**L’Attesa della Felicità**
Dicono che l’attesa della felicità sia più bella della felicità stessa. Perché mentre la aspetti, sogni, ti ci immergi, sei già felice. Ma il momento in cui la possiedi è brevissimo. Non fai in tempo a godertela ed ecco che smette di essere felicità, diventa qualcosa di normale, di scontato. E ricominci ad aspettare…
Marco Bianchi aveva tutto: un appartamento a Milano, un’auto, un lavoro dignitoso con uno stipendio più che buono, una moglie, tra l’altro bellissima. Si conoscevano dalle medie. Il primo amore si era trasformato in famiglia, nonostante tutto.
E poi c’era la loro figlia, Beatrice, di quattro anni. La moglie, Elisa, non lavorava e stava a casa con la piccola. Beatrice, il suo sole, la sua gioia, era adorata da Marco.
Cosa poteva desiderare di più? Vivi e sii contento. Ma l’uomo è fatto così: quando ha tutto, ne vuole ancora.
Con Elisa, col tempo, si erano adattati l’uno all’altra. Si capivano al volo, a metà sguardo, persino nel silenzio. La passione si era calmata, il rapporto era lineare, prevedibile.
La mattina, Marco beveva una tazzina di caffè forte che lo aspettava sul tavolo dopo la doccia, indossava camicie stirate che profumavano di fresco, baciava la moglie sulla guancia e partiva con la sua Audi per l’ufficio.
La sera lo attendeva una cena deliziosa. Nel weekend andavano in campagna dai genitori, d’inverno sciavano sulle piste. No, Marco era grato al destino. Non a tutti la vita sorride così presto e così bene.
Eppure…
Un giorno, in ufficio arrivò una nuova impiegata: giovane, fresca, con occhi neri, leggermente a mandorla, timidi come quelli di un cerbiatto. Si chiamava Lucia. Lucia Moretti. Lucy. Non un nome, una melodia. Forse i suoi occhi, forse la musica del suo nome, forse il desiderio di qualcosa di nuovo e inspiegabile, o tutto insieme, ma Marco ne rimase folgorato. Improvvisamente capì che lei era ciò che aspettava. Il suo cuore la riconobbe e sussultò in quel presentimento di felicità.
La incontrava spesso nei corridoi, alla macchinetta del caffè, al bar durante la pausa pranzo. Capì che non erano coincidenze, che anche Lucia cercava quegli incontri. E Marco decise di agevolarla.
Un mattino, arrivato in ufficio, rimase in macchina ad aspettare. Quando la vide avvicinarsi con quel passo leggero, scese e le aprì la porta, fingendosi sorpreso.
Nell’ascensore la osservava di nascosto. A volte intercettava i suoi sguardi rapidi e curiosi. Ma non riuscivano mai a parlare: l’ufficio era affollato, l’ascensore mai vuoto.
Poi, un giorno, rimasero soli. Marco le chiese se le piacesse il lavoro, parlò del tempo, dei piani per il weekend. Lei rispondeva sorridendo, con quel suo sguardo un po’ malizioso.
Passò l’autunno, arrivò l’inverno. Prima di Natale ci fu il party aziendale. Marco ci riponeva grandi speranze: poteva tornare a casa tardi, persino all’alba, senza che Elisa potesse sospettare.
Tutta la serata non la perse di vista. Quando iniziarono i balli, fu il primo a invitarla, anticipando gli altri. Quando la strinse a sé, il cuore gli batteva forte, un brivido gli attraversò la schiena, come alle medie quando aveva ballato per la prima volta con Elisa, la sua futura moglie. Lucia lo fissava con quegli occhi da cerbiatto, e il suo sguardo prometteva tutto e subito.
Scaldati dal vino e dal ballo, uscirono a prendere aria. Marco le propose di scappare. E Lucia accettò senza esitare. Uscirono ridendo, mentre il guardiano li osservava invidioso. Lui non era stato invitato alla festa, era rimasto lì, nella sua cabina stretta. Nessuno gli aveva portato nemmeno un bicchiere di spumante o un cioccolatino per tirargli su il morale.
Marco e Lucia camminavano per la città, chiacchierando di tutto. Lui evitò accuratamente di parlare della sua famiglia, e lei fece finta di non sapere.
Con lei era facile, allegro. “Che fortuna…” gli batteva il cuore, sincronizzato con i passi sulla neve.
Marco era stanco e rimpiangeva di aver lasciato l’auto in ufficio. “Dove abiti?” chiese infine.
“Sulla periferia, in quel quartiere di nuove costruzioni,” rise Lucia. “Anch’io sono stanca. Chiamiamo un taxi?”
Davanti a casa sua, Marco esitò a lasciarla andare. L’alcool ormai gli era passato, e la coscienza gli sussurrò che poteva ancora tornare in tempo per leggere la favola della buonanotte a Beatrice. Ma Lucia, astuta, lo invitò a salire per un caffè. “Solo quindici minuti,” si promise.
Il caffè non arrivò mai. Appena entrati, si abbracciarono e si ritrovarono due ore dopo nel letto di lei.
Quando Marco si alzò e si avvicinò alla finestra, fu accolto dal buio più totale: né luna, né stelle, né luci dalle case. Solo oscurità. Quel vuoto gli tolse il fiato. Anche Lucia si avvicinò. Per un attimo gli parve di fluttuare sopra la terra, soli nell’universo. Un’ondata di felicità lo travolse. Era tutto ciò che aveva sognato negli ultimi mesi.
Non voleva andarsene, ma era meglio non rischiare di insospettire Elisa fin dal primo volta. Si lavò, si vestì, e salutò Lucia con la promessa che si sarebbero rivisti presto. Chiamò un taxi e tornò in ufficio. La festa era finita da ore, le finestre buie. Prese la sua auto solitaria e rientrò a casa.
Entrò nell’appartamento all’una e mezza. La luce del lampione illuminava la stanza. Elisa giaceva immobile, le palpebre serrate. Lui sapeva che fingeva di dormire, e fece finta di crederci. Si infilò a letto senza sfiorarla.
Pensò che non avrebbe preso sonno, ma si addormentò subito. Loro non litigavano mai, non alzavano la voce. Le pareti erano sottili, meglio non dare spettacolo. A volte gli sembrava che, anche se le avesse confessato tutto, Elisa non avrebbe gridato.
Quando i colleghi venivano a cena, lodavano sua moglie. All’ufficio lo invidiavano. Marco vedeva com’erano gli uomini dopo le liti domestiche. Elisa non lo umiliava, non lo controllava. Per tutti, erano la coppia perfetta. E prima di incontrare Lucia, anche lui la pensava così.
La mattina si svegliò rinvigorito, felice. Provò persino a canticchiare sotto la doccia. Elisa, come sempre, gli preparò il caffè e gli offrì la guancia per il bacio.
Da allora, lui e Lucia si vedevano nel suo appartamento. In periferia, il rischio di incontrare conoscenti era nullo. Solo i meno abbienti o ragazze come Lucia vivevano lì.
A volte i rimorsi lo assalivano. Non era giusto vivere una doppia vita. Se almeno Elisa fosse stata una strega… Ma perché allora lo faceva? Cercava di soppesare il tutto: da un lato, Elisa, Beatrice e la stabilità; dall’altro, la passione che lo rinMa dopo mesi di indecisione, un giorno Marco guardò negli occhi la piccola Beatrice che giocava serena in salotto, e finalmente capì che la vera felicità era lì, in quel silenzio domestico pieno d’amore.