**Diario – Una storia italiana**
Da tempo sentivo che tra me e Massimo qualcosa si era rotto. L’amore si era spento, sostituito dalla routine, e le parole mancavano mentre i rimpianti crescevano. L’aria era pesante, come prima di un temporale.
Aspettavo, illudendomi che tutto si sarebbe sistemato. Ma scavare significava scoprire cose che non avrei più potuto ignorare. E poi? C’era mia figlia da pensare.
Cucinavo, tenevo la casa in ordine, mi assicuravo che Giulia non tornasse troppo tardi e che facesse i compiti. Ultimamente aveva i suoi segreti da ragazzina, segno che stava crescendo. E mio marito? Lui portava a casa lo stipendio. Punto.
Non staccava mai gli occhi dal telefono, come un ragazzino.
Poi mi ammalai. Febbre alta, mal di testa atroce, dolori ovunque. Gli chiesi di preparare la cena. Giulia era fuori con le amiche.
«Basterà un tè e dei panini», disse Massimo.
Ero troppo stanca per discutere. Per due giorni rimasi in un dormiveglia. Quando mi ripresi, trovai la cucina nel caos: piatti sporchi, nessuna tazza pulita, la pattumiera straripante di scatole di pizza vuote, la lavatrice piena delle sue camicie, sabbia per terra e il frigo vuoto. Mi mise tutto a posto e crollai esausta.
Dopo cena, altri piatti sporchi. Stavo per piangere. Il vaso era colmo.
«Basta. Non sono la tua domestica. Lavoro quanto te, e poi faccio tutto in casa. Potresti almeno lavarti la tazza!» dissi.
«Tanto la lavi sempre tu», rispose lui, impassibile.
«Domani butta la spazzatura prima di uscire. Lascerò il sacco vicino alla porta.»
«Va bene», disse, senza alzare gli occhi dal telefono.
«Non “va bene”, non dimenticarti», sospirai. «Prima mi aiutavi, passavi pure l’aspirapolvere. Non chiedo la luna, solo che butti l’immondizia! Mi ascolti? Metti giù quel telefono!»
«Cosa vuoi? Io porto i soldi a casa. Due donne in casa, e devo pure lavare i piatti?»
«Chiami tua figlia “donna”?» mi indignai.
«A proposito, dov’è? Lasci che vada in giro, poi ti lamenti per un piatto…» borbottò.
«Non è il piatto, è la tua indifferenza!»
«Basta! Non ne posso più!» Uscì dalla cucina e sbatté la porta del bagno.
Sul tavolo, il suo telefono si illuminò. Lessi il nome del messaggio: “Angelica”. Poi lo schermo si spense.
Ecco la ragione delle sue distrazioni. Lui tornò e afferrò il telefono.
«Angelica… è Angela? Antonella?» chiesi, fingendo indifferenza.
Lui si bloccò. «Hai frugato nel mio telefono?»
«È protetto. Hai qualcosa da nascondere?» pensai: «Mentimi, come sempre…»
«E se fosse così?» mi sfidò. «Sì, c’è un’altra donna. Parliamone con calma.»
«Come?» Le lacrime mi scorrevano.
«Eccoci, il dramma», disse infastidito. «Se ti piace fare la vittima, tieniti tutto com’è.»
Il mio mondo crollò. Un tuono, e poi la pioggia, che non sarebbe mai finita.
«Cosa aspetti? Prendi le tue cose e vattene.»
«Dove?»
«L’appartamento è mio, un regalo dei miei genitori. Non ho intenzione di venderlo.»
«E io e Giulia dove andiamo?»
«Io resto con papà», disse Giulia dall’ingresso.
«Stavi ascoltando?»
«Urlavate tanto che vi sentiva tutto il palazzo. Vi separate? Io rimango con lui.»
Lui sorrise. «Visto chi è il cattivo?» Uscì, probabilmente a scrivere alla sua amante che la casa era libera.
«Non puoi restare con lui, Giulia. Ha un’altra…»
«E allora? Ho la mia stanza. Non vado dai nonni, è troppo lontano. Qui ci sono la scuola e le mie amiche.»
Mi sentii morire. La mia famiglia, la mia casa… tutto svanito. Mia figlia mi aveva tradita.
Mi nascosi nel bagno a piangere. Quando tornai in camera, c’era un cuscino e una coperta sul divano. Lui parlava con l’amante.
«Cosa significa?»
«Non capisci?»
Passai la notte insonne. Avevo fatto tutto per essere una buona moglie e madre, ma non ero stata né l’una né l’altra. Umiliarmi? Mai. Lottare per la casa? Inutile. Ma per Giulia avrei combattuto.
Al mattino uscii mentre dormivano. Al lavoro, una collega mi offrì un vecchio appartamento del padre. Piccolo, trasandato, ma era un rifugio.
Traslocai quel giorno stesso. Ogni sera chiamavo Giulia. Diceva che andava tutto bene, che Angelica si era trasferita da loro, le aveva regalato vestiti e trucchi… Tutti felici, tranne me.
La vidi un giorno fuori dalla scuola, truccata pesantemente. «Non venire più», mi disse.
Trovai un secondo lavoro in un negozio di bricolage. Lavoravo fino a tardi, risparmiavo ogni centesimo. Dopo un anno comprai un bilocale con un mutuo. Se Giulia fosse tornata, avremmo vissuto insieme.
Venni aiutata da Valerio, un collega divorziato. Mentre montava i mobili, mi invitò al cinema.
«Mi compatisci?» gli chiesi.
«Perché? Sei giovane, bella, hai una casa. Devi solo voltare pagina. Credo che tuo marito abbia tenuto Giulia per sembrare meno crudele. Un giorno capirà. Nessuna matrigna può sostituire una madre.»
Valerio iniziò a frequentarmi. Un giorno, tardi, rimase a dormire. Poi si trasferì da me. Mi chiese di sposarlo, ma rifiutai. Aspettavo Giulia.
Passarono mesi. Un giorno, il campanello. Era lei.
«Mamma! Guarda, Valerio, è tornata! Come mi hai trovata?»
«Al tuo lavoro. Carino questo posto», disse guardandosi intorno.
A cena, mi confessò che non era riuscita a entrare all’università. Suo padre si rifiutò di pagarle gli studi.
«Angelica ha detto che i soldi servono a loro per le vacanze. Puoi aiutarmi?»
«Non ho soldi, ho ancora il mutuo», dissi. Valerio propose un lavoro nel negozio.
«Ma io non voglio perdere un anno!» sbottò.
La guardai, rattristata. Non l’avevo mai vista così capricciosa.
La sistemai su un materassino in cucina. Al mattino, se n’era andata.
«Non voglio dormire qui! Tu preferisci Valerio a me!» mi scrisse.
Valerio mi consolò. «È venuta solo per i soldi. Tornerà quando avrà davvero bisogno di te.»
Sei mesi dopo, Giulia si sposò con un ragazzo conosciuto in discoteca, rimasta incinta. Non mi invitò al matrimonio.
Poi nacque mia nipote. Il marito la trascurava, Angelica la cacciò. Allora Giulia mi chiamò.
Valerio parlò con i suoceri, benestanti. Le comprarono un appartamento in cambio della libertà del figlio.
Ora vado da lei ogni sera, la aiuto con la bambina. E sono felice, perché una madre aspetta sempre.
**Lezione:** La vita a volte stravolgeE mentre stringo tra le braccia mia nipote, sorrido pensando che, nonostante tutto, il cuore alla fine trova sempre il suo posto.