Lezioni di vita, o L’avventura di Ksenia

**Diario di Luca**

Oggi è successo qualcosa di strano. Tornavo dalla mensa, stavo per salire le scale quando ho sentito un fruscio sotto di me. Mi sono chinato e ho visto Stefano e Pasquale nascosti lì.

“Che fate?” ho chiesto.

“Niente. Vai pure,” ha risposto Stefano, facendomi cenno di andare via.

Poi è suonata la campanella. Sono usciti di corsa nascondendo qualcosa in tasca, e tutti e tre siamo corsi in classe saltando due gradini alla volta. Siamo entrati per ultimi.

La Signorina Annabella stava scrivendo alla lavagna i compiti per la verifica. I compagni si sono affrettati a sedersi, sussurrando e infilando libri sotto il banco per copiare.

La Signorina si è girata di scatto, e la classe è diventata silenziosa.

“Se scopro che qualcuno copia, metto subito un due,” ha detto severa, arrossendo. Poi si è girata di nuovo verso la lavagna, ma il fruscio è ripreso subito.

Insegna da solo due anni, dopo la laurea in pedagogia. Nasconde la sua giovinezza dietro un’aria severa e grandi occhiali con lenti semplici e montatura nera. Ogni volta che alza la voce, diventa rossa. E a me piace tantissimo.

Grazie a me, tutti a scuola la chiamano affettuosamente “Annabella”. Quest’anno è diventata la nostra professoressa di classe, e i ragazzi, pure le ragazze, fanno spesso i bulli, disturbando. Lei si confonde e cerca di riportare l’ordine, ma senza successo. Una volta mi è sembrato che stesse per piangere. Non ho resistito, mi sono alzato e ho sgridato i compagni:

“Basta! Siete matti? Si impegna per voi! Se non volete studiare, va bene, ma non disturbate gli altri!”

È stato così inaspettato che tutti sono rimasti zitti. Solo Pasquale ha riso, dicendo che ero innamorato. Gli altri lo hanno subito zittito. Da allora, la classe si è calmata.

Annabella ha finito di scrivere i compiti e ha posato il gesso, quando alcuni pallini di carta, sparati da una cannuccia fatta con una penna, le hanno colpito la schiena. Alcuni sono rimasti incastrati nei suoi capelli.

Li ha scrollati via con disgusto, come se fossero ragni schifosi. Qualcuno ha riso. Io mi sono voltato verso l’ultimo banco, dove sedevano Stefano e Pasquale. Sembravano impassibili, ma dai loro occhi furbi ho capito che erano stati loro. “Ecco cosa stavano preparando sotto le scale: rovinare la verifica.”

“Apriete i quaderni,” ha detto Annabella con una voce tesa.

Gli studenti hanno ricominciato a sussurrare.

“Chi è a sinistra, fa il primo esercizio, gli altri il secondo.” Poi si è seduta alla cattedra.

Tutti si sono chinati sui quaderni, ma io mi sono girato di nuovo verso Stefano e Pasquale e gli ho mostrato il pugno. Hanno sparato altri pallini, ma hanno colpito solo le ragazze davanti.

“Signorina Annabella, hanno sparato i pallini!” si è lamentata Lucia.

“Non è vero!” ha urlato Stefano alzandosi. E allora io gli ho tirato una pallottola di carta ben stretta.

“Ahi!” ha gridato, mettendosi una mano sulla guancia. “Vede?”

“Luca!” ha detto forte Annabella alzandosi. “Da te non me l’aspettavo. Portami il diario. Due per la verifica!” Arrossata, si è seduta e ha aperto il registro.

Con la testa bassa, le ho portato il diario. Lei ha scritto un’annotazione e, restituendomelo, ha detto che domani dovevano venire i miei genitori.

Stasera, papà mi ha chiesto: “Com’è andata a scuola?”

“Bene. La Signorina Annabella vuole vederti.”

“Che hai combinato?”

“Niente.”

“Niente? Non ti chiamano per niente. Parla.”

“Oggi c’era la verifica di matematica. Stefano e Pasquale hanno sparato pallini alla Signorina… mi è dispiaciuto e ho reagito, tirandone uno a Stefano. Lei mi ha visto, mi ha messo due e mi ha cacciato.”

“Quindi dici che sei stato punito ingiustamente?”

Ho alzato le spalle.

“Dovevo mandarti dalla nonna,” ha detto papà, con tono triste.

“Papà, davvero non è colpa mia. Non mento. Non voglio andare dalla nonna,” ho protestato.

“Ne parliamo dopo.” Si è girato verso la TV e ho capito che era inutile discutere.

Mancano due settimane alle vacanze. Spero che in quel tempo succeda qualcosa e papà cambi idea.

Oggi è venuto a scuola durante la pausa pranzo. Annabella stava correggendo i compiti in sala professori.

“Buongiorno, sono Marco Rossi,” ha detto entrando senza bussare.

Lei si è sistemata gli occhiali. Mio padre è alto, forte, e ha un fascino naturale che fa battere il cuore alle donne.

“Annabella Conti, la sua professoressa di classe,” ha risposto, alzandosi. Ha tolto gli occhiali e li ha rimessi subito.

“Devo dirle che…” si è raddrizzata per sembrare più autorevole.

“No, sono io che devo parlare,” l’ha interrotta papà. “Mio figlio non ha colpa, e lei gli ha messo un due e lo ha cacciato. Poi mi ha chiamato qui.”

Lei si è irrigidita. “Ah sì?”

“Esatto. Due ragazzi hanno cercato di sabotare la verifica. Speravano di essere cacciati. Hanno sparato pallini alla sua schiena, vero? Luca ha reagito per difenderla. E invece lei ha punito lui, lasciando impuniti i colpevoli.”

“La verifica era la loro punizione. Non studiano mai, soprattutto in matematica. E Luca invece è bravissimo, per lui era troppo facile. Il due, comunque, non gliel’ho messo,” ha detto, più calma. “Quei due invece hanno preso due.”

“Un esperimento educativo, allora. Ma perché mi ha chiamato, se sa che non è colpa sua?”

Lei ha morso il labbro. “Be’… anche Luca ha sparato. Usava i loro stessi metodi, anche se per una buona causa. Disturbava la classe.”

Papà la fissava. “Giovane, carina, appena uscita dall’università. Vuole sembrare severa con quegli occhiali assurdi. Non ha figli e cerca di educare i nostri…”

Lei si è confusa, arrossendo come una scolara.

“Sarei intervenuto anch’io per lei,” ha pensato papà, distrattamente.

C’è stato un silenzio imbarazzante. Alla fine, papà si è intenerito.

“Sa, la mamma di Luca è morta sei mesi fa. Tumore. Dovevo mandarlo dalla nonna, ma ho cambiato idea. Lavoro tutto il giorno, lui è spesso solo. È… è difficile per noi.”

“Mi dispiace, non lo sapevo,” ha sussurrato lei.

“L’ho pregato di non dirlo, per evitare pietismi. Allora, l’incidente è chiuso? Posso andare?”

Si sono guardati finché lei non si è scossa.

“Dopo lezione, l’ho portato a casa mia,” ha detto improvvisamente.

“Perché?” ho chiesto stupito.

“Le aule erano occupate. A casa puoi rifare la verifica con calma. O vuoi che ti metta due?”

Ho sospirato. Camminando accanto a lei, non capivo perché fosse così gentile. Mi dava fastidio.

“Avrei potuto darti un otto direttamente. Ma devi scriverla tu. Sei stato presente alle lezioni, no?”

“Papà te lAlla fine, Annabella sposò mio padre, diventò la mia nuova mamma, e insieme ci trasferimmo a Firenze, dove iniziammo una nuova vita felice.

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