Tutto per colpa tua…
Il caldo di luglio era insopportabile. L’aria era densa, appesantita dall’umidità e dalla polvere. Eleonora respirava affannosamente, le narici dilatate. Il cuore batteva forte nel petto, chiedendo riposo e fresco.
Il sabato sarebbe stato il compleanno della suocera, lei e il marito sarebbero andati in campagna. Eleonora sentiva la mancanza del figlio, ma in campagna stava meglio che in città. Si immaginava già seduta all’ombra dei meli, a bere acqua fresca dalla sorgente, a respirare aria pulita… Ma doveva ancora arrivare al sabato. E il caldo sembrava prendersi gioco di lei, senza dar segni di cedimento. Avevano sognato l’estate, il sole? Ebbene, eccoli serviti, senza lamentarsi.
Gli autobus nell’ora di punta erano stipati di corpi sudati e appiccicosi, compressi in uno spazio angusto e afoso, come una bomba pronta a esplodere al minimo pretesto. Camminare non era meglio, ma almeno poteva fermarsi nei negozi a rinfrescarsi sotto i condizionatori, riprendendo fiato per il tratto successivo.
Davanti a lei spuntò il centro commerciale, e Eleonora accelerò il passo, desiderosa di raggiungere l’aria fresca. Finalmente entrò, respirando a pieni polmoni l’aria refrigerata. Il cuore riprese a battere regolarmente, riconoscente.
Si incamminò lentamente tra le vetrine, fermandosi qua e là a cercare un regalo per la suocera. La donna diceva sempre di aver già tutto, che non c’era bisogno di spendere, ma Eleonora vedeva la luce di piacere nei suoi occhi quando riceveva qualcosa di speciale.
Non trovando nulla di adatto, si avviò verso l’uscita. Sulla strada, notò un banchetto che vendeva di tutto, dalle penne ai gioielli. Si fermò, per godersi ancora un attimo di fresco prima di tornare nel forno della strada. Lo sguardo scivolò sui gioielli e si posò su un vaso particolare, dal collo stretto e lungo, decorato con una specie di mosaico colorato. Non ne aveva mai visto uno simile.
“Me lo può mostrare?” chiese a una ragazza giovane dietro il banco.
Il vaso era pesante, di metallo. Sulla superficie, un filo spesso lo suddivideva in celle asimmetriche, riempite di smalto dai toni sbiaditi, come impolverati. Sembrava antico, e spiccava tra tutta la chincaglieria sgargiante.
“Quanto costa?” domandò Eleonora.
La cifra la fece sobbalzare.
“È fatto a mano. Un pezzo unico,” rispose la ragazza con orgoglio.
“Fa parte di una collezione? Di chi è?”
“Lo realizza un disabile. Sono pezzi bellissimi, ma costosi, per questo li comprano in pochi.”
“Lo prendo,” disse Eleonora, cedendo a un impulso. Immaginò già una rosa dal gambo lungo dentro quel vaso, perfetta per decorare qualsiasi interno. La suocera l’avrebbe apprezzata, lei amava tutto ciò che era insolito.
“Può incartarlo con un bel pacchetto?” chiese.
“Cerco qualcosa,” rispose la ragazza, frugando sotto il banco.
Mentre aspettava, Eleonora osservò i piccoli oggetti in mostra. Una donna pallida e stanca si avvicinò al banchetto—del resto, con quel caldo, molti avevano quella faccia.
“Ciao, Michela. Vedo che hanno comprato il vaso?”
“Sì,” rispose la ragazza, lanciando un’occhiata a Eleonora. La donna non la notò, o fece finta. “Ti mando i soldi appena posso,” aggiunse.
“Bene, allora domani ti porto qualcos’altro,” disse la donna salutando e allontanandosi.
Eleonora cercò di ricordare dove l’avesse già vista. Non era solo una faccia conosciuta: la riconosceva. La guardò allontanarsi. Qualcosa la tormentava. Valentina… Era Valentina!
“Va bene così?” chiese la ragazza, posando davanti a Eleonora un pacchetto con un bel fiocco rosso. “Deve aggiungere duecento euro.”
Eleonora pagò con la carta, prese il regalo e, senza aspettare lo scontrino, si lanciò all’inseguimento della donna.
Valentina camminava lentamente, a testa bassa, come assorta in qualche pensiero complicato.
“Valentina!” la chiamò Eleonora.
La donna si fermò e si voltò. Per un attimo si guardarono.
“Non mi riconosci? Sono Eleonora.”
“Certo che ti riconosco,” rispose Valentina senza entusiasmo. “Tu non sei cambiata, a differenza mia.” Fece una smorfia. “Hai comprato il vaso?” accennò al pacchetto.
“Sì. È bellissimo. Sabato è il compleanno della suocera, ho pensato di regalarglielo. La ragazza ha detto che lo fa un disabile.”
“Mio marito,” rispose Valentina.
Si incamminarono insieme, Eleonora adattando il passo a quello lento di Valentina.
“Pensavo fosse un pezzo antico. Tuo marito è un artista?” chiese.
“Anche quello. Ma davvero, non sai niente? Sei caduta dalla luna? Comunque, sei sempre stata un po’ fuori dal mondo. Lo fa Enrico.”
“Enrico? Ma la ragazza ha detto che lo fa un disabile.”
“E lo è. Dopo l’incidente non cammina più, e mai potrà farlo. Almeno guadagna qualcosa per vivere. Vuoi entrare a prendere qualcosa? Fuori è un inferno.”
Entrarono in un bar vicino all’uscita e occuparono l’unico tavolo libero, vicino alla porta. La coda di gente che cercava ristoro prima di tornare in strada era lunga. Una cameriera portò loro il menù.
“Portaci del tè verde e un gelato alla crema, per favore,” chiese Valentina.
La cameriera annuì e se ne andò.
“Strano, proprio oggi stavo pensando a te. Anzi, ci penso spesso ultimamente. E poi ti vedo comprare il vaso di Enrico,” disse Valentina, fissando il vuoto.
“Quindi mi hai riconosciuto? Perché non l’hai detto subito?”
“Non lo so.” Valentina alzò le spalle. “Non parlo quasi con nessuno. Non ho nulla di cui vantarmi. Tu, invece, sembri vivere bene, spendi soldi in cose inutili. Tuo marito guadagna bene?” chiese con sarcasmo.
“Non è inutile, è una cosa bellissima.”
“Di queste cose belle ne ho piene le scatole. Casa sembra un laboratorio. Lui passa le giornate a modellare, dipingere, tagliare. Non si respira più. Ho smesso di pulire. Ma meglio così, piuttosto che beva. Quando era in ospedale, un signore gli ha insegnato a lavorare il metallo. All’inizio faceva schifo, poi ha preso la mano. Almeno porta a casa qualche soldo.”
“Mi dispiace, non lo sapevo. Immagino quanto sia difficile per te.”
“Difficile non rende l’idea. Sono la cameriera, l’infermiera, la cuoca e la massaggiatrice, tutto in uno. Non ho più voglia di vivere. E tutto per colpa tua.” Valentina la guardò con rabbia.
“Non capisco, cosa c’entro io?”
“Santa ingenuità. Sei sempre la stessa. Una volta pensavo che fingessi. Poi ho capito che sei di quelle che vedono solo il buono, che non serbano rancore. Tutte impazzivano per Enrico, lo inseguivano in branco. E lui ha scelto te.”
“Mi arrabbio con te, ma la colpa è mia,” sbottò Valentina. “Ti invidiavo. Pensavo che fossi una stupida, che non valessi niente, eppure ti eri presa il ragazzo più bello. Così ho deciso di non lasciarteloEleonora la guardò in silenzio, mentre il gelato si scioglieva e il tè si raffreddava, realizzando che il passato non si poteva cambiare, ma il futuro era ancora nelle loro mani.