Riflessi di un Destino

“Quanti anni hai?” Il chirurgo plastico Roberto Bianchi fissò il volto bellissimo di Viola.

Lei batté le ciglia, sorrise e distolse lo sguardo, poi lo incrociò di nuovo. Quante donne aveva visto comportarsi così nel suo studio. Appena chiedeva l’età, si ricordavano improvvisamente che lui era un uomo, giovane e attraente. Viola non fece eccezione.

“E quanti me ne daresti tu?” chiese con tono giocoso.
Lui la guardò severo.

“Ventinove,” mentì lei senza batter ciglio.
La soglia dei trenta spaventava sempre le donne.

“Trentanove, per la precisione,” la corresse Roberto, togliendole comunque due anni per gentilezza.

“Non si può mentire con te, dottore,” ammise Viola, apprezzando il suo tatto.

“Allora perché ci provi? Sono un medico, non un pretendente. La tua età mi serve per altro. Se avessi davvero ventinove anni, difficilmente saresti qui. Sei in ottima forma per la tua età. Direi perfino splendida. Molte donne ti invidierebbero.”

“Sei terribile. Ci vedi attraverso come una radiografia,” disse Viola, affettando civetteria.

“È il mio lavoro e l’esperienza.”

“Tua moglie è fortunata. Capisci le donne.”

Roberto stava per dire che non era sposato, ma ci ripensò.

“Allora, perché sei venuta? Sei bellissima e non hai bisogno di chirurgia. Almeno per ora.”

Il complimento illuminò gli occhi di Viola.

“E a quale prezzo ci riesco, non vuoi chiederlo? Sì, ho un marito ricco. Posso permettermi i trattamenti estetici più avanzati, che costano un occhio della testa. Ma sono stanca di passare ore in palestra, poi distesa su un lettino con maschere e pozioni miracolose. Non vivo, combatto contro il tempo, contro l’età. Sono stanca,” ripeté.

“Allora lascia correre il tempo. Ogni età ha i suoi pregi. Non serve apparire più giovani di quanto si sia.” Roberto le regalò uno dei suoi sorrisi più smaglianti.

“Per te è facile parlare. Sei un uomo. Non devi lottare contro le rughe, contare le calorie, saltare da una dieta all’altra. E per chi lo facciamo?”

“E per chi?” le fece eco Roberto.
Viola gli piaceva. Era sincera, bella, vivace. Con lei era facile parlare.

“Per voi uomini, ovvio. Vi sentite più sicuri con una donna giovane e bella al fianco. E più invecchiate, più cercate ragazze sempre più giovani.” Viola sorrise amaramente, una piega di tristezza agli angoli della bocca, ma restava bellissima.

“Vengo da un paesino sperduto. Mia madre lavorava in un allevamento di polli, come mio padre. Poi lo chiusero, lei fece l’infermiera, lui il fuochista. Là non c’era lavoro. Mio padre si mise a bere. Odiavo quella vita, sognavo di scappare, di andare a Roma, diventare un’attrice.” I suoi occhi si velarono di ricordi.

Roberto la capiva benissimo. Anche lui era arrivato a Roma da una piccola provincia.

“Non entrai all’accademia, ma trovai lavoro. In una bancarella al mercato.” Vide che ammetterlo le costava fatica. “Non entro nei dettagli di come sono sopravvissuta. Poi ebbi fortuna. Una cliente mi notò. Anche se le avevo fregato un po’ di soldi, tra l’altro. Mi portò in una casa di moda. Non quelle da passerella, capisci. Lì conobbi mio marito. Ero giovane, disperata…” Di nuovo lo sguardo perso. Roberto non la interruppe.

“Si innamorò e mi chiese di sposarlo. Accettai. Non mi importava che fosse più vecchio. Avevo vinto alla lotteria. Un marito, un appartamento a Roma, una villa, soldi, contatti. Mi diede tutto quello che sognavo.”

“Ha un figlio dal primo matrimonio, mio coetaneo, vive all’estero. Lui non ne vuole altri. Io mi sono adattata. Ristoranti, vestiti, viaggi. Mi piaceva quella vita. Hai ragione, molte mi invidiavano. Sono scappata da quel buco di provincia e non ci torno mai.” Viola sospirò e tacque un attimo.

“Tre giorni fa sono andata in ufficio da lui. Così, per fargli una sorpresa. Adora i bomboloni, sai? Quelli con la glassa rosa. Ne comprai due e un caffè.”

“La segretaria non era alla reception. Anzi, sì, era al suo posto… nel suo ufficio. Non si erano neanche preoccupati di chiudere la porta. Non mi videro. Me ne andai, lasciando i dolci sulla scrivania. Fu orribile.” Viola si coprì il volto con le mani.

Roberto aspettò. Aveva sentito storie simili troppe volte. Le pazienti si confessavano come in chiesa.

Quando si scoprì il viso, gli occhi erano asciutti. Per un attimo aveva abbassato la maschera della donna sicura di sé. La vita le aveva insegnato a non mostrare debolezze.

“Non ero ingenua, sapevo che aveva altre donne. Ma quella volta ebbi paura. Capii che il tempo passa, io non ringiovanisco, e ci sono ragazze giovani, pronte a tutto per prendere il mio posto.”

“Vogliono soldi. Hanno ciò che io non ho più: la giovinezza. Hai ragione, ho quarant’anni. Non posso competere. Agli uomini come mio marito piacciono le ragazze stupide e carine. Se mi lasciasse per una di loro, non avrei una seconda possibilità. Ci si abitua troppo al benessere. Preferirei morire piuttosto che tornare a quella vita.”

La sua onestà e disperazione colpirono Roberto.

“Tu potresti rinunciare a Roma, alla villa, alla macchina, ai soldi? Tornare in un paesino, fare il chirurgo generico?”

Roberto tacque. Viola non si aspettava una risposta. Era già chiaro.

“Bene. Ecco la lista degli esami da fare. Alcuni li facciamo qui. Poi torna da me.”

Gli occhi di Viola si illuminarono. Si alzò con una leggerezza quasi giovanile, ma con dignità.

“Riflettici ancora. Ogni intervento è un rischio, soprattutto sul viso. Tua marito sa cosa vuoi fare?”

“No. Ma troverò una scusa,” rispose pronta.

“Dopo l’operazione, diciamo che non sarai al massimo.”

“Per quanto?” Una scintilla di paura negli occhi, subito spenta.

“Un mese, forse più. Dipende.”

“Dirò che sono stata aggredita,” propose, ma Roberto sentì l’incertezza nella voce.

“Supponiamo. Ma la palestra resterà necessaria. Il viso ringiovanirà, non il corpo. L’effetto durerà poco. Poi dovrai tornare sotto i ferri. Pensa alle star che esagerano con la chirurgia. Ogni intervento lascia tracce. Non tutto dipende dal chirurgo.”

La paura tornò e svanì. Viola si controllava bene.

“So che cerchi di dissuadermi. Non serve. Ho deciso. Andrà tutto bene,” sbuffò. “Sono stanca di aver paura, di contare i soldi spesi in trattamenti. Meglio un intervento.”

“Vedo che è inutile. Ma pensaci.” Anche lui si alzò. Erano della stessa altezza. Per un attimo si cercarono negli occhi. Roberto sentiva di piacerle. Viola distolse lo sguardo, estrasse una busta dalla borsetta, ma invece di porgergliela, la posò sul bordo della scrivania.

“Si paga in cassa,” disse Roberto, tornando ad essere solo il dottore.

Si sedRoberto chiuse gli occhi per un attimo, poi prese la busta e la mise nel cassetto, sapendo che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe ceduto alle paure di un’altra donna.

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