Alessandra era affacciata alla finestra, osservando il cortile vuoto. La neve calpestata era cosparsa di scintillii dai festoni, mentre brandelli di decorazioni natalizie rimanevano impigliati tra i rami spogli degli arbusti. La città sembrava deserta. Tutti dormivano dopo la lunga e stancante notte di Capodanno. Dentro di sé, Alessandra sentiva lo stesso vuoto.
Come aveva potuto sbagliarsi così? Perché non aveva colto la falsità? Adesso tutto le era chiaro, ma allora… Niccolò le era sembrato intelligente, premuroso, un po’ amareggiato verso suo padre. Sembrava, appunto. E lei aveva creduto che l’amasse davvero.
Il rumore della serratura della porta d’ingresso la fece sobbalzare. Aveva preparato un discorso pieno di accuse, ma ora tutte le parole le erano svanite dalla mente. Passi silenziosi si fermarono dietro di lei. Alessandra trattenne il fiato, in attesa. Un brivido le corse lungo la nuca al calore del respiro di Niccolò.
«Ale», disse lui, avvicinandosi alla sua spalla.
Lei si scostò. «Sei ancora arrabbiata con me?» chiese lui con tono mellifluo. «Non so cosa mi sia preso. Ti guardava in quel modo… Sono stato travolto dalla gelosia.» Niccolò attese una risposta, ma Alessandra rimase in silenzio.
«È anche colpa tua. Gli sorridevi, ti stringevi a lui, non lo perdevi di vista. Non ho potuto sopportarlo.»
«Smettila di inventare. Stavamo solo ballando», rispose lei seccamente.
«Dai, perdonami. Sono stato geloso. È normale quando si ama.» Niccolò cercò di girarla verso di sé, ma lei scosse le spalle, liberandosi dalle sue mani.
«Ale, suvvia, ti prego. Mi sono scusato», disse lui in tono conciliante.
«Non devi chiedere scusa a me», rispose Alessandra, voltandosi finalmente verso di lui per poi distogliere lo sguardo.
«Sono già andato in ospedale, mi sono scusato col tuo marinaio.» Gli occhi di Niccolò si accesero di rabbia, ma lei non li vide. Continuava a fissare la finestra. «Non ha sporto denuncia, mi hanno rilasciato. Dimentichiamo tutto. Quando sarà dimesso, verrà da noi e faremo pace.»
Alessandra si voltò di scatto.
«Da noi? Dimenticare? Faremo pace? Non c’è più un “noi”. E non ci sarà mai. Lascia le chiavi e vattene.»
«Ah, sì? Lo porterai qui, invece?» Il tono mellifluo era sparito, ora la sua voce era tagliente, carica di rancore.
«Vattene. Non voglio più vederti. Mi hai mentito.» Per quanto cercasse di trattenersi, la rabbia e il dolore traboccavano.
«Avrei dovuto insegnare una lezione anche a te, non solo a lui. Ti ricordi cosa mi hai detto?» Niccolò le afferrò il braccio sopra il gomito, stringendolo forte, poi la tirò a sé, avvicinando il suo viso al suo. Alessandra vide odio nei suoi occhi.
«Lasciami, mi fai male», supplicò lei.
«Ho speso troppo tempo con te. No, tesoro, non me ne andrò. Tu mi sposerai!» Con la mano libera, Niccolò estrasse un anello dalla tasca. «Non ho fatto in tempo a dartelo.» Le prese la mano, cercando di infilarle l’anello al dito.
Alessandra cercò di divincolarsi, ma lui stringeva ancora più forte.
«Lasciami! Non ti sposerò mai!» Le lacrime le rigarono il viso.
«Lo farai, se vuoi che il tuo marinaio rimanga sano e salvo.»
«Non oserai mai.»
«Oh, invece sì…»
***
«Domani parto», disse Daniele.
Alessandra gli piaceva. Molto. Ma aveva paura di dirle che se ne andava. Avevano appena iniziato a frequentarsi.
«Per dove?»
«Per Genova. Sono stato ammesso all’Accademia Navale. Scusami per non avertelo detto prima. Non ero sicuro di entrare.»
«Almeno mi chiamerai?» chiese lei, a testa bassa, offesa.
«Non fare il broncio. Cosa possiamo fare? Qui non c’è il mare. Ale, non voglio che ti senta obbligata ad aspettarmi. Studierò a lungo, poi andrò in mare, missioni di sei mesi o più. Non immagini quanto sia difficile aspettare.»
«Non decidere per me», ribatté lei, alzando lo sguardo.
«Ale, anche tu andrai all’università. Ci saranno tanti ragazzi…»
«Allora vattene pure!» gridò lei, voltandosi e allontanandosi di fretta.
«Ale!» Daniele fece per seguirla, ma poi cambiò idea.
Rimase fermo un attimo, poi tornò a casa a passo lento.
Quanto era felice Alessandra quando lui tornò per le vacanze di Natale. Andarono al cinema, passeggiarono. Daniele le raccontava della città, degli studi, del mare e degli amici, mentre lei ascoltava e sognava che almeno una volta la baciasse.
Ma lui si limitò a un bacio sulla guancia fredda per il gelo, poi se ne andò. Il giorno dopo ripartì per l’Accademia Navale.
Sì, all’università i ragazzi non mancavano. Le rivolgevano attenzioni, le facevano la corte. Ma lei non ne voleva nessuno. Daniele chiamava raramente, chiedendole dell’università in modo amichevole. Ma appena lei accennava alla sua nostalgia, lui cambiava argomento.
In primavera morì la zia paterna. Suo marito era scomparso cinque anni prima. Era stato un funzionario politico, sempre in ruoli di prestigio. Non avevano figli. La zia non aveva mai mantenuto rapporti con i parenti. Forse temeva che chiedessero soldi o favori.
Per questo, il padre rimase sbalordito quando scoprì che la zia aveva lasciato ad Alessandra il suo ampio appartamento in centro città. L’aveva vista sì e no tre volte in vita sua. Prima non ci credette, poi si rallegrò.
«L’appartamento è enorme, in pieno centro. Non serve nemmeno ristrutturarlo. Quando ti sposerai, ci vivrai con tuo marito», disse la madre, sognante.
Alessandra decise di non parlare dell’appartamento all’università. Perché suscitare invidia tra i compagni? Ma alla fine qualcosa sfuggì. C’era chi invidiava, chi la accusava di superbia, chi chiedeva se potevano organizzarci feste.
All’inizio del secondo anno, Alessandra conobbe Niccolò Savini, uno studente più grande. Un giorno si sedette vicino a lei in mensa, iniziarono a parlare. Iniziarono a frequentarsi. Daniele era lontano, non le aveva chiesto di aspettarlo. A Genova c’erano tante ragazze. E come faceva a sapere che lui non ne frequentava nessuna?
«Savini… Non è il figlio del vice-sindaco?» chiese una volta il padre.
«Non lo so», rispose lei, scrollando le spalle.
«Chiediglielo. Sembra un bravo ragazzo, un partito dignitoso.»
Alessandra prese le parole del padre come uno scherzo, ma chiese comunque a Niccolò.
«Sì, è vero. Non l’ho detto a nessuno. Come l’hai capito?»
«Non io, mio padre. Tu gli piaci.»
«Lui è una persona semplice, normale. Il mio… È insopportabile. Non ho vita. Appena mi laureo, me ne vado lontano. Voglio affittare un appartamento e andarmene da loro.»
Quella sera, Alessandra chiese al padre seFinalmente, Alessandra e Daniele si stabilirono a Genova, vivendo ogni giorno come un nuovo inizio, mentre il sole si rifletteva sul mare che li aveva uniti per sempre.