La ragazza dall’altra parte del parapetto: un salto nel vuoto?

La ragazza era dall’altra parte della ringhiera. Non c’era alcun dubbio sulle sue intenzioni: voleva lanciarsi dal ponte…

All’inizio del turno di notte, un’ambulanza portò un giovane uomo. La sua auto aveva urtato un SUV a un incrocio. Dopo ore di intervento, il paziente fu trasferito in terapia intensiva, mentre la chirurga Eleonora De Luca annotava il decorso dell’operazione nella cartella clinica.

«Un caffè, dottoressa De Luca». L’infermiera esperta, Maria Rossi, posò una tazzina sul bordo del tavolo.

«Grazie. Quando il paziente si sveglia, chiamami», rispose Eleonora senza alzare lo sguardo dagli appunti.

«Riposati, finché puoi. Sembra tranquillo, per ora.»

«Sai bene che un inizio così non promette nulla di buogo», replicò Eleonora.

E aveva visto giusto. Non fece in tempo a finire il caffè che arrivò un nuovo paziente. All’alba, Eleonora era stremata e si addormentò con la testa sui documenti. Fu svegliata all’istante da Maria Rossi, che le comunicò che il paziente dell’incidente aveva ripreso conoscenza.

Eleonora avrebbe potuto dire che il suo turno era finito, che un altro medico avrebbe controllato il paziente, che tutto sarebbe andato bene. Invece si alzò e andò in terapia intensiva. Non era nel suo stile andarsene a casa senza sapere come stava chi aveva operato.

Sotto le luci fluorescenti, il linoleum del corridoio brillava come la superficie dell’acqua. Eleonora entrò silenziosamente in camera. Il giorno prima non l’aveva osservato bene, ma ora vedeva un uomo piuttosto attraente, avvolto in fili e sensori. Valutò i parametri sul monitor e, quando riportò lo sguardo su di lui, lo trovò già a fissarla.

Persino sdraiato sul letto d’ospedale, l’uomo emanava sicurezza e la guardava con aria di superiorità. Le sarebbe servita solo una frazione della sua fiducia in se stesso. A stento trattenne l’impulso di distogliere lo sguardo.

«Come si sente, Alessandro Moretti? Abbiamo dovuto rimuoverle la milza. Ha perso molto sangue. Due costole fratturate, ma il polmone è intatto. Non c’è pericolo di vita. Se l’è cavata bene. La polizia ha già chiamato, vuole parlarle. Ho chiesto di rimandare, per darle tempo di riprendersi.»

«Grazie», rispose l’uomo con voce roca.

«Il mio turno è finito, ci vediamo domani.» Eleonora uscì dalla stanza.

L’ambulanza che aveva portato un altro paziente in ospedale la riaccompagnò a casa. Nell’ingresso, la accolse un gatto rosso. Le si strofinò contro le gambe e, con la coda alta, sfrecciò in cucina. Moriva dal sonno, ma prima doveva dar da mangiare a Nerone, altrimenti non l’avrebbe lasciata dormire. Eleonora si addormentò prima ancora che la testa toccasse il cuscino.

Il giorno dopo, il paziente sembrava molto meglio e perfino sorrise quando Eleonora entrò in camera.

«Buongiorno. Vedo che sta bene. Oggi la trasferiranno in una stanza normale, le restituiranno il telefono e potrà chiamare i suoi cari.»

«Non ho nessuno in città. Le ho creato molti problemi ieri?» La fissava ancora con quell’aria altezzosa. Come faceva?

«Quando potrò uscire?» chiese.

«L’abbiamo appena operato, ha le costole rotte… Resterà almeno una settimana in reparto, poi vedremo. Mi scusi, altri pazienti mi aspettano.» Eleonora uscì.

Prima di andare a casa, controllò ancora il paziente, i parametri sul monitor e la flebo. Quando finalmente lo guardò, lo trovò intento a studiarla con interesse. Lui sorrise.

Un brivido le corse lungo la schiena. Eleonora aveva già visto quel sorriso. Aveva una buona memoria per i volti, ma non ricordava di averlo mai incontrato prima. Eppure, quel sorriso le sembrava familiare.

Passò la serata a scavare nella memoria, cercando di ricordare dove avesse visto quell’espressione, ma senza successo. La mattina dopo, lui l’aspettava seduto sul letto. Qualcuno gli aveva portato una maglietta.

«Me l’ha data l’infermiera. I miei vestiti erano insanguinati», disse Alessandro, cogliendo il suo sguardo sorpreso. «Ho l’impressione…» Guardò il suo badge. «Eleonora De Luca, che vuole chiedermi qualcosa.»

«No, cioè… sì. Ci siamo già visti da qualche parte?»

«Non ricordo. Ho una buona memoria visiva, non dimenticherei una donna così bella. Sa, uno sguardo come il suo l’ho visto solo una volta. In un’altra città, in un’altra vita, anni fa.» Sorrise di nuovo, ma subito aggrottò la fronte per il dolore alle costole.

«Può alzarsi, ma con cautela», disse Eleonora.

«Tornerà a trovarmi?» chiese all’improvviso Alessandro.

«Sì, se il turno sarà tranquillo.»
*Che stregoneria è questa? E perché si comporta come se gli dovessi qualcosa?*

«Allora, dottoressa, ha ricordato dove ci siamo incontrati?» le chiese il giorno dopo.

«Mi era sembrato», rispose.

«Io invece credo di sì. I suoi occhi li ricordo bene.»

«Cosa c’è che non va nei miei occhi?» Eleonora non voleva parlarne, ma la curiosità la divorava.

«Il primo giorno ho pensato che fosse solo stanchezza. Ma il giorno dopo, nonostante il riposo, lo sguardo era lo stesso. Guarda con diffidenza, come se si aspettasse qualcosa, avesse paura, pronta a scappare al minimo pericolo.»

«Non dica sciocchezze. Non devo scappare da nessuna parte. Sta guarendo in fretta, tra tre giorni la dimetterò. Continuerà le cure in ambulatorio.»

«Grazie per questo…» iniziò Alessandro, ma Eleonora uscì senza ascoltare il resto.

Tre giorni dopo, l’infermiera gli portò la dimissione con le indicazioni e le radiografie.

«E la dottoressa De Luca?» chiese, deluso che non fosse venuta di persona.

«È in sala operatoria.»

Alessandro si preparò, ma invece di andarsene, si sedette in corridoio per vedere quando Eleonora sarebbe uscita. Quando la vide, le si avvicinò.

«Non vedeva l’ora di andare a casa, eppure è ancora qui», commentò Eleonora, alzando un sopracciglio sottile.

«Mi sbaglio, o sta davvero evitandomi?» chiese Alessandro senza imbarazzo. «Non potevo andarmene senza ringraziarla. Mi ha salvato la vita.»

«È un’affermazione esagerata.»

«Ma se non avesse operato in tempo, sarei potuto morire, no? Quindi, è così. Devo sdebitarmi. Tra poco finisce il turno, vero? Vorrei invitarla a cena. Magari, passando un’ora con me, ricorderà dove ci siamo visti. La prego. So che con il suo lavoro raramente esce. Ceneremo e parleremo. Prometto di non insistere.»

«È troppo sicuro di sé. Va bene, accetto. Ho bisogno di sistemarmi un po’.»

«Certo, certo. Al ristorante “Vecchia Roma”. È vicino a casa sua. Prenoterò e l’aspetterò alle sette.»

«Sa dove abito?»

«Non è un segreto, no?»

«Che uomo terribile.Eleonora sorrise tra sé, mentre il vento della sera le accarezzava i capelli, chiedendosi se finalmente fosse arrivato il momento di smettere di avere paura e lasciare che qualcuno entrasse nella sua vita.

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