25 aprile
Ho fermato l’Alfa Romeo davanti al centro commerciale. Uscire dall’abitacolo caldo non era allettante. Ieri era nevischio, poi pioggia, e di notte il vento gelido aveva trasformato tutto in una lastra di ghiaccio. Pedoni che scivolavano, strade invivibili.
Domani è il compleanno di mamma, e io, come al solito, ho rimandato all’ultimo. Ma in un grande negozio troverò qualcosa di adatto.
Appena uscito, una raffica mi ha aperto il cappotto e fatto volare una estremità della sciarpa. Tenendomi i lembi dell’abito, ho chiuso l’auto e fatto due passi, per poi scivolare subito sul ghiaccio. Nessuno aveva ancora sparso sale, e io con quelle scarpe eleganti senza grip…
Arrivato alla porta del centro, ho tirato un sospiro di sollievo. Stavo per dirigeri verso i reparti di sciarpe, ma poi ho ricordato: l’anno scorso avevo già regalato a mamma una foulard.
«Dario, ciao!» Una voce allegra, davanti alla vetrina di una gioielleria.
Era Enrico, il mio migliore amico d’infanzia. Anzi, l’unico.
«Guarda chi si vede! Quanto tempo? Stai benone, stile da miliardario.»
«Ciao… Sì, sono appena tornato,» ho risposto, un po’ imbarazzato.
«Ti pensavo proprio ieri. Dai, prendiamo un caffè da qualche parte,» propose Enrico.
«Sono qui per un regalo,» dissi.
«Aspetta, è il compleanno di Maria Teresa tra poco, vero?»
«Te lo ricordi?» mi illuminai. «Domani. Ho aspettato l’ultimo momento…»
«Va bene, scegli pure, non ti rompo. Io ho già finito,» disse mostrandomi le buste. «Però ci vediamo presto, eh? Tieni. Chiamami. Se non lo fai, ti scovo anche sottoterra,» promise, porgendomi un biglietto da visita.
Mentre sceglievo degli orecchini per mamma, continuavo a pensare all’incontro. Mi rimproveravo per come mi ero comportato, come se non fossi contento di vederlo. Ma no, ero felicissimo, solo spiazzato.
Pagai con la carta e notai il biglietto di Enrico nella tasca: «Vicedirettore, Costruzioni EdilMarche».
«Oh, scusi,» dissi alla cassiera che aspettava paziente. «Ho incontrato un amico, non ci vedevamo da secoli, sa?»
Tornato a casa, continuavo a pensare a Enrico…
***
Ci siamo conosciuti il primo giorno di scuola, entrambi con mazzi di gladioli, facce spaventate e felici. Senza dirci niente, ci siamo presi per mano. In classe, sedemmo allo stesso banco.
La nostra amicizia iniziò così. Litigavamo, certo, ma erano stupidaggini. Enrico era sempre il primo a fare pace.
Dopo il liceo, scelsimo università diverse. Non discutemmo, anche se separarsi era triste. Ognuno doveva seguire la sua strada, ma niente ci impediva di restare amici. Dipendeva solo da noi.
Enrico andò al Politecnico, io a Lingue. Non ci vedevamo ogni giorno, ma i weekend erano sacri.
Lui studiava Ingegneria, roba da uomini. Io ero circondato da donne. Una in particolare mi piaceva: Margherita, bassina, vivace, occhi che ridevano sempre. Capelli ricci, leggera come una piuma. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.
Ci misi mesi per avvicinarmi. Un giorno le chiesi aiuto per una traduzione.
«Potevi dirlo subito che volevi conoscermi,» mi rispose ridendo.
«Voglio… accompagnarti a casa dopo le lezioni. Posso?» mi uscì senza pensarci.
«Fallo pure,» acconsentì, regalandomi un sorriso.
Camminammo per la città primaverile, e io ero l’uomo più felice dell’universo. Quella notte ricordai ogni suo sguardo, ogni risata, ma non una parola. Non vedevo l’ora di rivederla.
La accompagnai quasi ogni giorno. Aprile fresco diventò maggio estivo. E io non osavo baciarla. Presto le lezioni sarebbero finite, lei sarebbe partita per il sud coi genitori, poi dalla nonna. Mi divorava la disperazione.
L’ultima occasione era il mio compleanno, l’ultima domenica di maggio. L’avrei invitata a casa, presentata ai miei, e finalmente le avrei detto che l’amavo.
Margherita accettò senza esitare. Nel tripudio, le chiesi di portare un’amica, quella con cui la vedevo sempre.
«Giorgia?»
«Sì. Ho un amico, ci conosciamo dalle elementari. Lui fa il Politecnico, lì le ragazze scarseggiano. Una come te non c’è.»
«Va bene. E se non gli piace?»
«Basta che non si annoi.»
La mattina, mamma cucinava. Io, nervoso, le davo fastidio. Corsi da lei decine di volte: «Camicia con o senza cravatta?»
«Metti questi piatti in tavola,» disse. «E smettila di agitarti. Se piace a te, piacerà anche a me.»
«Sei la migliore,» la baciai sulla guancia.
Arrivò Enrico, e mi calmai un po’. Ma continuavo a guardare l’orologio. Le ragazze erano in ritardo.
«Che facciamo se non viene?»
«Le donne arrivano sempre dopo. Abituati,» commentò mio padre.
In quel momento, il campanello. Corsi ad aprire.
Quando rientrai con le due ragazze, mamma ed Enrico notarono subito la bionda alta, di una bellezza quasi irreale. Ma stranamente, presentai come Margherita l’altra, più semplice.
A tavola, Enrico scherzava come sempre. Margherita rideva a ogni sua battuta, dimenticandomi. Alla fine, lo trascinai in balcone.
«Che fai? Margherita è mia, capito?»
«Cosa ti prende? Mica è colpa mia se le piaccio.»
«E allora perché fai lo splendido?»
«Capisco. Comunque, a me piace Giorgia. Che donna! Perché non sono andato all’università con te?»
«Non scherzo,» sbuffai.
«Dai, non ti preoccupare, la tua Margherita non mi interessa. Andiamo, Otello,» disse, rientrando.
Tornati in sala, Margherita trascinò Enrico a ballare. Lui mi lanciò un’occhiata colpevole. Non mi restò che invitare Giorgia.
A un certo punto, lei si fermò:
«Oddio, mi è entrato qualcosa nell’occhio! Il mascara colerà. Dov’è il bagno?»
La accompagnai. Mentre uscivamo, mi afferrò:
«Guarda, c’è ancora?»
Non vidi nulla. Rientrando, la sala era vuota.
«Dove sono?»
«Credo che il tuo amico stia accompagnando la mia a casa.»
«Perché?»
«Non indovini? Lei si è innamorata di lui. Io vado via anch’io,» disse Giorgia, prendendo la giacca.
Tornarono i miei genitori.
«Già andate? Non avete mangiato la torta!»
«Tutto buonissimo,» rispose Giorgia.
«Non accompagni la signorina?» s’indignò mamma.
Sospirai e la portai a casa. Tornato, chiamai Enrico.
«Scusa, non avresti dovuto chiuderti in bagno con Giorgia. Margherita ha voluto che l’accompE quando rientrai a casa, compresi che la vera amicizia, come il vino buono, resiste al tempo e diventa più forte con gli anni.