L’ultima lettera

L’Ultima Lettera

Ginevra non aveva mai conosciuto suo padre. Quando, crescendo, chiese alla madre di lui, quella rispose soltanto:

“Non stai bene con me?”

Beatrice amava sua figlia, anche se non la viziava. E come non amare quella ragazzina tranquilla dagli occhi grandi? Non dava problemi, non marinava la scuola, studiava con impegno e obbediva alla madre.

Era una ragazza comune, senza nulla di speciale. Non tutti possono essere belle. Mai nessun adulto le aveva detto che era carina o adorabile. “Somiglia tantissimo a sua madre!”, dicevano.

La madre non si profumava con essenze costose, non si truccava le labbra, non portava tacchi. “Che tacchi? Dopo una giornata di lavoro ai telai, i piedi mi fanno male!”, diceva. Lavorava in una fabbrica tessile. Nei reparti c’era un gran rumore, così aveva preso l’abitudine di parlare a voce alta, quasi gridando.

Dopo la terza media, la madre mandò Ginevra in campagna per l’estate, da un’amica. Pare avesse una storia. Meglio che la figlia non lo sapesse.

“Come vi siete conosciute con mamma?”, chiese Ginevra a zia Livia. “Lei è di città, e voi vivete qui.”

“Tua madre è nata qui! Siamo amiche da quando eravamo in fasce. Poi se ne andò in città, a lavorare in fabbrica. Non te l’ha mai detto? Si vergognava delle sue origini.” Zia Livia sospirò. “Io sono rimasta, mi sono sposata subito dopo la scuola. Dio non mi ha dato figli, mio marito è partito per lavorare e non è più tornato. Vivo sola. Tua madre almeno ha avuto te, mentre qui di uomini decenti non ce ne sono. Sono tutti ubriaconi.”

“E mio padre? Lo conoscete?”

“Certo che lo conosco! In fabbrica ci sono solo donne. Dopo il turno, non c’è tempo per l’amore. A tua madre, come lavoratrice modello, hanno dato un appartamento. Non a tutti capita. Ma gli anni passano.”

“Arrivò un uomo come tecnico dei telai. Non un Adone, ma agli uomini la bellezza non serve. In mezzo a tante donne, qualsiasi uomo vale. Non so come, ma tua madre rimase incinta. Una fortuna, dato che aveva quasi superato l’età.”

Beatrice non era bella. Non aveva filze di corteggiatori. Quando seppe che aspettava una femmina, fu felice. “È più facile crescere una figlia senza padre,” diceva. La volle per sé. Ecco come la chiamava.” Zia Livia sospirò.

Con zia Livia era facile parlare, a differenza della madre. E Ginevra imparò molto sui lavori di casa. Che altro fare in campagna? C’erano tanti bambini, ma troppo piccoli per lei.

A fine luglio arrivò un ragazzo, nipote del vicino. Quando Ginevra lo vide, il cuore le cantò in petto. Lui aiutava il nonno nell’orto, portava l’acqua dal fiume, e lei lo osservava dalla finestra.

Un giorno, vedendolo andare al fiume, Ginevra afferrò un asciugamano e lo seguì. Solo allora si accorse di non aver messo il costume, ma ormai era tardi per tornare. Si sedette sull’erba e lo guardò tuffarsi e ridere, scuotendo l’acqua dai capelli. Lui la notò.

“Che fai lì? L’acqua è calda!”, le gridò.

Lei arrossì, voleva andarsene. Ma lui uscì dall’acqua e le porse un giglio, profumato di fiume e di muschio.

Ginevra gli diede il suo asciugamano. Parlarono. Paolo era stato mandato in campagna dai genitori, che erano in procinto di divorziare e litigavano per i beni.

“Domani che fai?”, le chiese.

“Niente, aiuterò zia Livia in casa. Perché?”, rispose, sentendo il cuore galopparle nel petto. Non aveva mai parlato così con un ragazzo.

“Andiamo nel bosco a cercare funghi. Mio nonno ha male a un piede.”

“Va bene,” rispose, arrossendo.

“Di mattina presto, con la rugiada. Ti fischio,” disse Paolo.

Tornarono insieme. Lui batteva le ortiche con un bastoncino lungo la strada, mentre lei portava l’asciugamano bagnato sulle spalle, e le sembrava quasi che la tenesse stretto a sé.

Ginevra si svegliò all’alba, guardando continuamente la sveglia. Le lancette sembravano non muoversi.

“Che ti prende?”, chiese zia Livia, sbadigliando. “Dormi, è ancora presto.”

“Vado a funghi con Paolo, ho paura di perdermi,” confessò.

La zia si alzò, borbottando, e le portò stivali di gomma e vestiti pesanti.

“Non li metto! Sembrerò uno spaventapasseri,” protestò Ginevra.

“Mettili, sciocchina. Nel bosco ci sono vipere, zanzare e zecche. E legati i capelli sotto un foulard.”

A malincuore, indossò i pantaloni larghi e la camicia, si guardò allo specchio e rabbrividì. Proprio uno spaventapasseri. Un fischio risuonò sotto la finestra. Non c’era tempo per cambiarsi. Afferrò il cesto e corse fuori. Paolo la osservò con approvazione. Anche lui era vestito allo stesso modo.

Nel bosco, Paolo raccoglieva funghi, mentre Ginevra non ne vedeva nemmeno uno.

“Ma li hai mai cercati prima?”, le chiese.

Lei scosse la testa, colpevole.

“Capisco,” sospirò lui, e le insegnò a riconoscere i funghi buoni da quelli velenosi.

Se ne trovava uno, glielo mostrava e poi proseguiva. Presto anche Ginevra iniziò a vederli.

“Brava!”, la lodò zia Livia, vedendo il cesto pieno. “Farò una minestra, e ne seccherò per l’inverno.”

Un altro fischio risuonò sotto la finestra.

“Vai. Il tuo innamorato ti chiama per il bagno.”

Ginevra arrossì e corse a prendere il costume.

Passarono tutto il mese insieme, tra boschi, fiume e il negozio del paese. Ginevra si era innamorata subito, alla prima occhiata. Il cuore le si fermava quando lo vedeva, e trepidava al suo tocco. La notte sognava di lui, e l’alba non arrivava mai abbastanza presto.

Agosto volò via, e arrivò la madre.

“Che le hai dato da mangiare, Livia? È ingrassata!”, disse, scrutando Ginevra, ormai abbronzata e fiorita.

“L’aria di campagna fa miracoli,” sorrise zia Livia. “Guarda quanti funghi ho preparato. Ginevra li ha raccolti lei. Con un amico,” aggiunse.

“Già a quest’età con i ragazzi? Non me l’aspettavo da te, Livia,” si irritò la madre. “Prepara le valigie, domani si parte.”

“È troppo presto!”, quasi pianse Ginevra.

“Devo comprarti i vestiti e i quaderni. Prepara tutto.”

Ginevra corse nell’orto, trovò Paolo e gli si buttò tra le braccia.

“È arrivata tua madre? Devi andare?”, intuì lui.

Lei non riusciva a parlare, soffocata dalle lacrime.

“Dammi il tuo indirizzo, ti scriverò,” le chiese.

Ginevra corse in casa, strappò un foglio dal quaderno, poi si ricordò di non aver scritto l’indirizzo. Tornò per la penna e sentì la madre e ziaGinevra sorrise tra le lacrime, stringendo il foglio dove aveva finalmente scritto il suo indirizzo, sapendo che questa volta nulla avrebbe fermato il loro amore.

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