La Via verso la Felicità

**La Strada per la Felicità**

Marco tornava a casa a piedi dal lavoro. Una bella passeggiata, insomma, anche se un po’ lunga, ma la sera era così tiepida e tranquilla, senza un alito di vento. In giornate come quella, non rimpiangeva affatto di non avere un’auto. Camminava, godendosi il tepore e l’arrivo imminente dell’estate.

Per tutta la vita aveva vissuto con i genitori nel cuore di Milano, abituato al trambusto e al frastuono della città. Ma di recente si era trasferito in periferia, in un quartiere residenziale. Tornava a casa e quasi subito andava a letto, per poi ripartire al mattino verso il centro, brulicante di vita e di avvenimenti.

Di notte, dalla finestra della sua stanza, una luna curiosa lo osservava indisturbata, senza alberi o altri palazzi a intralciarne la vista. Non aveva neanche le tende, per ora. Viveva al dodicesimo piano di un condominio nuovo, con vista su un campo e, in lontananza, una striscia di bosco. Le prime settimane si svegliava nel cuore della notte, guardava la stanza immersa nella luce azzurrina della luna e per un attimo non capiva dove si trovasse. Poi ricordava, si calmava e riprendeva a dormire.

***

Fino a due anni prima, non avrebbe mai immaginato che esistessero ancora le case popolari. Non quelle di un tempo, con dieci famiglie che dividevano una sola cucina, ma comunque vivere con uno sconosciuto, condividendo bagno e cucina, non era esattamente piacevole.

Marco era cresciuto in una famiglia normale, in un bilocale nel centro di Milano, con soffitti alti, stanze spaziose e un lungo ingresso stretto che sfociava in una cucina minuscola. La madre lavorava come maestra d’asilo, il padre era autista di autobus. Non facevano la bella vita, ma potevano permettersi una vacanza al mare ogni tanto.

E poi, tutto era crollato in un solo giorno. Il padre non aveva infranto nessuna regola: aveva aspettato che il semaforo diventasse verde e aveva ripreso la marcia, accelerando dolcemente. Ma all’improvviso, dal marciapiede, una donna con una valigia a ruote gli si era parata davanti. Lui aveva frenato, ma come si fa a fermare un autobus all’istante? La donna era volata via come un pallone, ed era morta prima ancora di arrivare in ospedale.

Si era scoperto che stava correndo per non perdere il treno. Il genero le aveva promesso di accompagnarla in macchina alla villa in campagna, ma poi aveva cambiato idea. Avevano litigato, e lei, stizzita, si era precipitata alla stazione. “Il treno non aspetta nessuno”, aveva pensato.

Lo stesso genero, in tribunale, aveva urlato che l’autista ubriaco aveva ammazzato la sua adorata suocera, chiedendo la condanna più severa. Sì, la sera prima c’era stato il festeggiamento per la pensione di un collega, e tutti avevano brindato. Ma la mattina dopo, la visita medica non aveva rilevato nulla di anomalo nel padre di Marco. Lui non era nemmeno un bevitore. Eppure, chissà come, nel fascicolo erano spuntati risultati che lo indicavano come sopra la soglia consentita.

Per non far ricadere la colpa sugli altri autisti, il padre aveva ammesso di aver bevuto al compleanno di un’amica della moglie. Aveva salvato tutti, ma era finito in prigione. La madre era distrutta, piangeva in continuazione. I soldi erano diventati pochi. Lo stipendio di una maestra d’asilo non è certo lauti. Marco aveva annunciato che, finita la scuola, non avrebbe continuato gli studi: avrebbe cercato lavoro.

“Ah, vuoi fare il militare? Mio marito mi manca già, e ora dovrei preoccuparmi pure per te?”, singhiozzava la madre.

Per tranquillizzarla, Marco aveva promesso che avrebbe studiato. Poco prima della maturità, il padre era morto in carcere per un infarto. Marco, come promesso, si era iscritto all’università. Due anni dopo, la madre si era risposata e si era trasferita dal nuovo marito. Marco era rimasto solo nell’appartamento di famiglia. La madre pagava l’affitto e gli dava i soldi per vivere, purché studiasse. Se lo poteva permettere: il nuovo marito non era un semplice impiegato, ma un dirigente. Anche se Marco, onestamente, non aveva mai capito bene di cosa si occupasse.

I compagni di università, scoperto che aveva casa libera, avevano cominciato a organizzare feste. Lui, bonario, lasciava che dormissero anche lì.

All’inizio gli piaceva, ma poi il viavai di sconosciuti ubriachi e urlanti gli aveva stancato. Spesso si svegliava e trovava in casa ragazzi e ragazze che non aveva mai visto in vita sua.

I vicini si erano lamentati con la madre, che una mattina era arrivata all’alba per beccarlo. Davanti a lei era spuntata una ragazza completamente nuda, che, senza la minima vergogna, l’aveva ignorata ed era entrata in bagno.

Ovviamente, la madre aveva fatto una scenata, aveva cacciato tutti e aveva minacciato il figlio: se non avesse smesso quelle orge con fiumi di alcol, non avrebbe più visto un euro.

Per due settimane, in casa era calato il silenzio. Poi gli amici avevano chiesto di festeggiare un compleanno. Si erano comportati bene, ma avevano bevuto come spugne.

La mattina dopo, Marco si era svegliato non da solo. Accanto a lui dormiva una ragazza nuda, coperta solo dal lenzuolo fino alla vita. Era a pancia in giù, il viso verso il muro, e i capelli rossi sparsi sul cuscino. Nell’intero gruppo, l’unica con quei capelli era Giulia Rossi.

Marco era scivolato fuori dal letto per non svegliarla. Non ricordava nulla, ma se fosse successo qualcosa tra loro, dubitava che avrebbe poi rimesso le mutande.

Aveva controllato tutte le stanze: nessun altro in casa. Si era fatto una doccia e aveva preparato il caffè. L’aroma aveva svegliato Giulia, che era arrivata in cucina con la sua maglietta lunga, iniziando a fare moine e a sussurrare sciocchezze. Marco si era scansato.

“Che ti prende? Ieri notte dicevi che mi amavi”, aveva ribattuto Giulia, offesa. “Dammi il caffè.” E aveva allungato una mano verso la sua tazza.

“Non dire stupidaggini”, aveva replicato lui, insicuro. “Non c’è stato niente tra noi. Non sono così suicida: se lo scopre Luca, mi riduce in poltiglia.”

“Ma ci siamo lasciati, non lo sapevi? Pensi che mi sarei ubriacata così altrimenti? Lui si è messo con Sara del quinto anno, quella stronza.”

Dopo aver accompagnato Giulia piagnucolante sotto la doccia, aveva buttato le bottiglie vuote, lavato i piatti e aerato la casa. La madre poteva presentarsi all’improvviso per un controllo.

Erano arrivati in ritardo a lezione. Giulia l’aveva supplicato di andare al cinema, tanto ormai… ma lui aveva rifiutato ed era andato a seguire le lezioni. Quando gli amici gli avevano chiesto di Giulia, aveva fatto finta di nulla: “Non è tornata a casa con voi ieri sera?”.

Per due settimane, Giulia non gli aveva rivolto la parola. Poi era andata da lui e aveva detto: “Ho un ritardo.” Marco si era irrigidito, fingendo di non capire.

“Sono incinta, non fare l’idiota”, aveva sbottato lei, irritata.

“EE così, mentre il piccolo Dario giocava nella vasca da bagno e la luce dorata del tramonto entrava dalla finestra, Marco si rese conto che la felicità spesso arriva quando meno te l’aspetti, basta solo avere il coraggio di accoglierla.

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