Amica di Cuore

Anastasia chiuse il file e lo inviò alla sua email di lavoro. Lunedi in ufficio lo avrebbe aperto, stampato, timbrato e consegnato il rapporto. Finalmente libera!

Lavorava come contabile in una piccola azienda di Milano. Il carico era pesante, ma lo stipendio buono, e l’ufficio era a due passi da casa, senza dover perdere tempo nel traffico o stipata in metro nelle ore di punta. Una passeggiata per arrivare a lavoro, un po’ d’aria fresca.

Il team di contabilità era tutto al femminile. Non era stretta con nessuna. Quasi tutte avevano famiglia, figli, mentre lei era single. Se qualcuna le chiedeva aiuto, di prendersi parte del lavoro altrui, non rifiutava mai, lavorando di sera e nei weekend, come ora.

Sabato mattina si era svegliata presto e si era subito messa al portatile, ricontrollando tutto prima di inviare il file via email. Ora poteva sistemarsi e fare colazione, e poi… Ma il telefono squillò, interrompendo i suoi pensieri.

«Anastasia, ciao!» la salutò una voce allegra dall’altra parte.

«Ciao,» rispose cauta. «Chi parla?»

«Ma dai, sono io, Marika!»

«Marika?» ripeté incredula. «Sei a Milano?»

«Non ancora, sto arrivando,» rise quella.

Anastasia non sapeva cosa dire. L’ultima persona che si aspettava di sentire era la sua amica del liceo. Dopo il suo tradimento quindici anni prima, non si erano più parlate. In quel momento rimpiangeva di non aver cambiato numero.

«Anastasia, a Milano non ho nessuno tranne te,» riprese Marika, rompendo il silenzio. «Mi puoi venire a prendere? Per favore. Ho divorziato da Carlo. Ho deciso di ricominciare.» La sua voce era bassa, quasi in colpa.

Anastasia non voleva vederla. Ma erano passati tanti anni, ormai aveva superato tutto. E poi, aveva voglia di notizie dalla loro città natale. Va bene. L’avrebbe incontrata, accompagnata dove doveva andare, e poi basta.

«A che ora arrivi?» chiese senza entusiasmo.

«Tra venti minuti. Ci sarai?» la voce di Marika si fece più vivace.

«Mi ci vorranno venti minuti di autobus, poi la metro. Almeno un’ora. Aspetterai? Allora non muoverti, rimani nell’atrio centrale.» Non credeva alle sue stesse parole mentre le diceva.

«Ti aspetterò,» promise Marika.

Anastasia guardò con dispiacere la teiera fredda, si lavò in fretta, si vestì e uscì. Affittava un piccolo monolocale in un quartiere periferico di Milano. Per una bastava, e poi era economico.

Arrivata nell’atrio della stazione, si sentì spaesata. Come avrebbe trovato Marika tra tutta quella gente? Non la vedeva da quindici anni, l’avrebbe riconosciuta? Camminava lentamente, tenendosi al centro per essere visibile.

«Anastasia!» una voce allegra la chiamò.

Marika, riconoscibile ma cambiata, si fece avanti dai chioschi. Era ingrassata, i capelli più chiari, il trucco pesante l’invecchiava, ma Anastasia la riconobbe all’istante.

Marika la abbracciò forte.

«Finalmente. Stavo per crollare.» La prese per il braccio, trascinandola verso un carrello con una valigia e una borsa.

«Non si lasciano le cose così, potrebbero rubartele,» disse Anastasia, più per dire qualcosa.

«Non è successo, no? E poi non c’è nulla di valore, soldi e documenti li ho con me.» E abbassò lo sguardo sul suo décolleté.

Anastasia scosse la testa e guardò attorno. Nessuno le badava.

Marika posò la borsa sulla valigia e fissò l’amica con occhi interrogativi.

«Dove devi andare?» sospirò Anastasia.

«Sei ancora arrabbiata con me? Volevo chiederti… Posso stare da te qualche giorno, finché non trovo un appartamento?» si morse il labbro.

“Che faccia tosta. Mi ha rubato il ragazzo e ora vuole vivere da me. Avrei dovuto ignorarla…” pensò Anastasia.

«Andiamo,» disse, dirigendosi verso l’uscita.

Marika parlava, faceva domande, ma Anastasia non rispondeva, fingendo di concentrarsi per non scontrarsi con qualcuno. Anche Marika tacque, ansimando per stare al passo.

«Pensavo vivessi in centro. Non sembra nemmeno Milano,» disse delusa quando arrivarono al monolocale. «Non preoccuparti, me ne vado presto. Sei sola qui? Ci sono pantofole da uomo in ingresso.»

“L’ha notato. Dovevo toglierle,” pensò Anastasia. «Sì, sono per gli ospiti.»

Marika si buttò sul divano, allungando le gambe lunghe. «Sono a Milano! Non ci credo.»

Anastasia mise l’acqua per il tè, prese pane e salame dal frigo, preparando dei panini.

«Hai del vino? Brindiamo,» propose Marika.

Anastasia tirò fuori una bottiglia già aperta e due bicchieri.

Marika bevve, ignorando che l’amica si fosse limitata a un sorso, e iniziò a raccontare. Con Carlo aveva divorziato subito dopo il matrimonio. Bello fuori, ma carattere impossibile. Il secondo marito era più anziano, sposato per soldi, ma l’aveva tradito con l’autista ed era stata cacciata. Il divorzio era stato duro, ma almeno aveva dei soldi. Decise di venire a Milano per ricominciare.

«Tu sei stata furba a venire qui subito dopo il liceo. Nella nostra città non c’era futuro. Che noia…»

Anastasia non era venuta per studiare contabilità. Carlo era il suo ragazzo dal liceo. La vigilia del diploma avevano parlato di sposarsi dopo il suo corso. Ma dopo la festa, Marika lo aveva ubriacato e portato a letto. Poi aveva detto di essere incinta, una bugia. Carlo l’aveva sposata lo stesso.

Anastasia aveva pianto e deciso di partire. Non era una studentessa brillante, non puntava all’università. Voleva solo lavorare e rendersi indipendente. Quando la verità venne fuori, Carlo e Marika divorziarono.

«Non importa, tesoro. Non lasciare che Marika rientri nella tua vita. E Carlo… Se ti avesse amato davvero, non ti avrebbe dimenticata così. Meglio ora che dopo.»

Seduta in cucina ad ascoltare Marika, Anastasia ricordò le parole di sua madre. Fu felice di non averle parlato di Luca.

Si erano conosciuti sei mesi fa in metro. Lui milanese, i genitori gli avevano comprato casa ma erano esigenti con le sue ragazze. Ad Anastasia erano piaciuti. «Una ragazza seria, con dignità, raro tra chi viene da fuori,» aveva detto sua madre.

Dopo Carlo, Anastasia non aveva avuto relazioni serie. Fino a Luca. Con lui aveva immaginato una vita insieme, figli, nipoti, invecchiare con serenità…

Ora Luca era in trasferta fino a martedì, e Anastasia sperava che Marika si sarebbe sistemata prima del suo ritorno.

Ma passarono i giorni e Marika non cercava casa. Usciva la notte e tornava all’alba, spesso ubriaca. Dormiva quando Anastasia lavorava, e la sera era già uscita di nuovo. Parlare era impossibile.

«Vuoi che ci parli io?» propose Luca un giorno.

«No, ci penso io,» rispose in fretta, temendo il loro incontro.

Quella sera tornando a casa trovò Marika addormentata sul divano con il suo vestito e il suo braccialetto.

Anastasia si avvicinò lentamente, guardando quella che un tempo era stata la sua amica, e finalmente capì che alcune persone non cambiano mai, ma la vera forza sta nel saperle lasciare andare.

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