Il Regalo

**Regalo**

Oggi ho lasciato finalmente l’appartamento. Ho controllato ogni angolo, spento tutte le luci, assicurandomi che tutto fosse in ordine. Adoro tornare a casa e trovare tutto pulito. Perché mai dovrei lasciare il mio piccolo paradiso? Eppure, se non fossi partita, mia figlia si sarebbe offesa. Questo viaggio al mare è il suo regalo per il mio compleanno.

Ho sospirato, trascinato la valigia fuori dalla porta e chiuso con due giri di chiave. Ho tirato la maniglia per sicurezza e bussato alla porta della vicina, la signora Sonia.

«Parti già?» ha chiesto lei, sorridente.

«Sì, ecco le chiavi» ho risposto, porgendogliele a malincuore.

«Non preoccuparti, annaffierò le piante e terrò tutto sotto controllo. Goditi il mare e non pensare a nulla» mi ha rassicurato. «Che fortuna avere una figlia così premurosa, un vero regalo. Il mio Enrico, invece, pensa solo alla bottiglia. Casa, famiglia, tutto sprecato…»

Ho provato compassione per Sonia, ma un dubbio mi ha attraversato la mente: e se suo figlio mettesse mano ai miei oggetti? Niente di prezioso, certo, ma tutto costa soldi. Mi è dispiaciuto non aver chiesto a qualcun altro di badare all’appartamento. Ma ormai era tardi, e non volevo offenderla con la mia diffidenza. Quante volte mi ha aiutata?

Sonia ha notato la mia esitazione.

«Non ti preoccupare, nasconderò le chiavi. Enrico non le vedrà. Vai tranquilla.»

Ho annuito e mi sono diretta verso le scale con la valigia al seguito.

«Buon viaggio!» mi ha gridato dietro prima di chiudere la porta.

Sono arrivata alla stazione a piedi. Per due fermate, non valeva la pena prendere un taxi o disturbare la gente sull’autobus. Attraverso il sottopassaggio, ho raggiunto i binari. Un treno era già in sosta. Ho camminato lungo la carrozza, cercando il numero nove. Trovato. Meglio aspettare qui, per non dover correre all’ultimo momento.

«E se la numerazione partisse dall’altra estremità?» ho pensato con un filo d’ansia. Ma mi sono calmata: di solito l’annuncio arriva in tempo.

Una settimana fa, mia figlia è apparsa all’improvviso con un sorriso misterioso.

«Sono incinta?» le ho chiesto sospettosa.

Un secondo figlio sarebbe stato gradito, ma il primo aveva appena un anno. Troppo presto.

«No, mamma. Ti ho regalato una settimana al mare. Il treno parte l’undici, cuccetta riservata. Ecco.» Mi ha teso una busta. «Avrai tempo per prepararti.»

«Da sola? Senza di voi? Ma il mio compleanno! E i parenti, la cena? No, non ci vado. Rimanda il biglietto.»

«Mamma, volevo risparmiarti una giornata ai fornelli. L’ultima volta che sei stata al mare, te lo ricordi? Nemmeno io. Questo è il nostro regalo, mio e di Paolo. Fai come vuoi.» Aveva il broncio. «Se non ti va, resta qui. Ma non annullerò il biglietto. Se mai rimarrò incinta, addio vacanze per anni. Il resort è perfetto, proprio in riva al mare.»

Che fare? Ho brontolato un po’, ma alla fine ho preparato le valigie.

Ed eccomi qui, in stazione. Questi viaggi, soprattutto da sola, portano più ansia che gioia. Paura di perdere il treno, compagni di cabina sconosciuti, sistemazioni incerte… Alla mia età, lo stress non è il benvenuto.

Quando l’altoparlante ha annunciato l’arrivo del treno, mi sono rilassata. Avevo calcolato bene. Poco dopo, un fischio nel vento: il convoglio si è fermato proprio davanti a me. Ho stretto la valigia, i documenti pronti nell’altra mano. Altri viaggiatori attendevano intorno.

Salgo per prima, la cuccetta è accogliente. Mi siedo, respiro. Metà dell’impresa è compiuta: sono sul treno.

Poco dopo entrano tre ragazze, ridacchiando. Esco nel corridoio per lasciargli spazio.

Il treno accelera. Fuori dal finestrino, campi e fiumi sfilano veloci. Le notti di luglio sono brevi. Le ragazze escono, chiacchierando. Mi cambio e mi distendo. Il dondolio mi culla fino al sonno.

Mi sveglio a una stazione intermedia. L’annuncio risuona negli altoparlanti. Fuori è già chiaro. L’orologio segna le due e mezza. Una ciocca di capelli biondi pende dalla cuccetta superiore. Non le ho sentite rientrare. Complimenti per la discrezione. Mi riaddormento.

Al risveglio successivo, il caldo è opprimente. Le ragazze dormono. Esco in punta di piedi.

«Occupato» dice il cartello sul bagno.

«Anche lei va al mare?» chiede un uomo con un asciugamano sulla spalla.

«Qui tutti vanno al mare» rispondo secca. Non ho voglia di chiacchiere, soprattutto davanti a un bagno. Lui insiste, io mi giro, chiaro segnale. Non capisce.

Finalmente il bagno si libera.

Le ragazze russano. Assetata, cerco la conduttrice, ma anche lei dorme.

«Niente acqua. Ho già controllato» dice la voce familiare alle mie spalle. «C’è il ristorante due carrozze più avanti. Almeno il caffè è decente.»

«Ma perché mi segue?» mi volto brusca.

«Perché reagisce così?» si offende. «Parlo, che c’è di male? Se anche volessi conoscerla, sarebbe un problema? Qualcuno l’ha ferita?»

«Nessuno.» Lo spingo via e torno in cabina.

Mi sveglio per il trambusto fuori. Il treno è fermo. I passeggeri scendono in massa. Anche io.

«Vuole un gelato? Laggiù c’è un chiosco» dice la solita voce.

Lo guardo come se fosse un insetto.

«E se volessi?»

«Un attimo.» Si lancia verso il chiosco, torna con un cono.

«Lo mangi in fretta, si scioglie.»

«Mmm… alla cioccolata, il mio preferito» sorrido, le palpebre socchiuse per il piacere.

«Anche a mia moglie piaceva. È morta due anni fa. Mio figlio vive a Milano, mi prega di restare, ma io soffoco là. Ho la mia casa, il giardino…»

«Cerca una sostituta» penso, ma taccio. DopAlla fine, mentre camminavo sulla spiaggia al tramonto, realizzai che a volte i doni più grandi arrivano quando meno te lo aspetti.

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