Scatola con un anello

**La Scatoletta con l’Anello**

Alessandra e Matteo erano amici dai tempi delle elementari. Vivevano nello stesso palazzo, scale diverse, classe identica. I primi due anni di scuola, la nonna di Matteo li aspettava all’uscita. La mamma di Alessandra lavorava a turni, il padre era sempre in trasferta.

«Ale’, vieni da noi, ti faccio un pranzo decente», ripeteva ogni volta la nonna di Matteo.

Arrivando a casa, Alessandra fremiva, sperando che la nonna non si dimenticasse di invitarla. Mangiava con gioia il minestrone denso, le polpette al sugo con le patate o gli spaghetti al burro con i würstel.

«Ma davvero non hai mangiato niente? Per chi mi sfinisco ai fornelli?», sgridava la mamma la sera, aprendo il frigo vuoto.

Alessandra si scusava: mangiare da sola era triste, e poi la nonna l’aveva pregata. Ma in terza elementare cambiarono all’orario pomeridiano. La nonna smise di invitarla: ora c’era la mamma ad aspettarla. Poi smise del tutto di andare a prendere i bambini.

«Ma dai. Mica sono piccolo. Nessuno viene a prendere i compagni, solo me. Che figura», sbuffò Matteo quando Alessandra gli chiese il motivo.

Alessandra notò che Matteo non l’aspettava più nell’atrio, scappava via mentre lei si infilava il giubbotto. O se ne andava con gli altri ragazzi, ignorando lei che restava indietro.

A scuola, Matteo la evitava. I compagni li canzonavano: fidanzatini! Alessandra si arrabbiò. Quando lui le chiedeva i compiti, lei rifiutava, il mento orgogliosamente all’insù.

Alle superiori, quasi tutti si misero insieme a qualcuno. Matteo smise di vergognarsi. Tornarono a camminare insieme. Spesso passava da lei per copiare i compiti o studiare.

Un giorno, tornando da scuola, Alessandra trovò la mamma in lacrime.

«Papà sta male?», si spaventò.

«Male no. Ci ha piantati. Se n’è andato con un’altra. Che gli marciscano le budella…»

Da allora, la mamma si chiuse. Piangeva o fissava il vuoto. Casa era insopportabile. Alessandra non voleva tornarci. E la nonna di Matteo si ammalò, dimenticava persino di mangiare. Lui doveva badarle fino al rientro dei genitori. Si vedevano solo a scuola.

All’esame di maturità, tutti parlavano di università. Alessandra sapeva che non potevano permettersela, così s’iscrisse subito a un istituto tecnico. Matteo, invece, andò all’università.

Si incrociavano raramente, per caso. All’inizio si scambiavano due parole. Poi solo un cenno. A volte, Alessandra lo vedeva con una ragazza. Lui fingeva di non vederla.

Lei bruciava di gelosia. Matteo le piaceva. Amore? Amicizia? Non lo sapeva. Ma vederlo con un’altra era una lama nel cuore.

All’ultimo anno, arrivò un nuovo professore, fresco di laurea. Timido, evitava lo sguardo delle studentesse. Portava occhiali spessi, neri.

Un giorno pioveva, una pioggia primaverile torrenziale. Alessandra, senza ombrello, aspettava sotto la tettoia.

Uscì il professor Valerio Romani, estrasse un ombrello dalla cartella.

«Alessandra, abiti lontano?»

«Quattro fermate di autobus.»

«Ho la macchina, posso accompagnarti.»

«No, grazie, professore. Smetterà tra poco.»

«Ne dubito. Andiamo.» La coprì con l’ombrello, guidandola verso una Fiat grigia.

Si sedette al volante e si tolse gli occhiali.

«Ma… guidi senza?», chiese lei, sorpresa.

Sorrise. «Sono lenti neutre. Li metto per sembrare più autorevole. Tra noi, eh?» Fece l’occhiolino.

«Promesso.»

*È carino senza quegli occhiali*, pensò.

«Ti piace studiare? Proverai l’università?», chiese lui, passando al “tu”.

Anche lei ricambiò. Tanto aveva solo cinque anni più di lei.

Davanti a casa sua, il professore scese per accompagnarla sotto l’ombrello, anche se la pioggia era finita.

Poi la riaccompagnò ancora. Capì che l’aspettava apposta. Andarono al cinema, mangiarono il gelato. Lei lo chiamava sempre “professore”. Con la giacca e gli occhiali, sembrava serio. Le piaceva l’idea che un uomo adulto la corteggiasse. Le amiche invidiavano.

Una domenica, arrivò a casa con fiori e cioccolatini. La mamma lo interrogò sul lavoro, gli studi. Alessandra taceva, gli occhi bassi.

«Alessandra cercherà presto lavoro», disse la mamma.

«Sono qui proprio per questo», rispose lui. «Dal prossimo anno cercano un insegnante nel nostro istituto. Potrei proporla.»

«Davvero? Ale’, hai sentito?»

«Non voglio insegnare. Non fa per me. Scusi, professore.» Lo guardò dritto negli occhi.

Arrossì. Portò la mano alla montatura inesistente. «In realtà, sono venuto per…» Si schiarì la voce. «Signora Maria, sono venuto a chiederle la mano di sua figlia.»

La mamba lo fissò, poi guardò Alessandra.

«So che è inaspettato. Ho la macchina, un po’ vecchia. Ma comprerò di meglio. Ho un appartamento. Non le mancherà nulla.» Parlava soprattutto alla mamma.

«Che sorpresa! Ale’, perché non dici niente? Lasciatela pensare…»

*Doveva esserci una scatoletta con l’anello*, avrebbe voluto dirgli Alessandra. *Uno sgorbio. Ma come si fa una proposta così?* Sognava un momento romantico, non un caffè tra un biscotto e l’altro.

Entrambi la fissavano, in attesa.

«Devo… pensarci. Scusate.»

«È stato un piacere, professore», disse la mamma, invitandolo a uscire.

«Ora devo andare.» Alzò la mano verso gli occhiali fantasma. Esitò, sperando in una parola.

Ma Alessandra taceva.

«Ti piace davvero?», chiese la mamma rientrando.

Alessandra scrollò le spalle.

«Però ha la macchina, la casa… Pensa bene.»

Cosa c’era da pensare? Non voleva sposarsi. Meno che mai con uno così goffo.

«Ah, ho visto la mamma di Matteo. Lui andrà a specializzarsi a Milano.»

«E non me lo dici? Quando parte?»

«E quando dovevo? Con questo “fidanzato” in casa, mi sono scordata tutto. Credo sia già partito.»

Quando, una settimana dopo, il professore tornò con fiori e cioccolatini (identici ai primi), Alessandra accettò. Niente scatoletta con l’anello.

La mamma la guardò stranita.

«Forse hai ragione. L’amore passa, la casa resta.»

Dopo un matrimonio frettoloso, iniziò una vita grigia. Valerio preparava le lezioni la sera. Niente romanticismo, passeggiate, progetti. Neanche i momenti intimi accendevano quella relazione. Alessandra capì di non amarlo. Mai. Vivevano paralleli, come due rotaie.

Un giorno, tornando a casa dalla mamma, trovò il padre. La mamma arrossì come un’adolescente.

«Tuo padre torna da noi. Senza di me non stava bene.»

«Sono contenta per voi.»

Camminando verso casa, trattenE quella sera stessa, mentre l’odore di zagara e il suono lontano delle campane riempivano l’aria, Alessandra capì che a volte la felicità arriva quando meno te l’aspetti, pronta a sciogliere anche il cuore più gelido, come il sole scioglie la neve a primavera.

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