perché voi donne, non vi basta mai un uomo?” gridò verso la porta socchiusa.

“Finché ci corteggiate, ci chiamate ‘sole’, ‘tesoro’, ‘principessa’. Poi, quando trovate l’amante, diventiamo tutte isteriche,” borbottò fra sé, come se lui potesse sentirla. “Ludovica l’ha perdonato chissà quante volte. La prima volta si è messo in ginocchio, giurando che non l’avrebbe più fatto, piangeva come un bambino. Per i figli, lei ha ceduto. Federico è un brav’uomo, ma l’ha spezzata. Finché avrà fiato, continuerà così…” Tamara tacque, ascoltando. Dalla cucina, nessun rumore.

*Ma forse Vittorio mi tradisce pure lui? Perché è scattato così? L’ho toccato nel vivo? No, lui è pigro. Federico almeno va in palestra. Il mio ha la pancetta e la chierica che avanza…*

Ma quel dubbio, piantato nell’anima, iniziò a germogliare. Tamara non guardava più la tv, persa nei suoi pensieri. Si infilò le pantofole e andò in cucina. Lui era seduto, le gambe accavallate, e fumava dirigendo il fumo verso la finestra. Un colpo d’aria la fece rabbrividire.

“Ma quando mai hai ripreso a fumare?”

Vittorio trasalì, la cenere cadde sul tavolo.

“Mannaggia, mi hai spaventato.” La soffiò via. “Forse sono nervoso anch’io. Federico è pur sempre un amico.”

“Allora parlaci! Non gli vergogna, davanti ai figli? Che esempio dà?” Tamara prese il portacenere dal davanzale e lo mise davanti a lui.

“E come se mi ascoltasse! La sua vita, le sue scelte.” Tirò un’ultima boccata e spense la sigaretta. Poi chiuse la finestra.

“Andiamo a dormire.” Le passò accanto senza guardarla.

Tamara scosse la testa, spense la luce e lo seguì. Lui giaceva di lato, voltato verso il muro. In tv, c’era la solita talk show politica. Spense tutto e si coricò. Ormai da mesi, dormivano così, schiena contro schiena.

Si erano conosciuti all’università, innamorati perdutamente. Due anni dopo, matrimonio. Tutto come per gli altri: litigi, pace fatta, vita che va. La figlia, cresciuta, laureata, trasferita a Milano. Tamara non ci pensava spesso alla felicità. Eppure era stata felice. Gli amici divorziavano, si risposavano. Per ognuno una storia diversa. Loro erano insieme da ventisette anni, sposati da venticinque. Un quarto di secolo.

Tornò con il pensiero a Ludovica. Nelle orecchie, ancora la sua voce: “Perché mi fa questo? Ho fatto tutto per lui. I figli, la casa. Adesso non ho più né gioventù né marito, sola nella vecchiaia…”

Dall’altra parte del letto, Vittorio fissava il buio, trattenendo i sospiri e immobile.

Due giorni dopo, lui tardò dal lavoro. Tamara non si agitò. Capita. Traffico, amici, lavoro arretrato. Dallo sguardo capiva sempre il motivo. Se tornava allegro e brillo, era stato con gli amici. Se cupo, problemi in ufficio.

Finalmente, la serratura cigolò. Tamara lo sentì spogliarsi, insolitamente silenzioso. Poi passò in cucina.

Quando entrò, lui era seduto a tavola, la schiena contro il muro. Ma non rilassato—teso come una corda di violino. Lei sentì l’ansia salirle dal petto. Vittorio fissava il vuoto, come in attesa di una decisione.

“È successo qualcosa?” chiese piano, ma la paura ormai le invadeva gli occhi. “Ti scaldo la cena?”

“No, ho mangiato.” Si alzò e uscì senza guardarla.

Tamara colse un vago sentore di profumo. Straniero. Ma già noto.

Lo aspettò in salotto, ma lui non venne. Malato? A letto già? Entrò in camera. Lui sedeva sul bordo del letto, ancora in giacca e cravatta, le mani serrate sulle ginocchia.

“Vittò…”

“Siediti.”

Le obbedì, a distanza, annusando di nuovo quel profumo. Tacque. In qualche modo, sapeva già.

“Non posso mentire. C’è un’altra donna.”

“Vuoi andartene?”

Domanda inutile. Lo sapeva. Quando un uomo dice così, ha già deciso.

“Sì. Non resisto. Penso solo a lei.”

*Da quanto tempo? E io, ingenua, credevo fosse con gli amici*, pensò Tamara con amarezza.

“Se vai, non ti riprenderò come fa Ludovica.”

“Lo so. Ho deciso. Non posso più fingere.” Si alzò. “Prendo le mie cose e vado.”

Tamara voleva chiedere: e io? E nostra figlia? E venticinque anni insieme? Ma improvvisamente tutto le sembrò vuoto. Credeva impossibile, per loro. Ma sapeva che non avrebbe perdonato. Non sarebbe stata come Ludovica.

Uscì, lasciando la porta socchiusa. Sentì i passi, gli appendiabiti vuoti che sbattevano, la cerniera della valigia. Poi lui uscì, ancora in giacca. Si fermò davanti a lei.

“Mi dispiace.”

Tamara trattenne lacrime e urla. Non avrebbe fatto scenate. Quell’altra avrebbe chiesto: “Come ha reagito tua moglie?” Avrebbe mantenuto la dignità. Poi, sola, avrebbe pianto.

Appena la porta si chiuse, si lasciò andare. Rabbia, autocommiserazione. Quando si calmò, chiamò Ludovica. Solo lei poteE mentre il sole del mattino entrava dalla finestra, Tamara sorrise tra le lacrime, prendendo il telefono per chiamare la figlia e dirle che era pronta a ricominciare.

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