“Pronto, Fiammetta?” risuonò una voce familiare.
Il cuore di Fiammetta sembrava volerle scappare dal petto, così forte e velocemente batteva. Se non fosse stato per il brusio della TV, quel trambusto avrebbe svegliato il marito.
“Mi sei mancata. Non potevo aspettare oltre. Penso continuamente a te. Vediamoci,” continuò la voce calda dall’altro capo del telefono.
Fiammetta uscì dalla stanza e chiuse la porta alle spalle. Si appoggiò al muro dell’ingresso, le gambe improvvisamente molli, insicure.
“Fiammetta, ci sei?” La voce la chiamava, la tentava, la spaventava con la sua concretezza.
Avrebbe fatto meglio a non rispondere, a non alzare la cornetta. Peccato non aver guardato il display.
Cercava di dimenticarlo, di cancellare quella notte folle. Si ripeteva di avere un matrimonio solido, un marito buono, una vita costruita insieme. Non aveva bisogno di niente e nessuno…
Con il futuro marito aveva condiviso i banchi di scuola. Enrico era il primo della classe, vincitore di olimpiadi di matematica e fisica. Al liceo aveva iniziato a portare gli occhiali, e presto tutti lo chiamavano “Il Professore”. A ragione. Calmo, un po’ paffutello, con quelle guance sempre rosa – sembrava uscito da un romanzo dell’Ottocento.
Fiammetta, come tutte le ragazze della classe, non lo vedeva come un oggetto del desiderio. Chiedergli di copiare un compito difficile, farsi aiutare durante un’interrogazione – quello sì. A lei piacevano i ragazzi carismatici, belli, sportivi, con quel tocco di sfacciataggine che li rendeva irresistibili.
Poi un giorno si incontrarono per caso in piazza, chiacchierarono, ricordarono i vecchi compagni. Enrico ora portava le lenti a contatto. “Non è male, simpatico,” pensò Fiammetta in quel momento.
Lui si era laureato all’università di Milano, lei ancora studiava medicina. Si scambiarono i numeri, tanto per. Dopo il diploma erano passati cinque anni, gli ex compagni volevano organizzare una riunione. Enrico promise di chiamarla per dirle quando e dove. Fiammetta gli diede il suo numero, ma non aveva intenzione di andare. E lo cancellò subito dalla mente.
Ma dopo qualche giorno lui la chiamò e la invitò al cinema. Lei aveva avuto qualche flirt, nulla di serio. Quelli che le piacevano non la notavano, quelli che la notavano non le piacevano.
“Vai, guarda, diventerai una zitella,” la ammoniva la madre.
E così Fiammetta accettò. Cominciarono a frequentarsi. Enrico le confessò il suo amore e le chiese di sposarlo. Con lui era tutto semplice, tranquillo. Lavorava in una grande azienda, il futuro era roseo.
“E tu ancora ci pensi? Prendilo e modellalo come vuoi,” disse la madre. E Fiammetta accettò.
La loro relazione era lineare. Se mai litigavano, era per colpa sua.
Poi nacque la loro figlia. La suocera non si intrometteva, ma adorava la nipotina e la teneva volentieri. Anche i suoi genitori erano sempre disponibili.
Il secondo figlio non lo ebbero mai. Tra loro non c’era passione. Nemmeno a letto Enrico era un vulcano. Fiammetta si chiedeva perché la loro intimità fosse così rara e noiosa. Ma almeno era sicura di lui, non l’avrebbe mai tradita. Molte colleghe e pazienti le raccontavano tra le lacrime dei tradimenti dei mariti, dei divorzi, di quanto fosse difficile crescere figli da sole.
La figlia crebbe, finì il liceo. Non seguì le orme dei genitori, studiò design a Milano e viveva una vita piuttosto spensierata. Quando Fiammetta le chiedeva dei soldi, lei rideva: “Le nonne fanno a gara per chi mi vizia di più!”
Era vero, le nonne adoravano l’unica nipote. Una volta la suocera aveva provato a convincerla ad avere un altro figlio, così ci sarebbe stato un nipotino per ognuna. Fiammetta non se ne pentiva. Si chiedeva solo come avesse fatto a concepire una figlia, con quel marito così poco appassionato.
E così vivevano. Sei mesi prima, Fiammetta era stata nominata direttrice della clinica, prendendo il posto della precedente andata in pensione. Il nuovo lavoro le rubava tempo ed energie. Riunioni, conferenze, viaggi.
Fu a una di queste che conobbe Luca. Uomini, in quelle occasioni, ce n’erano pochi. Alto, giovane, curato, attirava l’attenzione di tutte. Le più mature lo trattavano con affetto materno, ma non disdegnavano un po’ di civetteria. Le più giovani ci provavano senza mezzi termini.
L’ultimo giorno c’era un buffet. Fiammetta voleva andarsene, non amava l’alcol né quel chiasso. Ma la collega con cui divideva la camera la convinse a restare.
“Il divertimento vero inizia ora. Non sai mai chi ti potrebbe servire nella vita. Fidati di me,” disse con tono sapiente.
E Fiammetta rimase.
Il rappresentante dell’organizzazione fece un brindisi infinito, ringraziò tutti, elogiò il successo dell’evento… La gente cominciò a bere senza aspettare la fine del discorso.
Dopo un’ora, i dottori seri e compassati erano irriconoscibili. Ubriachi di vino, raccontavano storie divertenti, più simili a barzellette. I medici non hanno tabù.
Fiammetta non beveva, solo sorseggiava per fare scena. Ma rise delle battute. Poi iniziarono i balli. Lei si allontanò, cercando il momento giusto per svignarsela, pentita di non essere già a casa.
“Anche a lei annoia questa festa?” le si avvicinò Luca. “Scappiamo?”
Fiammetta fu felice dell’offerta e lasciò volentieri la sala.
Nell’ascensore, lungo i corridoi con moquette verde, lui parlava della sua clinica. La musica del buffet arrivava ovattata.
“Vuole venire da me? Mi hanno regalato un vino francese, e non ho con chi berlo. Sono solo. E non ho finito di raccontarle le cose più interessanti.”
E lei accettò. Non sapeva nemmeno perché. Forse perché non voleva stare da sola in camera. O perché quell’uomo le piaceva. E sentiva che anche lui la desiderava. Le donne lo capiscono sempre.
Per un po’ Luca parlò ancora, in una stanza identica alla sua. Dal buffet arrivava una melodia conosciuta. Tacque, ascoltandola. Fuori, la città brillava di luci.
Quando lui la baciò, Fiammetta non si tirò indietro. Si ritrovò a letto con lui. Quanto le sembrò noiosa, in confronto, la sua vita di prima. Con Enrico non aveva mai provato nulla del genere.
Tra le braccia di Luca dimenticò tutto. Non sapeva che si potesse vivere un’emozione così. Volava, per poi tuffarsi in un vortice senza fine, dal quale non voleva uscire.
Ma tutto finisce. La musica era cessata, il banchetto concluso. Stanchi, sazi l’uno dell’altra, giacevano mano nella mano.
L’ora dell’addio si avvicinava. La conferenza era finita, le camere dell’hotel di lusso dovevano essere liberate entro mezzogiorno. Presto ognuno sarebbe tornato alla propria città…
“Resta ancora un giorno. Parlerò con la reception,” propose Luca.
“I biglietti?”
“Al diavolo, ne compreremo altri. Davvero ci lasceremo così? Non voglio perderti,” insisteva.
A ogni donna fa piacere sentire parole dE mentre la porta dell’hotel si chiuse alle sue spalle, Fiammetta capì che a volte basta un attimo per perdere tutto, ma anche per ritrovarsi.