Eri speciale per me…

Anch’io ti avevo adorato…

Beatrice uscì dall’ufficio e si avvicinò alla sua macchina parcheggiata sotto un velo di nevischio. Il cofano e il parabrezza erano ricoperti da una polvere bianca. Si infilò al volante, accese subito il riscaldamento per scaldare l’abitacolo gelido, poi attivò i tergicristalli per spazzare via quella neve fastidiosa.

Mentre si immetteva nel traffico di Milano, il tannino delle auto che avanzavano a singhiozzi la fece sbuffare. Sembrava che tutte le macchine della città si fossero date appuntamento lì, come fosse un raduno di automobilisti annoiati. Passando davanti al centro commerciale “Il Gabbiano”, decise di fare una deviazione: meglio aspettare che il traffico si sgonfiasse, magari facendo un giro tra le bancarelle natalizie in cerca di regali.

Peccato che il parcheggio fosse stipato come le sardine sotto Natale. Nemmeno un buco per infilarsi. Beatrice si morse il labbro: forse sarebbe stato meglio rimanere in coda, almeno si muoveva. Ma no, anche gli altri avevano avuto la sua stessa brillante idea di rifugiarsi lì.

All’improvviso, dallo specchietto retrovisore, scorse i fari di un SUV che indietreggiava, cedendole il posto con un gesto quasi cavalleresco.

Dentro il centro commerciale, il caos regnava sovrano. Gente che si spintonava, luci intermittenti che accecavano, decorazioni ovunque. Beatrice si slacciò il cappotto, si tirò giù la sciarpa e cominciò a riempire il cestino: palline colorate, renne argentate per l’albero, asciugamani con Babbo Natale, bicchieri per lo spumante con su scritto “Felicità e Fortuna”…

“Per gli amici andrà bene così,” pensò, mentre si metteva in coda alla cassa. Ma quando la cassiera iniziò a passare i prodotti, realizzò con orrore di aver esagerato. “Vabbè, serviranno a qualcosa.”

Appena fuori, mentre cercava di proteggere il sacco dagli urti della folla, una voce la chiamò:

“Beatrice!”

Non si voltò subito—chi mai l’avrebbe riconosciuta in quel trambusto? Ma poi…

“Rossi!”

A quel cognome, si fermò di colpo. La gente le passò accanto, sbattendola con le borse. Si scansò e si guardò intorno, cercando il volto di chi l’aveva chiamata.

“Ciao, Beatrice,” disse l’uomo, ormai a un passo da lei.

Si voltò e si trovò davanti un tipo con una barba incolta e un berretto calcato fino alle sopracciglia. Le sorrise, rivelando un buco nero al posto di un incisivo. I vestiti gli cadevano addosso come se fossero di due taglie più grandi. Beatrice sentì un groppo in gola—questo barbone non poteva essere un suo conoscente.

“Non mi riconosci?” fece lui, ridacchiando. “Io ti ho riconosciuta subito. Sei sempre splendida come un tramonto sul Naviglio.”

Qualcosa nel suo tono la turbò. Una sfumatura familiare, ma non riusciva a collocarla.

“Frequentavamo la stessa classe al liceo,” aggiunse, come se leggesse nei suoi pensieri.

“Luca?!” esclamò, poi si morse la lingua. Voleva chiedergli cosa gli fosse successo, ma le sembrò scortese.

“Proprio lui,” rispose, mostrando ancora quel sorriso sdentato. “Sono cambiato tanto, eh?”

“Un po’,” ammise Beatrice. Poi, non resistendo: “Ma… cosa ti è successo?”

“Lunga storia. Se vuoi, ci prendiamo un caffè qui dentro. Hanno un bar decente,” propose, con uno sguardo pieno di speranza.

Beatrice faticava ad abituarsi alla sua immagine. Come aveva fatto a non riconoscerlo? Forse per la barba o quel berretto ridicolo. Era Luca, il ragazzo per cui aveva versato fiumi di lacrime al liceo. Adesso, però, si vergognava perfino di essere vista con lui.

“Scusa, ma devo andare,” disse, distogliendo lo sguardo, come se cercasse soccorso tra i passanti. Ma nessuno sembrava interessarsi a quella coppia improbabile.

Luca la fissava, in attesa.

“Va bene, ma solo un minuto,” cedette alla fine, più per curiosità che per vero desiderio di chiacchierare.

Luca si illuminò e la guidò verso il bar con l’entusiasmo di un bambino.

“Dai, sono secoli che non ci vediamo! Chissà quando ci ricapiterà,” rise, felice come non lo era da anni.

Beatrice lanciò occhiate nervose ai clienti intorno—sperando di non incontrare conoscenti. Luca, intanto, continuava a parlare, saltellando leggermente davanti a lei come un cagnolino eccitato.

Nel bar, quasi tutti i tavoli erano occupati.

“Laggiù è libero,” indicò lui, puntando un angolo buio.

“Perfetto, almeno nessuno ci vedrà,” pensò Beatrice, desiderando sparire.

Appena seduti, il cameriere si avvicinò con i menù. Luca lo sfogliò avidamente, ingoiando a fatica la saliva. Poi alzò lo sguardo, interrogativo. Beatrice non aveva nemmeno toccato il suo.

“Io prendo solo un caffè,” disse.

Il cameriere tornò, fissando solo lei—come se si chiedesse cosa ci facesse una donna come quella con un barbone.

“Un caffè macchiato, per favore,” ordinò Beatrice, poi rivolse un’occhiata a Luca.

Lui si lanciò in una lista di piatti. Il cameriere guardò Beatrice, che chiuse gli occhi in segno di assenso.

“Il loro caffè è buono,” commentò Luca mentre il cameriere se ne andava. “Vengo qui spesso.”

“Lavori qui?”

Luca annuì, imbarazzato. Ovviamente non come dirigente, e neanche come commesso. Forse come magazziniere o addetto alle pulizie. Beatrice evitò di approfondire.

“Tu sei diventata dottoressa, vero? Come sognavi,” chiese lui.

“Ti ricordi?” sorrise lei, sorpresa. “Sì, sono endocrinologa.”

Luca annuì di nuovo, forse ammirato, forse solo per dimostrare che non aveva dubbi sulle sue capacità.

“Regali per marito e figli?” domandò, indicando il sacco gonfio accanto a lei.

“Cosa? Ah…” fece lei, distratta. “E tu? Sei sposato?”

“Lo sono stato,” rispose lui, a denti stretti. “Con Lara. La ricordi? Una vera iena. È per colpa sua se sono finito così… in questa situazione.”

“Avevo vent’anni. Che idiota. Lei mi ronzava intorno, e prima che me ne accorgessi, ero in Comune a firmare. Ma a me piacevi tu,” sussurrò.

“Anche a me piacevi,” pensò Beatrice, senza dirlo.

Arrivarono le ordinazioni: un caffè per lei, due piatti abbondanti per lui. Luca attaccò il cibo con voracità, mentre Beatrice guardava altrove. Un uomo al tavolo vicino le rivolse un sorriso complice, ma la sua compagna lo redarguì con uno sguardo.

“Allora, cosa ti è successo?” chiese Beatrice, sperando che la storia finisse in fretta.

Luca posò la forchetta.

“All’inizio andava tutto bene. Lara, l’appartamento regalato dai suoi genitori, la laurea in ingegneria… Ma uno stipendio da ingegnere non bastava mai. Lara cominciò a lamentarsi, a spingermi a fare affari. Un suo amico propose un negozio di ricambi auto. Suo padre miseE in quel momento, mentre lo guardava divorare il pasto con la fame di chi non sa quando mangerà di nuovo, Beatrice capì che il destino a volte gioca brutti scherzi, e che forse un semplice “ciao” di anni fa avrebbe potuto cambiare tutto.

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