Per il mio amore…

***Per me…***

Irene passava il ferro da stiro con movimenti lenti sul tavolo da stiro. Il sudore le scendeva lungo le tempie, il collo e la schiena. La calura della sera si era un po’ attenuata, ma il calore del ferro rimaneva opprimente. Mancava poco a finire quando il cellulare squillò. Si interruppe per un attimo, poi riprese con insistenza, irritandola.

Irene posò il ferro, si avvicinò al tavolo e afferrò il telefono. Vide il nome dell’amica e si stupì.

“Taide, sei tu? Che succede?” chiese, preoccupata.

“Sono io. Chi altro? È successo qualcosa. Vengo in città per lavoro e ho rinunciato all’albergo. Sto due giorni da te. Mi ospiti?”

“Ma certo! Quando arrivi?” si irrigidì Irene, ricordando che in frigo c’era solo lo stretto necessario. Lei mangiava poco, bastava quel che c’era.

“Domani. Lo so, è improvviso, ma si è deciso tutto all’ultimo. Ti mando un messaggio con il treno, la carrozza e l’orario. Mi vieni a prendere?”

“Certo che ti vengo a prendere,” promise Irene, mentre pensava che già si assentava spesso per le cure, chiedere altro permesso era difficile.

L’amica la rassicurò: sarebbe arrivata la sera e sarebbe rimasta due giorni. Un peso le si sollevò dal cuore.

“Non preparare nulla, ti conosco. Aspetta, ci diremo tutto a voce,” disse Taide, e riattaccò.

Irene finì di stirare, piegò il bucato con cura e lo ripose nell’armadio. Era felice di sentire l’amica. “Taide vorrà sapere tutto, frugare nell’anima, e io avevo appena trovato un po’ di pace, mi ero abituata alla solitudine. Ora devo pensare a cosa darle da mangiare.” Irene guardò l’orologio. “Faccio in tempo al supermercato prima che chiuda, domani non potrò. Ecco, arriva…”

Diede un’occhiata al frigo. Per sé cucinava poco, e non aveva fame. La chemio le aveva tolto l’appetito. Si cambiò e uscì, pensando all’amica.

Si erano legate subito, dal primo giorno, quando in prima media, a metà anno, era arrivata una nuova compagna col nome romantico e misterioso di Taide. Poi insieme si erano iscritte alla stessa università. Al terzo anno Taide si era innamorata di un allievo ufficiale, aveva sposato in fretta e se n’era andata con lui in una caserma lontana, trasferendosi a un’università locale per finire gli studi.

All’inizio si scrivevano, poi, coi cellulari, si telefonavano, ma col tempo si erano ridotte agli auguri per Capodanno e compleanni. Ognuna aveva la sua vita, le sue preoccupazioni, i figli. Taide aveva due maschi, sempre da tenere d’occhio.

Irene si era sposata un anno dopo la laurea e subito era rimasta incinta. Il parto era stato difficile, non poteva avere altri figli. La figlia era cresciuta, si era sposata poco prima di finire medicina ed era partita col marito per la sua città.

Mentre sceglieva i prodotti al supermercato, Irene pensò che non avrebbe fatto in tempo a pulire. “Che importa? Chi viene a controllare? È un’amica, non il presidente…” Si chiese se raccontare a Taide del marito in trasferta o della visita alla figlia. Poi decise che Taide la conosceva troppo bene per non capire una bugia. “Vedrà subito che l’aria di casa è cambiata. E poi, perché nasconderlo? Non sono la prima né l’ultima lasciata per una più giovane…”

Irene aveva capito molto prima che il marito avesse un’altra. Improvvisamente si era messo a vestirsi più casual, jeans e maglioni, riservando i completi solo per le riunioni. Si era comprato delle scarpe da ginnastica, aveva iniziato a correre la mattina. Ma non era durato.

Finché la figlia era stata con loro, avevano finto che nulla fosse cambiato. Lui diceva di lavorare fino a tardi, tornava solo per dormire. Anche lei soffriva delle sue visite. Arrivava sazio, andava direttamente a letto. Segno che mangiava e si divertiva altrove.

Quando la figlia se n’era andata, non c’era più motivo di fingere, e lei stessa gli aveva detto di andarsene. Gli aveva sistemato le cose stirate nella valigia. Non voleva regalare alla rivale la soddisfazione di pensare che la moglie fosse cattiva, come forse lui le aveva raccontato. Che vedesse invece come era stata accudita. E che lui sapesse cosa perdeva. L’altra sarebbe stata così? Con l’età, gli uomini cercano conforto e pace. La passione, si sa, svanisce in fretta. Irene sperava che si ravvedesse e tornasse. Ma il tempo passava, e lui non tornava.

Poi… Poi, durante un controllo di routine, le avevano trovato un tumore. Questo l’aveva distratta dal dolore e dalla rabbia. Non c’era più spazio per i risentimenti. L’operazione, la chemio. Andava a ogni visita col cuore in gola, temendo la sentenza. Ma per ora la situazione era stabile, non peggiorava.

A volte le veniva una voglia folle di rivederlo, di raccontargli tutto. E poi? Si sarebbe impietosito, sarebbe rimasto. Ma ogni giorno avrebbe saputo che tornava da un’altra. No, la pietà non è amore.

Così viveva sola. Non si era fatta nuove amicizie. A volte passeggiava al parco, dove incontrava sempre gli stessi anziani o mamme coi passeggini. Si salutavano, scambiavano due parole.

“Che bella giornata. Anche lei è venuta a fare due passi?”
“Dov’è il più grande? Dalla nonna?”
“È un po’ che non la vediamo…”

Era tutto.

Il giorno dopo, Irene tornò dal lavoro e si mise subito a cucinare. Fece anche in tempo a lavare il pavimento prima di uscire per la stazione. Era stanca, ma non poteva riposare: doveva andare a prendere l’amica.

Il treno rallentò a lungo prima di fermarsi. Irene scrutava i finestrini, cercando Taide. Finalmente la folla cominciò a riversarsi sui marciapiedi. Decise di non correre verso la carrozza in testa al treno: nella confusione poteva perderla. “E se non la riconosco? Sono anni che non ci vediamo!” Un dubbio le attraversò il cuore.

Si fermò all’ingresso del sottopassaggio. La gente rallentava lì, poteva guardare bene i volti.

E poi la vide. Taide, più formosa, con gli occhi smarriti, ma riconoscibile. Si guardava intorno cercando l’amica. Irene alzò una mano e agitò le dita. Finalmente Taide notò il movimento, poi riconobbe Irene e si lanciò verso di lei tra la folla. Le spintonavano, i bagagli le urtavano, ma loro non se ne accorgevano, abbracciate. Poco a poco il sottopassaggio si svuotò.

“Andiamo,” disse Irene.

Camminarono lungo il corridoio risuonante di passi, parlando tutte e due insieme di come temevano di perdersi, di non riconoscersi, facendosi le stesse domande. Il caldo dell’autobus fece star male Irene. Notò lo sguardo indagatore di Taide, ma non aveva la forza di fingere. Il viaggio sembrava infinito. A casa, Irene crollò sul divano. Taide si sedette accanto a lei.

“Riposati. Vedo che sei a pezzi. Te l’avevo detto di non affannarti. Già dall’odore mi viene l’acquolina in bocca. Intanto mi facE poi, quella notte, sotto le stelle che brillavano come promesse, Irene e Sergio riscoprirono il sapore di una felicità che credevano perduta per sempre.

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