Lucia e sua madre litigavano da giorni. Si stancavano, si allontanavano in silenzio, ma appena una delle due riprendeva il dialogo, la discussione esplodeva di nuovo.
“È impossibile parlare con te! Non ascolti mai nessuno. Per te esiste solo la tua opinione. Nemmeno papà ti ascoltavi, ed ecco perché se n’è andato,” urlò Lucia. Sapeva di aver esagerato, ma la rabbia la travolgeva.
“Voglio andarmene perché senza Marco non posso vivere. Lo amo. Avrei voluto farlo serenamente, ma pare impossibile. Ho vent’anni, mamma! A quest’età, una volta, le ragazze erano già zitelle. Tu sempre così perfetta… Non ti dà noia? Non voglio diventare come te—” Lucia si bloccò.
“Non mi oppongo, ti sto ascoltando. Perché non vi sposate, se vi amate?” rispose la madre con calma, sorpresa dall’aggressività della figlia.
“Davvero? Siamo studenti. Dovremmo vivere alle tue spalle? O a quelle dei suoi genitori? Loro gli hanno già comprato un appartamento.”
“E come vi manterrete?”
“Marco lavora, crea siti e programmi al computer. Si chiama freelance, hai presente? Abbiamo abbastanza per mangiare, e tra un anno finiamo l’università e ci sposeremo.”
“Aspettate quell’anno, allora. O c’è fretta? Sei incinta e non me lo dici?” La madre la scrutò con sospetto.
“No, mamma. Basta, è inutile parlare.” Lucia andò in camera e iniziò a riempire lo zaino, ma i vestiti non ci stavano tutti.
La madre entrò. “Ecco, ora urlerà di nuovo,” pensò Lucia. Invece, dopo un silenzio, uscì e tornò con una valigia, quella dei viaggi con il padre.
“Grazie!” l’abbracciò Lucia. “Non me ne vado all’altro capo del mondo, verrò a trovarti. Ti chiamerò ogni giorno.”
La madre si sedette sul letto, le mani sul volto. “Tutti mi abbandonano. Tuo padre ha trovato una più giovane, e ora pure te ne vai. Quando stava male, ero utile: massaggi, cibi leggeri, succhi di verdura. Poi, appena ripreso, è scappato. Tornerà, ma io non perdonerò.”
Lucia le strinse le spalle. “Viviamo insieme perché ci amiamo. Tornerò spesso, prometto. Vuoi venire da noi?”
“Ma certo!” esclamò la madre, improvvisamente contrariata.
Lucia sorrise tra sé. Sua madre si era sposata tardi, soffocata dalla nonna autoritaria. A vent’anni, Lucia le sembrava già autonoma, mentre sua madre, in pensione dopo il fallimento dell’azienda, le rimproverava ogni scelta.
“Ti amo, mamma, ma amo anche Marco.”
Mentre usciva di casa, la madre, immobile in cucina, le voltava le spalle. “Ti chiamo domani,” disse Lucia, ma non ebbe risposta.
Marco, che l’aspettava alla fermata dell’autobus, le chiese: “Com’è andata?”
“Bene,” mentì lei.
Per giorni, al telefono, la madre si lamentò di dolori e pressione alta. Lucia si stancò di ascoltarla e diminuì le chiamate. Un sabato, andò a trovarla con dei dolci. L’odore di valeriana nell’aria la turbò.
“L’ambulanza è già venuta,” disse la madre, debole.
Lucia sospettò un dramma più che una malattia. Le offrì un mandarino. “Ricordi quando me li compravi da piccola?”
Dopo il tè, la madre parve migliorare. “Portaci Marco la prossima volta,” disse alla fine.
Fuori dal supermercato, un cane randagio li seguì. Sporco e triste, fissava Lucia con occhi intelligenti.
“Ha un padrone,” disse Marco.
“Se l’avesse, non sarebbe così malridotto,” rispose lei.
Lo portarono a casa, lo lavarono e lo portarono dal veterinario. Sanato e nutrito, decisero di regalarlo alla madre.
“È educato, ti terrà compagnia,” disse Lucia entrando. La madre, delusa che non fosse il marito a tornare, esitò. Ma il cane, battezzato Timo, si accucciò ai suoi piedi.
Da allora, le telefonate furono piene di storie su Timo. Finché un giorno la madre chiamò: “Tuo padre è tornato. Quella ragazza l’ha sfruttato e lasciato. Come abbandonarlo?”
Lucia e Marco andarono da lei. “Timo ha portato fortuna,” rise lei.
“Non mi lascerai per una più giovane, vero?” chiese a Marco.
“Prima porterò a casa un cane,” scherzò lui, abbracciandola.
Morale: a volte, le soluzioni più semplici—come un cane randagio—riescono a sanare i cuori più feriti, insegnandoci che l’amore trova sempre una strada.