Il Padre Eroe

**La Madre Eroica**

Lucia saliva lentamente le scale del terzo piano con una busta della spesa, contando i gradini come faceva spesso. Lo stesso gioco che faceva anni prima con suo figlio quando tornavano dall’asilo. Matteo ripeteva ogni numero con attenzione, e dopo qualche mese già contava da solo. «Com’è cresciuto in fretta. Dio, fa’ che torni, fa’ che sia vivo…» ripeté mentalmente, come una preghiera.

Al piano di sopra una porta sbatté, e i passi veloci di una ragazza risuonarono sulle scale. Lucia si fermò tra il secondo e il terzo piano, facendosi da parte.

«Ciao!» la salutò allegramente la vicina di casa, Giulia, quattordicenne vivace.

«Giulia, ferma! Hai dimenticato il cappello!» gridò sua madre dall’alto.

La ragazzina sospirò e tornò indietro.

«Fa caldo. Mi rompi sempre con questo cappello!» borbottò sottovoce.

La madre scese di corsa e le infilò in mano un berretto di lana.

«Di sera si raffredda. Non tardare, hai capito? Dopo la lezione di danza, torna subito a casa.»

«Va bene.» Giulia afferrò il cappello e corse giù.

«Non va bene, indossalo!» le urlò dietro la madre.

«Ciao, Lucia. Torni dal lavoro? Questa maledetta testa dura, vuole sempre uscire senza coprirsi, poi si ammala e io sono quella che deve curarla» si lamentò la vicina.

Ripresero a salire insieme. Lucia avrebbe voluto continuare a contare i gradini, ma la donna la interruppe.

«Tuo figlio? Ti chiama?»

«No» sospirò Lucia.

«Crescono i figli, li cresci, poi se ne vanno e tocca a noi aspettare e preoccuparci. E che altro ci resta? Per un figlio maschio si ha paura, ma per una figlia femmina è anche peggio. Corre via e tu stai lì a chiederti dove sia, con chi. A lei non importa di nient’altro che della danza.»

Lucia si fermò davanti alla sua porta. Mentre cercava le chiavi nel cappotto, la vicina sparì dietro la sua porta. Entrò nell’ingresso e come sempre lanciò un’occhiata all’attaccapanni. Ogni giorno sperava che Matteo tornasse. Ma c’era solo la sua giacca leggera, appesa lì, solitaria.

Mise la busta sul mobiletto dell’ingresso e cominciò a togliersi le scarpe. Prima, Matteo correva ad accoglierla, raccontandole subito tutte le novità.

«Aspetta, fammi respirare» gli diceva stanca. «Non toccare la busta, è pesante.»

Poi era cresciuto, e toccava a lei chiamarlo quando rientrava, chiedergli di portare la spesa in cucina e domandargli com’era andata a scuola.

«Tutto bene» la liquidava lui, portando velocemente la busta per poi sparire in camera sua.

Finita la scuola, si era iscritto all’università. Di ritorno dal lavoro, Lucia ormai lo trovava raramente a casa. Sempre meno le raccontava qualcosa.

«Forse dovrei prendere un gatto… Almeno qualcuno mi verrebbe incontro» sospirò. Ci pensava ogni volta, poi ci ripensava. Mangiava qualcosa in fretta e si sedeva davanti alla TV a guardare il telegiornale.

Cercava tra gli uomini in uniforme, le facce mezze coperte, gli occhi stanchi ma pieni di speranza. Forse uno di loro era Matteo. Era sicura che l’avrebbe riconosciuto.

**Quattro mesi prima**

«Matteo, sei a casa?» gridò entrando in casa.

«Sono qui.» Lui uscì dalla sua stanza lentamente.

«Perché sei già qui?» Lucia passò in cucina con la spesa, lui la seguì svogliatamente. «Hai fame?» Mise la busta su una sedia e cominciò a riordinare il cibo. Matteo sedette a tavola, serio.

«Che hai? È successo qualcosa?» Lucia rimase immobile con un vasetto di ricotta in mano.

«Sano come un pesce. Tutto a posto, mamma.»

Ma l’espressione preoccupata del figlio non la convinceva. Smise di sistemare la spesa e lo fissò.

«Siediti» disse lui, indicando la sedia. Lucia obbedì, ma il cuore le batteva forte.

«Mi fai paura. Cos’è successo? Vuoi sposarti?»

«Mamma, parto per la missione.»

«C-cosa?» balbettò. «Così all’improvviso? Non hai nemmeno fatto il militare…»

«Non subito. Prima c’è l’addestramento, e poi…»

«No» scosse la testa. «Hai appena finito l’università, hai trovato un buon lavoro… E io? Hai pensato a me? Io non ho nessun altro… Non puoi farmi questo. Perché? Che è successo?»

«C’è la guerra, mamma. Non posso stare a guardare. Sono forte, capace, ho le competenze.»

«Sei ancora un ragazzo. Hai solo ventitré anni…»

Lo sguardo fermo di Matteo la zittì. Le lacrime le annebbiavano la vista. Si asciugò gli occhi.

«Quando parti?» chiese con le guance bagnate.

«Domani. Scusa, mamma, ma non posso restare quando gli altri…»

Si alzò di scatto e lo strinse a sé.

«Non ti lascio andare.»

«Ho deciso» disse lui, liberandosi con difficoltà.

Alla fine si calmarono. Parlarono a lungo. Matteo cercò di spiegare.

«Una volta ti chiesi di papà, ricordi?»

«Avevi cinque anni» rispose lei.

«E cosa mi dicesti?»

Lucia scosse la testa, fingendo di non ricordare.

«Mi dicesti che era un militare, un eroe, morto in missione.»

Certo che lo ricordava. E che altro poteva dirgli? Che si era innamorata, che lui l’aveva abbandonata quando aveva scoperto della gravidanza. Lui, ancora studente, non era pronto.

Lei aveva tirato avanti, tra lacrime e litigi con sua madre. Poi le cose si erano calmate. Ma quando Matteo le aveva chiesto di suo padre, non aveva avuto il coraggio di dirgli la verità. Non voleva che si sentisse umiliato. Così aveva inventato la storia dell’eroe.

Pensava che da adulto avrebbe capito, o che gliel’avrebbe detto. Invece Matteo ci aveva creduto. E ora partiva, convinto di seguire le orme di un padre che non era mai esistito.

Quella sera, prima della partenza, Matteo le chiese:

«È vero? Quello che mi hai detto su papà?»

Lucia trattenne il fiato. Non poteva dirgli la verità, non ora.

«Sì» rispose. «Puoi essere fiero di lui.»

Lui sembrò sollevato.

Lo lasciò andare. Per settimane nessuna notizia. Poi una telefonata: stava tornando.

Lucia pulì casa, fece la spesa. Ma quando sentì il campanello, non lo riconobbe subito. Era cambiato, sembrava più vecchio. Lo abbracciò piangendo. Solo allora notò le stampelle.

«Sei ferito?»

«Niente di grave. Guarisco in fretta. Mamma, ti presento Sergio, era con me.»

Lucia guardò l’uomo sulla soglia. Sergio. Il nome le provocò un tuffo al cuore. Capì subito che lui sapeva.

«Buonasera» disse Sergio.

Matteo parlava, ma Lucia lo sentiva lontano. «Mi ha salvato, mi ha trascinato perAlla fine, mentre li guardava seduti a tavola insieme, capì che a volte le bugie più dolorose possono trasformarsi in speranza, e che forse, nonostante tutto, il tempo aveva trovato il modo di riparare ciò che era stato spezzato.

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