**Diario Personale**
Mio padre era un uomo severo, talmente rigido che persino mia madre aveva paura di contraddirlo. Con gli estranei si comportava diversamente: sorrideva, parlava con gentilezza. Con noi, invece, alzava la voce senza motivo. Per anni mi chiesi perché non mi volesse bene. La risposta la ebbi solo al liceo.
A scuola studia con tutto me stessa per evitare le sue ire, per cercare di compiacerlo. Fin dalla prima media sognavo di ottenere voti alti all’esame di maturità e di entrare in una delle università di Milano.
Quando parenti e amici dei miei genitori venivano a trovarci, si sentivano in dovere di lodarmi: “Che bella e intelligente che sei!” Poi chiedevano: “Cosa vuoi fare dopo il liceo?”
Io guardavo mio padre con timore e rispondevo che non avevo ancora deciso. Tacevo sui miei veri sogni.
“Undici anni di scuola bastano. Non ho intenzione di mantenerla fino alla pensione. È sana e robusta, che vada a lavorare. Tutti vogliono fare gli scienziati, i dirigenti… ma chi lavorerà davvero?” diceva lui al mio posto.
“Ma cosa dici, Enzo? Non dar retta a lui, Lucia è brava, prende solo dieci e lode. Con questi voti, la vuoi far lavorare in un negozio di salumi? Oggi senza un diploma non si trova nulla. E poi, con un buon lavoro può sposare un uomo benestante,” aggiungeva mia madre, cercando di rabbonirlo.
Ma mio padre non voleva sentir ragioni.
“Non sparare sciocchezze,” borbottava, lanciandole un’occhiata gelida. “A che serve l’università a una ragazza? Per cucinare e spolverare non ci vuole una laurea. Figliare può farlo anche senza. L’istruzione porta solo guai. Tu, per esempio, che vantaggio ne hai avuto?”
Mia madre si raggomitolava sotto quello sguardo, mentre lui continuava a parlare. Gli ospiti, a disagio, tacevano, evitando di contraddirlo.
Anche io rimanevo muta, senza rivelare i miei desideri. Ma quando superai l’esame di maturità con voti altissimi, decisi di annunciare la mia partenza per Milano. Ero maggiorenne, potevo scegliere da sola. Niente mi avrebbe fermata. Non volevo restare a pesare su mio padre. Gli avrei dimostrato il mio valore. E poi, non ne avevo più paura. Così pensavo, camminando a testa alta verso casa, stringendo il diploma con i miei dieci e lode.
Vedendo la sua faccia truce, però, la mia sicurezza svanì. Ma dissi comunque che volevo studiare a Milano.
“Non andrai da nessuna parte, capita? Ti ho cresciuta, vestita, e ora tocca a te aiutare noi. Che ci fai lì? So come finisce questa storia.” Fece un cenno eloquente verso mia madre, che abbassò gli occhi.
“Non andrai!” Pestò un pugno sul tavolo, facendo sobbalzare i piatti e rovesciare la minestra.
“E tu non difenderla. Hai la coda di paglia.” Fissò di nuovo mia madre. “Ti ricordi come è finita la tua carriera? Dovresti ringraziarmi per aver sposato una come te, per aver salvato la tua reputazione, per aver cresciuto questa ingrata.”
“Enzo, non davanti a lei,” implorò mia mamma.
“Perché no? È grande, deve sapere la verità. Magari impara dai tuoi errori. Anche se…” Scosse la mano. “La mela non cade lontano dall’albero.”
“Mamma…” guardai mia madre con gli occhi lucidi.
“Andrà a lavorare, punto.” Mio padre ingollò rumorosamente un cucchiaio di minestra.
Mi voltai e corsi via. Quando lui uscì, mia madre venne nella mia stanza.
“Perché mi tratta così?” chiesi tra le lacrime.
Allora mi raccontò tutto.
“Ora capisco perché non mi vuole bene, perché non vuole che studi. Sai una cosa? Sono quasi contenta che non sia mio padre vero,” sussurrai, asciugandomi gli occhi.
“Proverò a parlargli ancora. Tieni.” Mi porse delle banconote arrotolate. “Non è molto, ma basta per iniziare. Nascondile bene. Non posso promettere altro, controlla ogni centesimo.”
“Grazie, mamma. Troverò un modo. Ma lui ti ucciderà.”
“Non mi ucciderà, al massimo urlerà. Magari prenderà a schiaffi. Ha il diritto. Tu vai a Milano, studia, e non deludermi.”
La abbracciai e tre giorni dopo partii, mentre lui era al lavoro.
Entrai all’università e ottenni un posto nel dormitorio. I soldi di mamma finirono presto, così trovai lavoro come addetta alle pulizie in un ufficio vicino. Pulivo di sera, quando non c’era nessuno.
Nella camera condividevo lo spazio con Marta, una ragazza affascinante che passava più tempo a divertirsi che a studiare. Aveva un uomo, Ettore, di quindici anni più grande. Lo conobbe in discoteca.
“Perché uno così vecchio? E poi, è sposato, no?” chiesi una volta.
“Ma che ne sai? Sì, è sposato, sì, è più grande, ma ha i soldi. E tu che prendi da uno studente squattrinato, oltre ai debiti? Pensi che i miei vestiti e il trucco costosi me li regalino i miei genitori? Mio fratello è ancora alla scuola media. Ettore mi ha affittato un appartamento, domani mi trasferisco. Mi aiuti?”
“Certo.”
L’appartamento era spazioso e elegante. Iniziai ad andarci spesso, a volte dormivo lì quando Ettore non c’era.
Mia madre mi mancava. La chiamavo di giorno, quando mio padre non era in casa. Le dissi subito che non sarei tornata per le vacanze estive. Allora Marta mi propose di andare al sud con lei.
“Non ho soldi.”
“Non servono. Paga tutto Ettore. È lui che ha insistito. Ha paura che trovi un altro laggiù.” Rise.
“Quindi devo fare da guardiana?”
“Più o meno. Sei una ragazza seria, mi terrai lontana dai guai. Dai, che restare qui è noioso.”
“Lo ami davvero?”
“Allora, vieni?” La sua espressione divenne seria.
“Vengo.”
Non ricordavo quasi nulla del mare, ci ero stata solo da piccola.
Sedute nel treno, guardavamo fuori dal finestrino. Il sole si faceva più caldo, il cielo più azzurro, i campi di grano lasciavano il posto a vigneti e girasoli.
Il mare era proprio come lo ricordavo: fresco, infinito, dolce. Potevo guardarlo per ore, ascoltando le onde. La mattina correvamo in spiaggia, il pomeriggio riposavamo, la sera uscivamo. Due ragazze giovani, abbronzate, bellissime. Attiravamo gli sguardi degli uomini.
Una sera due ragazzi ci invitarono al bar. Rimasi sorpresa nel vedere Marta flirtare con loro. Mi tirò da parte.
“Che paura hai? Andiamo, divertiamoci un po’. Tanto Ettore non lo saprà. Non mi tradirai, vero?” Mi strinse il polso.
“No.”
Dopo il bar ci dividemmo. Marta sparì col suo corteggiatore, io e Tommaso passeggiavamo sul lungomare, parlando di niente. Mi piaceva. Aveva occhi buoni e un sorriso sincero.
Marta tornò all’alba.
“Dov’eri finita? Se Ettore lo scopre?”
“Ma smettila con Ettore! Lui è con sua moglie. Tu com’è andata?”
“E quando Tommaso mi prese la mano quella notte, capii che forse, finalmente, potevo permettermi di credere in un amore diverso da quello che avevo sempre conosciuto.