La ragazza stava dall’altra parte della ringhiera. Non c’era alcun dubbio sulle sue intenzioni di saltare giù dal ponte…
All’inizio del turno di notte, un’ambulanza portò un giovane uomo. La sua macchina aveva urtato un SUV a un incrocio. Dopo un intervento durato ore, il paziente fu portato in terapia intensiva, mentre la chirurga Eleonora Rossi, in sala medica, annotava il decorso dell’odiernata.
“Caffè, dottoressa Rossi,” disse l’infermiera esperta Maria Bianchi, posando una tazzina sul bordo del tavolo.
“Grazie. Chiamatemi quando si sveglia,” rispose Eleonora senza alzare lo sguardo dai fogli.
“Riposatevi un po’, finché potete. Per ora sembra tranquillo.”
“Sapete bene che un inizio di turno così non promette nulla di buogo,” ribatté Eleonora.
E aveva visto giusto. Non fece in tempo a finire il caffè che arrivò un altro paziente. All’alba, Eleonora crollava dalla stanchezza e si addormentò con la testa sui documenti. Fu subito svegliata da Maria, che le annunciò: “Il paziente dell’incidente si è ripreso.”
Eleonora avrebbe potuto dire che il suo turno era finito, che un altro medico si sarebbe occupato di lui, che andava tutto bene… ma si alzò e andò in terapia intensiva. Non era nelle sue abitudini andarsene a casa senza sapere come stava un paziente operato da lei.
Sotto le luci al neon, il linoleum del corridoio luccicava come la superficie dell’acqua. Entrò silenziosamente in camera. Il giorno prima non l’aveva visto bene, ma ora si trovò davanti un uomo piuttosto attraente, avvolto in fili e sensori. Controllò i parametri sul monitor e, quando tornò a guardarlo, lo trovò già intento a studiarla.
Persino su quel letto d’ospedale, quell’uomo emanava sicurezza e la guardava dall’alto in basso. A lei sarebbe bastata una briciola di quella sicurezza. Fece fatica a non distogliere lo sguardo.
“Come si sente, signor De Luca? Abbiamo dovuto rimuoverle la milza. Ha perso molto sangue. Due costole fratturate, ma il polmone è intatto. Non c’è pericolo di vita. Se l’è cavata bene. La polizia ha già chiamato, vorrebbe parlarle. Ho chiesto di rimandare, per darle tempo di riprendersi.”
“Grazie,” rispose lui con voce rauca.
“Il mio turno è finito, ci vediamo domani.” Eleonora uscì dalla stanza.
L’ambulanza che aveva portato un nuovo paziente le diede un passaggio a casa. Nell’ingresso, ad attenderla, c’era un gatto rosso. Le si strofinò tra le gambe e, con la coda alta, trotterellò verso la cucina. Moriva dal sonno, ma prima doveva dar da mangiare a Pulcinella, altrimenti non l’avrebbe lasciata dormire. Eleonora si addormentò prima ancora che la testa toccasse il cuscino.
Il giorno dopo, il paziente aveva un aspetto migliore e le sorrise quando lei entrò in camera.
“Buongiorno. Vedo che si sente meglio. Oggi la trasferiremo in una stanza normale, le restituiremo il telefono e potrà chiamare i suoi cari.”
“Qui non ho nessuno. Vi ho dato parecchio fastidio ieri?” La guardava ancora con quell’aria di superiorità. Com’era possibile?
“Quando mi dimetterete?” chiese.
“L’hanno operato da poco, ha le costole rotte… Resterà in reparto almeno una settimana, poi vedremo. Scusate, ho altri pazienti,” disse Eleonora uscendo.
Prima di andarsene, controllò ancora una volta i parametri e la flebo. Quando finalmente si decise a guardarlo, incrociò di nuovo il suo sguardo curioso. Lui sogghignò.
Un brivido le corse lungo la schiena. Quella smorfia… Eleonora aveva una buona memoria per i volti, eppure non ricordava di averlo mai visto prima. Ma quel sorrisetto le sembrava familiare.
Passò tutta la sera a rovistare nella memoria, ma senza successo. La mattina dopo, lo trovò seduto sul letto. Qualcuno gli aveva portato una maglietta.
“Me l’ha data l’infermiera. I miei vestiti erano insanguinati,” spiegò notando il suo sguardo sorpreso. “Per qualche motivo, ho l’impressione…” Diede un’occhiata al badge, “Dottoressa Rossi, che vogliate chiedermi qualcosa.”
“No, cioè… sì. Ci siamo già visti da qualche parte?”
“Non mi ricordo. Ho una buona memoria visiva, non potrei dimenticare una donna così bella. Uno sguardo come il vostro l’ho visto solo una volta. Ma era in un’altra città, un’altra vita, anni fa.” Sogghignò di nuovo, ma subito fece una smorfia di dolore. Le costole rotte si facevano sentire.
“Potete alzarvi, ma con cautela,” disse Eleonora.
“Tornerete a trovarmi?” chiese improvvisamente.
“Sì, se il turno sarà tranquillo.” *Che diavoleria è questa? E perché si comporta come se gli dovessi qualcosa?*
“Allora, dottoressa, vi siete ricordata dove ci siamo già visti?” le chiese il giorno dopo.
“Mi sbagliavo,” rispose lei.
“Ma io invece sono sicuro di conoscervi. I vostri occhi non li dimentico.”
“Cosa hanno di speciale i miei occhi?” Eleonora non voleva parlarne, ma la curiosità era troppa.
“Il primo giorno ho pensato che foste stanca, ma il giorno dopo eravate riposata e fresca, eppure lo sguardo era lo stesso. Guardate con diffidenza, come se vi aspettaste qualcosa, aveste paura, pronta a scappare alla minima minaccia.”
“Non dite sciocchezze. Non ho intenzione di scappare. Vi state riprendendo in fretta, tra tre giorni vi dimetterò. Continuerete la terapia a casa.”
“Grazie per questo…” iniziò lui, ma Eleonora uscì prima che finisse.
Tre giorni dopo, l’infermiera gli portò la cartella clinica e le radiografie.
“Dov’è la dottoressa Rossi?” chiese, deluso che non fosse venuta di persona.
“È in sala operatoria.”
Alessandro fece i bagagli, ma invece di andarsene, si sedette in corridoio per tenere d’occhio la porta della sala medica. Quando la vide, le andò incontro.
“Volevate tornare a casa, eppure siete ancora qui,” disse Eleonora alzando un sopracciglio.
“Ho l’impressione che mi stiate evitando,” chiese senza vergogna. “Non potevo andarmene senza ringraziarvi. Mi avete salvato la vita.”
“Esagerato.”
“Ma se non aveste operato in tempo, sarei potuto morire, no? Quindi, in effetti, mi avete salvato. Devo ricambiarvi. Fra poco finisce il turno, vero? Vorrei invitarvi a cena. Magari, passando un po’ di tempo insieme, vi verrà in mente dove mi avete visto. Vi prego. Immagino che con il vostro lavoro non abbiate molto tempo libero. Sarà solo una cena e una chiacchierata. Prometto di non infastidirvi.”
“Siete troppo sicuro di voi. Va bene, accetto. Ma mi serve tempo per prepararmi.”
“Certo, certo. Al ristorante Da Giovanni, vicino a casa vostra. Prenoterò per le sette.”
“Sapete dove abito?”
“Non è mica un segreto.”
“Siete insopportabile. È più facile accettare che discutere.” *Che sfacciataggine.*
“E voi siete laLa sera seguente, mentre il vino luccicava nei bicchieri e il profumo delle candele si mescolava alle loro risate, Alessandro prese la mano di Eleonora e sussurrò: “Forse non è un caso se ci siamo ritrovati, ma questa volta possiamo scrivere il finale insieme.”