Sapevo che mi avresti chiamato, mamma…

Lo sapevo che avresti chiamato, mamma…

Il telefono vibrò proprio durante la lezione. Sonia lo estrasse dalla tasca, lanciò un’occhiata allo schermo e rifiutò la chiamata. Ma il cellulare tornò a vibrare.

“Rossi, abbi un po’ di decenza. Spegni il telefono o rispondi,” disse la professoressa con irritazione.

“Rispondo. Posso?” Sonia indicò la porta con lo sguardo.

“Esci,” sospirò la docente.

“Milena, che c’è? Sono a lezione,” chiese Sonia, uscendo dall’aula.

“Sonia… i tuoi genitori hanno avuto un incidente,” disse Milena con voce tremante.

“Cosa?” ripeté Sonia, il cuore che le si fermò.

“Vieni subito.”

Pallida e tremante, Sonia rientrò in classe, afferrò libro e quaderno, li infilò nella borsa e si diresse verso l’uscita.

“Non hai niente da dire, Rossi?” la voce severa della professoressa la raggiunse sulla soglia.

“Mi scusi, è urgente,” disse Sonia aprendo la porta e uscendo di corsa.

“Sonia, che succede?” Davide la raggiunse alle scale.

“Non lo so. Milena ha chiamato, ha detto che i miei sono stati in un incidente… devo andare.”

“Sono vivi? Vengo con te.”

“Davide, non devi—”

“Potresti aver bisogno d’aiuto. Dammi il telefono, chiamo un taxi.” Solo allora Sonia si accorse di stringere ancora il cellulare in mano.

“Dio, ti prego, fa’ che siano vivi,” sussurrò, passandolo a Davide.

Per tutto il tragitto, Sonia tormentò nervosamente il laccio della borsa. Davide le coprì le mani con le sue, cercando di calmarla.

“Per favore, più veloce,” supplicò Sonia all’autista. Le sembrava che guidasse con una lentezza insopportabile.

“Non posso, ci sono autovelox ovunque,” rispose l’uomo impassibile.

“Pagherò io le multe, solo acceleri, la prego,” disse Sonia, la voce sul punto di spezzarsi.

L’autista sospirò e schiacciò l’acceleratore, sorpassando le altre macchine. “Se ci schiantiamo, sarà colpa tua.”

Finalmente arrivarono a casa. Davide pagò il taxi mentre Sonia varcava il cancello del grande palazzo.

Milena li vide dalla finestra e uscì sulla scalinata. Aveva gli occhi lucidi e le mani strette al petto.

“Vivono?” Sonia corse verso di lei, affannata.

“Leonardo è morto sul colpo. Margherita è all’ospedale.”

“Perché non me l’hai detto subito? Quale ospedale?”

“Il Gemelli.”

“Davide, il taxi è partito?” Si girò verso di lui.

“Un attimo.” Tirò fuori il telefono e compose il numero. “Signore, può tornare indietro?”

Ora Sonia non aveva più fretta. Piangeva silenziosamente sul sedile posteriore, la testa appoggiata sulla spalla di Davide.

All’ospedale, non volevano lasciarla entrare nella stanza della madre.

“È mia madre! Fatemi vedere!” implorava Sonia, singhiozzando.

“È in condizioni critiche, incosciente.”

“Devo vederla.”

“Va bene. Ma niente scene,” avvertì il medico, conducendoli in terapia intensiva.

Più tardi, tornarono a casa in taxi.

“Mamma… guarirà, vero?” chiese Sonia a Davide. “Non ho più nessuno. Nessuno.”

“E Milena? Non è una parente?”

“La governante. Lavora per noi da trent’anni. È come famiglia, ma… io dicevo che era una zia per non farmi domande.”

“Perché?”

“Tutti in classe hanno governanti? Come mi avrebbero trattata se avessero saputo?”

Il resto del viaggio fu in silenzio. Davanti a casa, Davide fece per scendere, ma Sonia lo fermò.

“No, va’. Ti chiamo domani.”

Milena la aspettava in cucina.

“Hai visto Margherita?”

“Sì. È in coma.”

“Santo cielo, piccola.” Milena la abbracciò, scoppiando in lacrime. “Speriamo che Margherita ce la faccia. Per il funerale di Leonardo ha pensato tutto l’ufficio. Hanno già chiamato.” Continuava ad accarezzarle la schiena. “Che tragedia… Era un uomo così buono. Gentile, mai una parola fuori luogo…”

Sonia la lasciò lamentarsi e salì in camera sua. Si stese sul letto, raggomitolata come un riccio.

Milena la svegliò all’alba. Dagli occhi rossi e dallo sguardo pieno di pietà, Sonia capì subito.

“Hanno chiamato ora. Stanotte se n’è andata… Dio l’abbia in gloria,” singhiozzò Milena, facendosi un veloce segno della croce. “Come è possibile, piccola?”

Poi, sedettero insieme in cucina.

“Non ho più nessuno,” sussurrò Sonia.

“Resterò con te, per un po’. Poi… scusa, sono vecchia, è ora di riposarmi. Lavoro per la tua famiglia da trent’anni. Ho cominciato con tuo nonno, il padre di Leonardo.”

Passarono i funerali, i nove giorni, i quaranta. La casa si svuotò di colleghi e amici del padre. Il telefono smise di squillare. Un silenzio opprimente riempì ogni stanza.

Sonia andava a lezione solo perché Davide la trascinava, altrimenti sarebbe rimasta a letto, voltata verso il muro. Milena la obbligava a mangiare, minacciando di andarsene se non avesse ingoiato almeno un cucchiaio di brodo. “A che serve cucinare, se nessuno mangia?”

E Sonia mangiava, per non restare sola in quella grande casa.

Una sera, sedettero in cucina. Il tè nelle tazze si raffreddava, intatto. Fu Milena a rompere il silenzio.

“Ho fatto un giuramento ai tuoi genitori, di non dirtelo mai. Ma ora non ci sono più… quindi sono libera. E tu meriti la verità. Che mi perdonino Leonardo e Margherita.” Si segnò.

“Quale verità? Quale giuramento?” chiese Sonia, stanca.

“Eccola. Non sei sola. Hai una madre,” disse Milena con fermezza.

“Che dici? Sei impazzita? Mia madre è morta.”

“È morta Margherita. Non era tua madre. Quella vera… credo sia viva. Ma non so dove.”

Sonia la fissò, sbalordita.

“Margherita non era mia madre? E mio padre?”

“Tuo padre sì. Adesso ti spiego tutto.” Milena sospirò. “Lavoro da tanto, Leonardo si fidava di me. Per questo so tutto. Non credo alle chiacchiere, ma questa è la verità.”

Margherita non poteva avere figli. Lei e Leonardo ci soffrivano da anni. Aveva provato ogni cura possibile, senza risultati. Poi, in ufficio, arrivò una ragazza. Veniva da un paesino, aveva fallito il test d’ammissione all’università e non era tornata a casa. Tuo padre era un uomo affascinante… tutte lo ammiravano. E tua madre non fu l’eccezione. Aveva diciotto anni, ingenua.

Fu allora che nacque il piano. O forse successe per caso. Non mentirò: tua madre naturale rimase incinta e voleva abortire. Andò da Leonardo a chiedere i soldi. “Dove vai con un bambino, da sola?”

Lui la convinse a tenerlo. Le affittò un appartamento, le diede i soldi per vivere, purché partorisse e lo desse a loro. All’inizio accettò. Ma prima del parto cambiò idea. Non è facilePoi, un mese dopo, la porta di casa si aprì e lì, esitante ma con gli occhi pieni di speranza, c’era Natalia, la madre che aveva atteso tutta la vita senza saperlo.

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