“Massimo, hai sbagliato strada. Dovevamo andare più avanti,” esclamò Beatrice.
“Ho fatto bene a girare qui,” rispose lui con calma, continuando ad avanzare lungo una stretta stradina di campagna che si inoltrava nel bosco.
“Qui dovrebbe esserci un piccolo spiazzo subito dopo la curva, ma non c’è,” disse Beatrice, guardandosi intorno. “Torniamo indietro e proseguiamo più avanti. Massimo, mi senti? Fermati!”
Lui proseguì, senza intenzione di fermarsi. Beatrice capì che ormai aveva realizzato di essersi perso. La strada si faceva sempre più stretta, con erba alta che spuntava tra i solchi. La via per il residence estivo doveva essere ben battuta, larga. Eppure, si addentravano sempre di più nel bosco.
“Fermati!” ripetè Beatrice, stizzita. “Mi stai ascoltando?”
“Dove vuoi che mi fermi? Qui non c’è nemmeno spazio per fare inversione. Troverò uno slargo tra gli alberi…”
“Perché non hai già fatto marcia indietro prima? Sei sempre testardo come un mulo.” Beatrice incrociò le braccia e fissò il vuoto. “Non ammetterà mai un errore. Che ci vuole?” pensò, irritata.
I rami degli alberi graffiavano la carrozzeria, foglie gialle cadevano sul cofano. Finalmente, Massimo fermò l’auto. Nel silenzio opprimente dell’abitacolo, nessuno parlò.
“Potevi fermarti subito, invece di farci finire chissà dove. Per fortuna non siamo finiti in una palude.”
“Quante volte devo dirti di non metterti a criticare mentre guido?” ribatté lui, seccato.
Beatrice fece una smorfia. Massimo riavviò il motore e iniziò a fare lentamente retromarcia. Lei trattenne il fiato, osservando nello specchietto laterale per paura che l’auto urtasse un albero. Ci misero un’eternità a uscire da quella stradina. Per poco non rimasero bloccati due volte, ma finalmente tornarono sulla strada principale.
“Non potevi fare marcia indietro subito?” borbottò Beatrice, ormai più calma. La rabbia era svanita non appena erano usciti dal bosco.
“Ma tu devi sempre avere ragione, vero? Non ti rendi conto di quanto mi rimproveri, di quanto cerchi di dirigermi? Pensi che mi piaccia?” questa volta, la voce di Massimo era piena di fastidio.
“Ma che dici, Massimo? Quindi non ti sei fermato per fare un dispetto? E ti è servito a qualcosa? Solo che ora siamo qui fermi. Andiamo o no? Abbiamo già perso un sacco di tempo con la tua testardaggine.” L’umore era ormai rovinato. Le tensioni le avevano dato anche mal di testa.
Ultimamente litigavano spesso, trovando sempre qualcosa da ridire l’uno dell’altro. Era normale adattamento o un raffreddamento dei sentimenti? Le lenti rosee erano cadute, e ora si vedevano per come erano davvero: imperfetti. Gli screzi nascevano per sciocchezze, ma si sa, la vita è fatta di piccole cose. E ignorarle non era possibile.
“Ecco, ancora comandi. Non te ne accorgi nemmeno,” la rimproverò lui.
“Non sto comandando. Va bene, allora restiamo qui fermi. Non ho più voglia di andare da nessuna parte.” Beatrice si sistemò sul sedile, appoggiò la testa e chiuse gli occhi, mostrando chiaramente che non aveva intenzione di continuare la discussione.
Eppure, tutto era iniziato così bene. Si erano conosciuti casualmente in spiaggia. La sua amica era andata a cambiarsi. Il sole picchiava forte, scottando la pelle chiara e sensibile di Beatrice. Vicino a lei, solo un ragazzo abbronzato e atletico. Gli si era avvicinata, porgendogli il tubetto di crema solare.
“Mi aiuti? Mi spalmi la schiena? Altrimenti mi scotto.”
Lui aveva sorriso, mostrando una fila di denti bianchissimi, e aveva preso la crema.
Beatrice gli aveva voltato le spalle. La sua mano larga e calda le aveva accarezzato la pelle, spalmando la crema con delicatezza. Un brivido le era corso lungo la schiena. Gli aveva confessato poi che, in quel momento, si era innamorata di lui.
Si era sciolta al suo tocco come un gelato al sole. Le dava fastidio che il suo corpo tradisse così tanto le sue emozioni. Si era girata.
“Grazie, il resto lo faccio io.” Gli aveva ripreso la crema ed era tornata al suo asciugamano.
Poi era arrivata l’amica, ed erano andate a fare il bagno. Lui le aveva seguite. Si erano presentati. Anche all’amica era piaciuto, ma, vedendo la chimica tra Beatrice e Massimo, si era tirata indietro.
Dopo, erano usciti insieme. Massimo l’aveva accompagnata a casa e l’aveva baciata. Da quel giorno, non si erano più lasciati. A volte lui era impulsivo, ma a lei piaceva anche quello. A lei, ragazza tranquilla e casalinga, serviva un po’ di vivacità.
Un mese dopo, nonostante gli scandali con i genitori, Beatrice si era trasferita da lui. Di solito ubbidiente, questa volta aveva fatto di testa sua. La passione, la novità di una vita indipendente, la gioia della vicinanza… Le sembrava che sarebbe durata per sempre. E se qualcuno le avesse detto che dopo un anno avrebbero iniziato a litigare, non ci avrebbe creduto.
Ma… Le persone perfette non esistono, così come non esiste amore senza contrasti. Le lenti rosee erano cadute, e ora si notavano i difetti, le abitudini fastidiose. E questo viaggio ne era la prova.
Beatrice non voleva nemmeno andarci. Con gli amici di Massimo non si trovava a suo agio. Erano stati in quella casa vacanze solo una volta, a Capodanno. Aveva ricordato la svolta proprio per quello spiazzo tra gli alberi appena dopo la deviazione.
Massimo taceva, tamburellando nervosamente sul volante.
“Smettila di picchiettare,” lo pregò lei.
Sentì il suo sguardo addosso, ma non aprì gli occhi. Lui riavviò il motore e, aspettando uno spazio tra le macchine, ripartì.
“Allora, indicami la svolta, sapientona,” la sfidò dopo qualche minuto.
Beatrice aprì gli occhi e guardò intorno.
“Credo che l’abbiamo già superata,” disse, colpevole, fissandolo smarrita.
“Non dirmi che è ancora colpa mia. Potevi stare attenta alla strada,” la rimproverò. “E adesso?”
“Fermati qui.”
Questa volta Massimo obbedì subito, frenando. Un’auto li superò a tutta velocità, suonando il clacson con rabbia.
“Non andiamo da nessuna parte,” disse improvvisamente Beatrice.
“Perché?” domandò lui, sorpreso.
“È tutto sbagliato. Non mi piace come stanno andando le cose,” confessò lei.
“Ecco le solite crisi femminili. Voglio, non voglio, mi pare, sento… Siamo quasi arrivati, e tu vuoi tornare indietro? Non fare la stupida, Bea. Dove vai?” esclamò quando la vide aprire la portiera per scendere.
“Non vengo. Non voglio litigare sul serio. Tu vai pure, i tuoi amici ti aspettano,” rispose sarcastica, sbattendo la portiera.
“Bea, basta. Rientra in macchina. Dovevi dirmelo subito che non volevi venire,” le gridò.
“Te l’avevo detto,” rispose lei, allontanandosi.
Massimo scese a suaMassimo la raggiunse, le prese le mani e sussurrò: “Hai ragione, torniamo a casa insieme.”