Tutta la colpa è della pioggia

**La colpa è tutta della pioggia**

Nel pomeriggio il cielo si coprì di nuvole, e verso sera iniziò a cadere una pioggerellina sottile. In primavera le strade sembrano grigie, soprattutto con questo tempo umido.

Matteo girava in macchina per la città da più di un’ora, cercando di passare il tempo prima della partenza. Con l’arrivo della sera, il traffico si era intensificato, e lui si ritrovò più volte fermo ai semafori o incolonnato. Il tempo scorreva lentamente, ma non aveva voglia di tornare a casa, e la stazione era ancora troppo lontana.

Fermò l’auto accanto al marciapiede e spense i tergicristalli. Goccioline trasparenti punteggiavano il parabrezza, distorcendo il mondo oltre il vetro.

Era una settimana che cercava di riprendersi dopo che Sofia se n’era andata. E ancora non riusciva a voltare pagina. Se fosse rimasto a casa, avrebbe di nuovo bevuto, come aveva fatto tutti quei giorni. Senza vino, non riusciva a dormire.

Avevano vissuto insieme quasi un anno, dopo due mesi di frequentazione. All’inizio tutto era perfetto, quasi magico. Lui aveva già iniziato a fare progetti: d’estate sarebbero andati al sud, e là, in riva al mare, le avrebbe chiesto di sposarlo, nonostante gli ultimi litigi. Sofia lo criticava per qualsiasi cosa, sembrava sempre arrabbiata, gli faceva continue rimproveri.

Poco prima di lasciarlo, avevano litigato per il regalo dell’8 marzo. Un mazzo di tulipani olandesi e una borsetta che desiderava da tempo le erano sembrati un dono insignificante.

“Ma tu stessa la volevi questa borsetta,” protestò Matteo. “E tra l’altro, non era affatto economica.”

“Sapevo che me l’avresti regalata. Pensavo che avresti aggiunto qualcos’altro, magari una sorpresa. Un regalo dovrebbe essere inatteso, speciale.”

“Scusa, dovevi dirmelo se volevi altro,” rispose lui abbattuto.

“Non potevi pensarci da solo?”

E Sofia ricominciò. Diceva che non sapeva come far felice una donna, che guadagnava poco. “Marco ha regalato una pelliccia a Giulia, e il fidanzato di Chiara le ha comprato un anello con diamanti.”

“Marco fa affari loschi, i suoi soldi non sono puliti.”

“E allora? Lei almeno ha una pelliccia nuova e va in vacanza in posti esclusivi. Tu sei troppo rigido, e restiamo poveri.”

“Non esagerare, non siamo poveri. Volevo regalarti un anello, ma più avanti. E poi, che te ne fai di una pelliccia in primavera? L’ha presa in saldo, ha risparmiato un sacco.”

“Fai finta di non capire o davvero non ci arrivi?” La voce di Sofia risuonava tagliente.

Tutte quelle liti avevano una ragione, e Matteo sospettava quale, anche se non voleva ammetterlo. Prima litigavano, ma la notte si riconciliavano. Quella volta, invece, Sofia gli voltò le spalle e gli diede uno schiaffo sulla mano quando tentò di abbracciarla.

La mattina dopo non gli rivolse la parola. Lui la chiamò tutto il giorno, ma lei ignorò le sue chiamate e infine spense il telefono. Matteo aspettò la sera con impazienza. Di ritorno a casa, comprò dei fiori, ma entrando in appartamento trovò solo un biglietto.

Sofia scriveva di essere stanca di tutto, di volersene andare con qualcuno disposto a darle il mondo. I suoi vestiti e la valigia che usavano in vacanza erano spariti.

Matteo vagò per casa furioso, scagliando tutto ciò che gli capitava a tiro, soprattutto le piccole cose che Sofia aveva dimenticato o scelto di non portare con sé nella sua nuova vita lussuosa. Poi prese un sacco, ci buttò dentro i suoi oggetti: lo spazzolino, una crema, l’accappatoio lasciato in bagno. Senza esitare, lo gettò nel cassonetto.

La cosa peggiore era che non se n’era andata per conto suo, ma per un altro, sminuendolo. E lui si sentiva proprio così: un fallito. Di notte non riusciva a dormire, il profumo di Sofia impregnava i cuscini. I ricordi lo soffocavano. Si alzò, prese una bottiglia di vino e ne bevve un bicchiere. Non si sentì meglio, ma almeno riuscì a dormire qualche ora.

Così andò avanti tutta la settimana. Andava al lavoro con le occhiaie. I colleghi gli dimostravano compassione. Le sue prestazioni ne risentirono. Alla fine, il capo ebbe pietà e lo mandò a Milano per un periodo di formazione, al posto di un altro.

“Cambia aria, distraiti e torna in forma,” gli disse dandogli una pacca sulla spalla.

Dopo il lavoro, Matteo passò a casa, infilò alcune cose in una borsa e si mise a girare per la città. Il vetro dell’auto si riempì di gocce, e dietro di esse la città svanì, lasciando solo le luci sfocate dei fari delle altre macchine.

Abbassò il finestrino e vide l’insegna di un bar. Immaginò subito un locale accogliente, luci soffuse, musica di sottofondo e chiacchiere silenziose. Era quello che gli serviva. Scese e entrò. Non c’era molta gente, ma tutti i tavolini erano occupati. Si sedette al bancone e chiese un caffè.

“Al bancone serviamo solo alcolici. Si sieda e ordini da un cameriere,” suggerì il barista.

“Ah, capisco,” rispose Matteo, osservando la sala in cerca di un posto.

Non lontano dal banco, vide una ragazza sola. Davanti a lei, una tazza, e mescolava distrattamente il caffè con un cucchiaino. Capelli scuri legati in una coda, un profilo delicato con un nasino perfetto. Gli occhi… non li vedeva. Guardava verso il basso. I jeans stretti e un maglioncino aderente mettevano in risalto la sua figura snella.

“Chissà di che colore sono i suoi occhi?” Gli venne voglia di scoprirlo subito. Per qualche motivo, era certo che non l’avrebbe mandato via. Si avvicinò al tavolo.

“Posso?” disse, sedendosi di fronte a lei.

La ragazza alzò lo sguardo. Erano verdi. “Quelli di Sofia erano marroni,” pensò lui, senza volerlo.

“Ti sei già seduto,” osservò lei.

Arrivò il cameriere con il menù.

“Un caffè senza zucchero,” ordinò Matteo, guardando la sua tazza. “Anzi, due, per favore.”

“Non te l’ho chiesto io,” ribatté lei con un tono di rimprovero.

“Il caffè freddo è una schifezza. Allora, non è venuto?”

“Chi?”

“Quello che stavi aspettando.”

“E a te che importa?”

“Mi sembri molto triste.”

“Era un’amica.”

“Cosa?” domandò lui, confuso.

“Aspettavo un’amica.”

Il cameriere portò i caffè e portò via la tazza mezza vuota.

Matteo ne bevve un sorso.

“Non male. Io sono Matteo. Tu come ti chiami?”

“Mi stai provando?” domandò lei, senza interesse.

“In sintesi, sì.”

“Elena.”

“Ascolta, Elena. Che senso ha stare qui? Ho la macchina. Che ne dici di un giro? La città di sera, la pioggia, le luci… è bello. Poi ti riaccompagno dove vuoi. La mia ragazza mi ha lasciato. Il treno èE quella pioggia, che sembrava portare solo malinconia, si rivelò invece il filo invisibile che li condusse l’uno verso l’altra, trasformando un giorno qualunque nell’inizio di tutto.

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