**La Terza Prova**
Giovanna indossò il camice bianco, si sedette alla scrivania e si appoggiò allo schienale della sedia. Chiuse gli occhi, cercando di calmarsi e mettersi di buon umore per la giornata lavorativa. Bussarono alla porta. «Chi sarà mai stavolta?», pensò tra sé Giovanna De Luca sospirando. «Non mi lasciano nemmeno respirare, irrompono come se fosse un’invasione…»
Senza aspettare il suo permesso, la porta si aprì leggermente e una testa maschile si infilò nello spazio.
«Posso?»
Giovanna lo fissò con severità.
«Le visite iniziano alle due», rispose asciutta, fingendo di leggere un documento importante.
Dopo un po’, sbirciò verso la porta. La testa dell’uomo rimaneva lì, incastrata nello stipite.
«Gliel’ho detto in italiano…», iniziò irritata, ma l’uomo non si mosse.
«Ma sono già le due», disse lui, accennando all’orologio appeso tra le due finestre.
Giovanna guardò l’orologio a muro e vide che la lancetta dei minuti era proprio sul dodici, pronta a ricominciare il suo giro. Era ora di iniziare. Il suo già pessimo umore peggiorò ulteriormente.
«Entrate», cedette con un sospiro.
La porta si aprì completamente e l’uomo entrò nello studio. Lo osservò con lo sguardo professionale di chi è abituato a valutare i pazisti. Non sembrava affatto malato: in forma, curato, barba rasata con precisione, un’aria sana e nessun segno di sofferenza sul volto aperto e amichevole.
«Cognome?», chiese Giovanna raggiungendo il mazzo di cartelle sul tavolo.
«Rossi, Enrico Mario.»
L’uomo si sedette, appoggiando il gomito sul bordo del tavolo. Quella postura fu l’ultima goccia per Giovanna. «Eccolo, si è accomodato come se fosse a casa sua», pensò infastidita.
Trovò la sua scheda, sottile, con solo due annotazioni dell’oculista.
«Mi dica», disse a denti stretti, pronta a liquidare quel paziente troppo in salute.
«Dottoressa, dormo male. Di giorno sbadiglio al lavoro, sembra che appena mi metto a letto crolli. Ma di notte non chiudo occhio. O mi sveglio e rimango così fino al mattino.»
«Da quanto tempo non dorme?»
«Da quando mia moglie è tornata. Era scappata con un altro, mi ero quasi abituato, e poi è rientrata. E non posso cacciarla, c’è nostra figlia.»
«Risparmiami i dettagli. Ecco le analisi e una radiografia. Torni quando le avrà fatte.»
«Davvero servono?», chiese stupito.
«Da quanto si vede, è raro che venga in ambulatorio. Non fa mai controlli, vero? È l’occasione giusta. È bene farlo almeno una volta all’anno.»
«E poi tornerò da lei? Ma per l’insonnia che faccio?», domandò Enrico, rigirando i fogli tra le mani.
«Elimini lo stress dalla sua vita. Se ne vada da sua moglie. Senza di lei dormiva, immagino?»
«Magari! Ma dove vado? L’appartamento è piccolo, non si può dividere. Lei non se ne andrà volontaria, e poi c’è la bambina. I miei genitori non ci sono più. A quest’età prendere un affitto? E perché dovrei? Mi prescriva qualcosa e vado.»
Con riluttanza, Giovanna tirò fuori un modulo e iniziò a scrivere un sonnifero leggero.
«Lei è sola? Non è sposata? Sembra stanca. Anche lei ha problemi?», chiese improvviso Enrico.
La penna si fermò. «Ma che si permette?»
«E a lei che importa?», ribatté secca.
«Solo per simpatia. Anche i medici sono esseri umani. Suo marito l’ha lasciata?»
Giovanna avrebbe voluto dirgli che era successo dieci anni prima. Lui aveva trovato una più giovane, se n’era andato, lasciandola con tre figli. Il maggiore ormai era volato via, trasferito in Germania per lavoro, sposato, senza intenzione di tornare. Faceva l’informatico, proprio come il padre. Era stato lui a convincere il giovane, visto che a lui non era riuscito.
Anche la figlia se n’era andata a Milano e non era più tornata. Il minore aveva vissuto con lei fino a poco prima. Ma la sua speranza di non invecchiare sola era svanita quando la sorella aveva trascinato via anche lui. “Qui non c’è futuro”, diceva. Quella mattina se n’era andato, nonostante le sue proteste. Nessuno pensava a lei. Non era più giovane, aveva cinquant’anni, la pensione si avvicinava e con lei la solitudine. Non aveva amiche, né genitori, nessuno a cui confidarsi.
Riprese il controllo.
«Ecco il suo modulo. Faccia le analisi e la radiografia.» Lo spinse verso di lui.
«Grazie», disse Enrico, prendendolo, ma rimase seduto.
«Altro? Se no, c’è gente che aspetta.» Indicò la porta.
«Sì, sì. Arrivederci.» Finalmente si alzò e si avviò. Si voltò. Giovanna non fece in tempo a distogliere lo sguardo.
Entrò una vecchietta, di quelle che vanno in ambulatorio come al lavoro, a parlare delle loro malattie come di qualcosa di familiare, quasi piacevole…
Mentre si toglieva il camice, Giovanna ricordò che l’appartamento vuoto l’aspettava. Lo sconforto tornò a sommergerla. Si morse un labbro per non piangere, inghiottì le lacrime e uscì dalla clinica.
«Giovanna De Luca!»
Si voltò e vide Enrico, il primo paziente della giornata.
«Ho pensato… ha un’espressione così triste. Anche lei ha problemi? Si vede a occhio nudo. Nemmeno io ho voglia di tornare a casa.»
Giovanna si stupì. Era così evidente?
«Che le fa credere una cosa simile?», ribatté brusca.
«Su, non faccia la dura. Capisco qualcosa della vita e delle donne. Non sono tutte come mia moglie. Che ne dice di un caffè? Un momento per chiacchierare. Ho passato la giornata a pensare a lei. Non fraintenda, ma quando l’ho vista ho pensato che una donna come lei è ciò che ho sempre cercato. È bella, ma troppo infelice.»
Giovanna tacque. Cercava le parole per mandarlo via con garbo.
«Ci sta pensando, vero? Come dirmi di andare via educatamente? Io me ne vado, e lei torna orgogliosa alla sua solitudine?»
«Accidenti, è perspicace», pensò.
«E va bene, andiamo», disse.
Per tutta la strada, Enrico parlò del tempo, dell’inverno che si avvicinava. Giovanna camminava al suo fianco, convinta di star commettendo una sciocchezza, che non le serviva un’altra delusione.
Ma il caffè fragrante le risollevò il morale. Enrico raccontò barzellette e storie divertenti, cercando di strapparle un sorriso. Alla fine, Giovanna rise delle sue battute stupide. Poi arrivò una bottiglia di vino. Perché no? Il vino era buono, le scaldò l’anima e il corpo. La tristezza svanì. Il futuro non sembrava più così tetro. E l’uomo di fronte a lei le piaceva sempre di più.
Non si accorse di avergli raccontato della lite con suo figlio, della sua partenza. Che non vedeva più senso nella vita. I nipoti?E poi, con il tempo, anche i figli tornarono a trovarla, portando con sé quella felicità che Giovanna aveva sempre sperato di ritrovare, e insieme a Enrico scoprì che non era mai troppo tardi per ricominciare.