Lezioni di guida per tutti

**Lezioni di guida**

Bea aveva parcheggiato la macchina davanti all’ufficio e si stava affrettando verso l’ingresso. Davanti a lei, due ragazze camminavano lentamente, chiacchierando. Proprio sulla porta, si fermarono all’improvviso, bloccandole il passaggio. Senza mezzi termini, Bea si infilò tra di loro, le spinse via con un colpo di spalla e tirò a sé la porta di vetro.

“Ehi, ma dove vai…” Le insulti volarono dietro di lei, ma Bea non aveva tempo per litigare. Oggi era in ritardo cronico, e l’ultima cosa che voleva era perdere altro tempo. Corse verso l’ascensore, dove la gente stava già entrando. All’ultimo secondo, si lanciò dentro, urtando un uomo e facendolo indietreggiare.

“Scusi,” borbottò, girandosi verso le porte che si chiudevano. Tra gli spiragli, intravide le facce arrabbiate delle due ragazze. L’ascensore partì, e Bea pensò: “Avrei dovuto far loro una linguaccia.”

Era tutta scarmigliata, il viso arrossato per la corsa. Avrebbe voluto sistemarsi, ma l’ascensore era pieno, e non riusciva a raggiungere lo specchio sulla parete. Si lisciò i capelli con una mano, mentre qualcuno dietro di lei emise un sospiro quasi divertito. Si voltò di scatto: era proprio l’uomo che aveva urtato. Lo fissò per un attimo, poi girò la testa, facendo svolazzare i capelli.

L’ascensore si fermò, le porte si aprirono, e Bea uscì, sentendo ancora quel profumo di colonia elegante e quel paio d’occhi che la seguivano.

“Che, ti è piaciuta?” chiese Niccolò all’amico mentre l’ascensore ripartiva. “Ti stava lanciando occhiate da far tremare i muri!”

“Ma per favore, con quelle ciglia finte e le gambe da passerotto. Le conosco, quelle così. Finché sono single, fanno le indipendenti, poi si sposano e diventano lamentose. ‘Caro, Sofia e suo marito sono andati alle Maldive, noi sempre in Puglia… Che barba! E io con una sola borsa Gucci, mi sento una stracciona!'” Fece il broncio, imitando la voce stridula di una moglie ipotetica, e quelli intorno risero.

“Be’, tu con Elena hai sbagliato tutta la life,” commentò Niccolò.

L’ascensore si fermò, e i due uscirono.

“A destra,” disse Niccolò.

“Giusto. Dopo quella storia, le donne mi fanno venire l’orticaria. Basta parlarne,” sbuffò l’amico. “Qui?” Si fermò davanti a una porta di vetro.

Intanto, Bea si stava bevendo le urla del capo.

“Dove diavolo ti nascondi?! Il cliente ha staccato la cornetta, hai fatto saltare l’affare!” sputacchiava, rosso di rabbia.

“Roberto, ti giuro, è l’ultima volta. C’era traffico…”

“Risparmiami i dettagli! Alzati prima e non farti prendere dal traffico. Un altro ritardo, Bianchi, e non mi importa se tua madre è malata, ti mando a casa. Ora sparisci e corri dal cliente!”

Bea indietreggiò verso la porta.

“Grazie, Roberto. Sono già in volo. Prometto—no, giuro—che non succederà più…” Uscì e respirò, finalmente libera.

“Scarponi ti cercava. Era fuori di sé,” le disse una collega appena entrò in ufficio.

“Già trovato.” Bea afferrò una cartella e se la svignò.

Evitò l’ascensore, scese le scale di corsa e si ritrovò nel parcheggio. Al mattino, per fretta, aveva piazzato la sua piccola Fiat troppo vicina alla macchina davanti. Sperava che chi fosse arrivato dopo le avesse lasciato spazio.

Ma no. Un gigantesco Mercedes nero le stava quasi attaccato al paraurti, divorandole lo spazio. “E adesso? Come esco? Se fossi stata io a parcheggiare così, mi avrebbero linciata.” Anche se, in effetti, l’aveva fatto.

Non poteva andare a piedi all’appuntamento. Si sedette al volante, accese il motore e cominciò a sgusciare via millimetro per millimetro, nervosissima. Le rimbombavano ancora in testa le minacce di licenziamento. E intanto perdeva minuti preziosi.

All’ultima sterzata, sentì un piccolo colpo. Il Mercedes ringhiò con l’allarme. “Perfetto, mancava solo questo.” Si avvicinò di nuovo, pregando di non aver lasciato segni. Ma no, c’era un graffio e un’ammaccatura sul parafango. Per fortuna, il fanale era intatto. Il Mercedes lampeggiò, poi tacque.

Bea guardò in giro. Nessuno in vista. C’erano le telecamere, ma troppo lontane. Con un sospiro, ripartì di colpo. Ormai il dado era tratto.

Una settimana dopo, nessuno l’aveva cercata, e Bea si era rilassata. Ma un giorno, un numero sconosciuto squillò.

“Bea Bianchi?” Una voce formale. “Sono il capitano Rossi…” Bea stava scrivendo al computer con il telefono incastrato tra orecchio e spalla, quasi senza ascoltare. Ma alla parola “capitano”, si irrigidì. “L’auto targata… è la sua?”

“Sì,” rispose, ignorando l’allarme che le squillava in testa. Troppo tardi. Aveva appena confessato.

“La aspetto al commissariato… sesto ufficio… lasceranno passare… Se non si presenta, manderemo un mandato.”

“Vengo.”

Le guance le bruciavano. L’avevano beccata. Accidenti! Un Mercedes del genere non era di uno qualunque. Perché quel giorno doveva essere in ritardo? Perché aveva parcheggiato così? Ma anche l’altro aveva colpa, no? Non vedeva che le aveva stretto la macchina? Lo stomaco le si contorse.

“Il 24 luglio ha urtato un’auto nel parcheggio del suo ufficio. E poi è scappata. Un reato grave, signorina Bianchi.”

Bea deglutì. Lo fissava come un coniglio ipnotizzato da un serpente, le dita che tormentavano la borsa.

“Non negherà, spero. Le telecamere hanno ripreso tutto. E non mi dica che non ha visto: è uscita, ha controllato i danni.”

“Quale reato? Quello del Mercedes è colpevole anche lui, mi ha stretto troppo!”

“E come avrei dovuto fare? Levitare? Non sono Schumacher!” si infiammò Bea. “Il mio capo mi avrebbe licenziata… sono andata nel panico. Riparerò tutto, la prego…” Suonava patetico, e tacque.

“Certo che riparerà,” disse il capitano. “Ecco quanto chiede il proprietario. Macchina nuova, costosa.” Le porse un foglio. Bea fissò le cifre.

“Quanto?! Per un graffio? Da un carrozziere si sistema in dieci minuti! Costa come la mia macchina, non ho quei soldi, ho ancora un mutuo!” La voce le si spezzò.

Il capitano la guardò con pena. “Sa di chi è il Mercedes?”

“Che importa? Cosa mi succederà ora?” chiese tremando.

“Deciderà il giudice. Lei è scappata, il che aggrava la situazione. Sanzione amministrativa, forse anche ritiro della patente.”

“Come? Mia madre è malata… ho bisogno dell’auto per lavoro!”

Il capitano batté una matita sul tavolo. “La parte offesa chiede il massimo. Servirà da lezioneE quando ormai si era rassegnata al peggio, il destino le sorrise: quel giorno, proprio mentre usciva dal tribunale con la coda tra le gambe, incontrò di nuovo Valerio, il proprietario del Mercedes, che con un sorriso malizioso le chiese: “Allora, oltre al paraurti, mi romperai anche il cuore?”.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

9 + four =

Lezioni di guida per tutti